Lo scambio di informazioni fiscali fra Italia e Svizzera

Diverse sono state le intese (Accordi e Protocolli) che l’Italia ha concluso con Paesi in black list, fra tutti Svizzera e Liechtenstein, atti ad agevolare una maggiore trasparenza nei rapporti di collaborazione fiscale, con l’evidente obiettivo di creare i presupposti per incentivare il rientro di capitali tramite la voluntary disclosure (a cura Fabrizio Stella e Elena Galiberti).

  1. Lo scambio di informazioni con Paesi “paradisi fiscali” Premessa.

“Fisco: Italia e Svizzera firmano l’accordo sullo scambio d’informazioni. Fine del segreto bancario”, comunicato stampa n. 40 del 23 febbraio 2015.

“Fisco, firmato Accordo Italia-Liechtenstein. Cade il segreto bancario”, comunicato stampa n. 44 del 26 febbraio 2015.

“Fisco, firmato Accordo Italia-Monaco per l’abolizione del segreto bancario”, comunicato stampa n. 45 del 2 marzo 2015.

Questi gli incisivi comunicati stampa diramati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze appena sottoscritti gli accordi di scambio informazioni con Svizzera, Liechtenstein e Monaco, storiche “roccaforti” del segreto bancario nel cuore dell’Europa.

 

Ma in cosa consistono tali intese e, soprattutto, come verranno declinate a livello normativo interno?

L’evasione fiscale è sempre più un tema centrale in una economia che oramai travalica i confini nazionali e si caratterizza per essere globale e digitalizzata, tanto che le amministrazioni fiscali dei Governi del “Vecchio Continente” (e non solo loro) faticano a controllare con efficacia fenomeni di fuga di capitali e delocalizzazione di attività produttive.

In questo contesto globale diviene quasi impensabile per le singole Autorità fiscali poter portare a termine una efficace strategia antievasione ed antielusione senza avvalersi dell’aiuto di altri Stati.

La cooperazione e la collaborazione tra Uffici fiscali diventa quindi la strategia da perseguire per un efficace contenimento del fenomeno descritto.

In tale ambito lo strumento principe per la realizzazione di tale cooperazione è – senza dubbio – lo scambio di informazioni.

Oggetto del desiderio di molte Autorità fiscali nazionali, lo scambio di informazioni a livello internazionale è un concetto teorizzato da molti (basti pensare al FATCA degli USA), dibattuto in molti contesti fiscali, ma poco regolamentato.

La portata e l’impatto di un siffatto strumento è stata ben compresa dall’OCSE che, nel suo modello di convenzione contro le doppie imposizioni, dedica allo scambio delle informazioni in ambito fiscale un articolo complesso ed articolato: l’articolo 26.

L’OCSE non si è però limitata a statuire la necessità di un siffatto strumento all’interno della previsione di un singolo articolo, volendone sottolineare l’importanza alla comunità internazionale lo ha inserito nel Piano d’azione contro l’erosione della base imponibile e trasferimento della ricchezza, conosciuto con l’acronimo BEPS (Base Erosion and Profit Shifting), elaborando, sulla scorta del citato articolo 26, un modello di trattato, bilaterale o multilaterale, sullo scambio informativo, il c.d. TIEA (Tax Information Exchange Agreement).

Il Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni ed il Modello TIEA sono, dunque, gli strumenti che l’Organizzazione mette a disposizione degli Stati per regolare i rapporti di cooperazione in ambito fiscale.

Il ricorso a tali modelli permette – altresì – alle Parti contraenti di mostrare la volontà dei loro Governi di combattere il fenomeno dell’evasione, sempre più collegata dai media globali a fenomeni di finanziamento del malaffare e del terrorismo, consentendo alla comunità internazionale di riabilitare l’immagine di molti di quei Paesi che oggi affollano le black list sui paradisi fiscali.

Basti pensare alle notizie apparse recentemente nell’ultimo anno sulla stampa italiana che evidenziano come Paesi quali Singapore, Liechtenstein e da ultimo la Svizzera stiano aprendo i loro confini virtuali alle richieste del fisco italiano attraverso, appunto, strumenti di cooperazione internazionali quali quelli poc’anzi citati.

Orbene, nel dettaglio, come si effettua lo scambio delle informazioni? Cosa viene scambiato tra gli Stati? Cosa non può essere scambiato?

 

 

  1. Il Modello OCSE.

Al fine di dare risposta ai quesiti sopra posti occorre, innanzitutto, esaminare la norma generatrice dei trattati di scambio informazioni: il noto articolo 26 della Convenzione OCSE che si compone dei seguenti 5 paragrafi:

  • paragrafo 1 disciplina lo scambio di informazioni su richiesta, che si realizza laddove l’informazione è “prevedibilmente pertinente” (foreseeably relevant) con l’Amministrazione fiscale del Paese richiedente.

Tali attività non sono limitate dagli articoli 1 e 2 del Modello di Convenzione, in quanto riguardano informazioni relative a qualunque soggetto senza il vincolo della residenza in uno dei due Stati parte dell’Accordo e su qualunque tipologia di tassa imposta in uno dei due Stati, evidenziando la portata globale dell’articolo stesso.

Gli aggiornamenti al suddetto articolo 26, avvenuti nel 2014, hanno consentito, poi, le c.d. “richieste di gruppo” (group requests).

Ciò significa che le Autorità fiscali possono richiedere informazioni su di un gruppo di contribuenti, senza nominarli singolarmente, purché la richiesta non sia (evidentemente) una “fishing expedition”.

Va da sé l’attinenza richiesta, sempre, ai parametri dell’articolo 26, quindi una dettagliata motivazione;

  • paragrafo 2 evidenzia il carattere di riservatezza delle informazioni che vengono scambiate consentendo, tuttavia, all’Autorità fiscale richiedente di utilizzare le informazioni ottenute dall’Autorità fiscale dell’altro Stato contraente per altri fini, a condizione che questa possibilità sia ammessa dagli ordinamenti dei due Stati e che l’Autorità dello Stato richiesto dia il proprio consenso.

La disciplina consente l’utilizzo dell’informazione da parte delle Autorità anche per altri scopi, evitando in buona sostanza la reiterazione della richiesta, così consentendo una maggiore funzionalità dei dati trasmessi;

  • paragrafo 3 indica i casi in cui non si possono richiedere informazioni alla Parte contraente, ovvero i casi riferibili ad informazioni collegate all’adozione di provvedimenti amministrativi in deroga alla legislazione dello Stato cui viene inoltrata la richiesta o ancora richiesta informazioni che non possono essere ottenute legalmente dallo Stato che viene investito di detta richiesta o che non possono essere normalmente ottenute nell’ambito di procedimenti interni nello Stato richiesto, o che non potrebbero essere ottenute in un simile procedimento nello Stato richiedente ed infine informazioni che potrebbero rivelare un segreto commerciale, industriale o professionale oppure procedimenti commerciali o informazioni la cui comunicazione sarebbe contraria all’ordine pubblico;

  • paragrafo 4 prevede che lo Stato destinatario della richiesta metta in atto ogni possibile “misura per la raccolta delle informazioni” ovvero utilizzi ogni disposizione legislativa attiva al suo interno per esitare la richiesta avanzata, fatte salve le specificità di cui al paragrafo 3, evidenziando come le informazioni debbano essere fornite anche se non hanno incidenza fiscale nello Stato destinatario della richiesta che non può avvalersi di tale motivazione per rifiutare la richiesta stessa;

  • paragrafo 5 impone allo Stato destinatario della richiesta, quand’anche fosse previsto sul piano interno un segreto bancario tale da non consentire l’accesso del fisco a dati bancari, di fornire dati simili allo Stato richiedente, senza potersi trincerare dietro la sua legislazione interna.

 

 

Il nuovo commentario fornisce una precisazione importante relativamente all’interplay dei paragrafi 3 e 5.

Al riguardo viene, infatti, indicato che, secondo il principio della reciprocità, se uno Stato applica, in virtù del paragrafo 5, delle misure che non sono normalmente previste nella sua legislazione e/o prassi interna, in particolare per accedere a delle informazioni bancarie, tale Stato è egualmente in misura di richiedere informazioni simili all’altro Stato contraente.

La struttura dell’articolo evidenzia l’elemento di novità dato dal superamento del segreto bancario ma, così come specificato nel Commentario al Modello OCSE e anche riportato negli articoli di dettaglio che compongono il modello TIEA, le richieste presentate dallo Stato richiedente debbono essere dettagliate e motivate, soprattutto alla luce dell’introduzione delle group requests.

L’identità del soggetto nei cui confronti sono richieste le informazioni deve essere fornita in modo completo e le motivazioni devono essere tali da giustificare il superamento di tutti i limiti di legislazione interna che richiede l’articolo 26 nella sua nuova accezione.

Infatti, la carenza di motivazione, unitamente all’inoltro di una group requests, potrebbe configurare una fishing expedition espressamente vietata dal Modello OCSE.

Proprio al fine di ben chiarire i limiti delle richieste il Commentario all’articolo 26 cita esempi di richieste che possono e non possono essere inoltrate in base alla tipologia di informazioni in possesso dello Stato richiedente ed alla luce delle motivazioni addotte.

I limiti posti allo scambio di informazioni, poi, così come indicati dal secondo e dal terzo paragrafo, hanno lo scopo di non imporre allo Stato destinatario della richiesta di inoltrare allo Stato richiedente informazioni in violazione di norme interne.

A tal proposito tuttavia il paragrafo 5 vieta espressamente di ricorrere al diniego per il sol fatto che tali informazioni siano detenute presso un istituto bancario o finanziario, di fatto impedendo l’esercizio del segreto bancario.

Da ultimo, è interessante notare come più volte il tema della reciprocità dell’informazione venga citato dall’articolo 26, allo scopo di evidenziare come le informazioni che vengono fornite da una Parte debbono essere disponibili in caso di richiesta anche della controparte.

La fruibilità, anche in tempi certi ed accettabili, dell’informazione è, poi, data dal fatto che il novellato articolo 26 prevede che le Parti si impongano reciprocamente una tempistica di risposta alle richieste inoltrate e ciò per far sì di fornire le informazioni in tempi congrui con quelli dell’avvio dell’indagine.

 

 

  1. Il Modello TIEA.

Al fine di fornire un adeguato strumento per lo scambio di informazioni a livello internazionale è stato elaborato un modello di convenzione per lo scambio delle informazioni.

Il modello chiamato TIEA si compone di circa 16 articoli e viene proposto in versione multilaterale e bilaterale.

L’OCSE stessa precisa come il modello non sia di per sé da considerarsi vincolante ma sia da intendersi solo come possibile strumento applicabile tra quei soggetti, di diritto internazionale, che volessero ampliare il loro livello di cooperazione in materia fiscale attraverso uno scambio di informazioni.

Pertanto nella formulazione standard del testo TIEA il Preambolo lascia ampi margini ai Governi circa la sfera di applicazione del testo stesso, consentendo – alla bisogna – (anche) di porre dei limiti molto netti e precisi.

L’articolo 1 ribadisce in modo molto generico lo scopo dell’Accordo stesso mutuando la formulazione dell’articolo 26 OCSE relativo allo scambio informazioni.

L’articolo 2 prevede il limite di giurisdizione, anch’esso principio tipico delle Convenzioni OCSE.

Interessante è, poi, la possibilità, prevista dall’articolo 3, di elencare dettagliatamente per quali tipologie di imposta si applica lo scambio di informazioni, mentre l’articolo 4 viene dedicato alla definizione dei termini usati nel linguaggio finanziario internazionale, al fine di ovviare a problemi interpretativi relativi alle richieste informazioni tra le Parti contraenti.

Agli articoli 5, 6, 7 e 8 viene, invece, delegato il fondamentale compito di regolamentare lo scambio di informazioni secondo il modello TIEA.

Tali articoli prevedono – infatti – le modalità di erogazione o diniego dell’informazione, le attività congiunte nonché il livello di privacy da applicare alla materia oggetto dell’Accordo.

All’articolo 5 si ribadisce, ad esempio, oltre ad un richiamo esplicito a quanto già indicato all’articolo 1, che l’Accordo in esame non contempla lo scambio automatico di informazioni ma solo quelle a seguito di specifica e dettagliata richiesta, rimettendo alla volontà dei singoli Stati, parte dell’Accordo medesimo, un eventuale ampliamento della cooperazione instaurata in tal senso.

Le informazioni possono essere richieste a seguito di procedimenti civili o penali e le Autorità interpellate devono essere proattive nella ricerca delle informazioni richieste e fornire informazioni dettagliate.

Viene, altresì, precisato che la parte destinataria della richiesta non deve provvedere all’adempimento della richiesta senza avere riguardo alla possibilità che la Parte richiedente abbia inoltrato la richiesta a scopo di tassazione.

La Parte richiedente può, altresì, specificare le modalità con cui l’informazione dovrà essere fornita (testimonianze scritte e orali, copie conformi di documenti, originali di dati e documenti), sempreché ciò sia consentito dalla legislazione del Paese destinatario della richiesta.

Nel caso in cui ciò non fosse possibile, l’informazione, viene precisato al paragrafo 3, verrà comunque fornita ma con modalità difformi da quelle richieste.

Interessante è, poi, la formulazione del paragrafo 4 nel quale si ribadisce che le Parti contraenti devono adeguatamente dimostrare come le Autorità che inoltrano le richieste riferibili all’accordo sono in possesso dei poteri idonei ad ottenerle elencando i soggetti nei cui confronti le stesse sono dirette, in primis banche ed istituti finanziari seguiti da fondazioni trust e quant’altro, specificando – all’ultimo periodo – la sussistenza della possibilità da parte degli Stati contraenti di negare le informazioni richieste quando il loro disvelamento possa causare problematiche connesse alla sicurezza economica di uno dei due contraenti.

Il successivo paragrafo è, invece, dedicato all’elencazione delle informazioni minime volte alla compiuta identificazione del soggetto nei cui confronti effettuare le ricerche, corredato della dichiarazione che lo Stato richiedente abbia assolto a tutte le possibili attività, senza esito, volte all’ottenimento con mezzi propri delle informazioni oggetto della richiesta de qua.

La novità di rilievo è, poi, menzionata nei sub del paragrafo 6, laddove si prevedono 60 giorni quale lasso temporale massimo entro il quale la richiesta deve essere evasa.

L’articolo 6 è volto a disciplinare le eventuali attività di verifica da condursi in territorio dello o degli Stati parte dell’accordo, mantenendo fermo il principio del preventivo assenso del soggetto da controllare ad una verifica estera, prevedendo, nel contempo, un obbligo di assistenza da parte dell’autorità dello Stato interessato dall’attività di verifica.

L’articolo 7 è, invece, dedicato alla disamina dei casi in cui la richiesta di scambio informazioni possa essere rifiutata dalla parte destinataria.

La norma precisa che tale eventualità si riscontra in caso di domanda non conforme all’Accordo o qualora le informazioni richieste non possano essere ottenute tramite mezzi legali da parte dello stato destinatario della richiesta.

Al secondo paragrafo viene esplicitamente prevista la possibilità di non dare seguito alla richiesta qualora le informazioni richieste siano relative a segreti professionali o industriali, precisando tuttavia, al successivo periodo, come le stesse non facciano venire meno le disposizioni di cui all’articolo 5 paragrafo 4.

Vengono, altresì, escluse le informazioni concernenti il segreto professionale del professionista legale o se la stessa scaturisce da richieste che possano essere considerate discriminatorie in base alla legge nazionale della Parte destinataria della richiesta stessa.

Il successivo articolo 8 evidenzia, invece, come le informazioni ottenute attraverso l’accordo siano connotate dalla stretta confidenzialità e possano essere utilizzate solo dalle Autorità che ne hanno fatto richiesta esplicita e per le finalità dichiarate.

I successivi articoli dal 9 al 16 definiscono, infine, gli aspetti tipici degli Accordi internazionali, con riferimento ai costi, alla lingua ed alla possibilità di esplicitare con atti di dettaglio le disposizioni generali contenute nel corpo del trattato, prevedendo altresì la possibilità da parte dei contraenti di porre fine al trattato stesso.

 

 

  1. Conclusioni.

Gli strumenti esaminati rappresentano, sicuramente, degli eccellenti mezzi per poter incentivare gli Stati ad un aumento di collaborazione in materia fiscale.

Avuto riguardo, in particolare, poi, al superamento del segreto bancario, forniscono, evidentemente, una maggiore incisività e completezza alla qualità delle informazioni che possono essere scambiate tra parti contraenti.

Tali informazioni consentono una mappatura completa di quelle sempre più frequenti ed immense ricchezze che finiscono per alimentare il mondo della criminalità economica internazionale.

Gli accordi recentemente adottati dall’Italia, pubblicizzati con giustificata enfasi nei confronti della Svizzera, Montecarlo e Liechtenstein traggono origine, proprio, dal recepimento dei concetti qui esaminati e che si fondano su di una maggiore trasparenza a fronte di richieste ben motivate e mirate.

E’ di tutt’evidenza, purtroppo, come tali strumenti, pensiamo all’articolo 5 quarto paragrafo e all’articolo 7 o anche all’articolo 16, si presentino troppo “primitivi”.

Un Accordo che vincola solo entro certi limiti, consentendo in qualunque momento ad uno Stato (parte dello stesso) di stabilirne la decadenza, in assenza di sanzioni in caso di mancata o erronea osservanza delle procedure statuite, sicuramente non può considerarsi come uno strumento definitivo ma un utile mezzo per avviare più incisive attività in futuro.

E’ indubbio, infatti, come i modelli sin qui esaminati, si pongano come elemento di rottura rispetto alla “tradizione”, consentendo di volgere (timidamente) lo sguardo anche verso le ultime “casseforti” d’Europa, in attesa che aprano i loro forzieri (di informazioni) a vantaggio delle altre Autorità contraenti.

E’ di tutta evidenza, infatti, come nelle more di una normazione secondaria, il pericolo “imminente” (reale?) di vedere le Autorità fiscali impegnate nella ricerca o nella disamina (forse) di conti correnti o informazioni relative a patrimoni esteri possa costituire un naturale incentivo all’adesione “spontanea” a strumenti di fairplay quali, evidentemente, la voluntary discolsure.

Il timore di chi scrive, per la verità, si annida nel dubbio che, oltre i forti termini utilizzati: “FINE, CADUTA, ABOLIZIONE del segreto bancario”, gli accordi non si traducano in penetranti ed efficaci interventi di prassi interna così da consentire l’effettivo recupero di capitali fraudolentemente “custoditi” all’estero.

In ciò spicca nel dispositivo analizzato predisposto dall’OCSE, l’assenza di un obbligo esplicito in capo agli Stati contraenti di indicare una giurisdizione che possa essere chiamata a dirimere problematiche attuative dell’Accordo stesso, nel caso in cui, ad esempio, uno Stato, unilateralmente, decidesse semplicemente di non dare seguito agli accordi firmati.

Nel testo del modello si fa semplicemente rimando a norme di dettaglio o a protocolli volti a dirimere eventuali controversie circa l’interpretazione dell’Accordo medesimo, ma che rimandano alla volontà delle singole Parti contraenti.

Per sciogliere tali dubbi ed anche per comprendere come opereranno di fatto tali strumenti, dovremo necessariamente attendere le disposizioni operative dell’Agenzia delle Entrate per comprendere, in ragione delle “procedure” scelte, la reale portata degli Accordi.

Rimane, poi, comunque, per gli impenitenti, la recondita “speranza” che le future classi politiche possano decidere di rivedere o magari “terminare” gli accordi sinora perfezionati.

 

16 marzo 2015

Fabrizio Stella ed Elena Galiberti