Compensazioni di crediti inesistenti, profili penali e fiscali

a fini penali, è considerato un credito tributario non spettante quello certo nell’esistenza e nell’ammontare ma non ancora utilizzabile o non più utilizzabile

Con la sentenza n. 3367 del 26 gennaio 2015 (ud. 26 giugno 2014) la Corte di Cassazione Penale, Sez. III, ha affermato che il credito tributario non spettante, ai fini dell’art.10-quater, del D.Lgs.n.74/2000, è quello certo nell’esistenza e nell’ammontare, ma non ancora utilizzabile o non più utilizzabile.

Il fatto

Riformando integralmente la precedente sentenza emessa dal Tribunale, la competente Corte di appello ha condannato il rappresentante legale della società, in relazione alla imputazione concernente il reato previsto dall’art.-10-quater, del D.Lgs. n. 74 del 2000, per avere egli omesso di versare all’Erario, relativamente all’anno di imposta 2006, imposte e contributi previdenziali per un importo di oltre 109.000,00 Euro, attraverso la compensazione operata con l’Iva a suo credito che sarebbe stata però detraibile solo l’anno successivo.

Il giudice di prime cure aveva ritenuto non colpevole il contribuente “sulla base della duplice considerazione che, avendo egli portato a compensazione un credito esistente, seppure non ancora compensabile, non vi era stata alcuna lesione per l’erario e che, comunque, l’illecito era stato realizzato dal consulente fiscale” e non dal contribuente.

Il giudice di appello, oltre a ritenere che il contribuente risponde delle eventuali scelte sbagliate del proprio consulente, ha affermato che il credito non ancora esigibile rientrava nel genere dei crediti non spettanti.

La sentenza

La Corte prende le mosse dalla norma incriminatrice (art.10-quater del D.Lgs. n. 74/2000) che punisce la condotta di chi utilizzi in compensazione nelle dichiarazioni di imposta, crediti non spettanti ovvero inesistenti, per un ammontare superiore, per ogni periodo di imposta, ad Euro 50.000,00.

Ritiene la Corte che, mentre il concetto di credito inesistente sia di facile ed intuibile identificazione (essendo chiaramente tale il credito del quale non sussistono gli elementi costituitivi e giustificativi), la nozione di credito non spettante, non può essere ricondotta, come invece ritenuto dal ricorrente, al concetto di mera non spettanza soggettiva (essendo evidente che il portare, eventualmente, in detrazione un credito tributario, pur astrattamente esistente ma riferito ad altro soggetto, integra gli estremi della compensazione con un credito inesistente o, meglio, inesistente relativamente alla posizione del soggetto che operi la compensazione) ovvero alla pendenza di una condizione al cui avveramento sia subordinata l’esistenza del credito (infatti, anche in questo caso, laddove si tratti di condizione sospensiva, fintanto che essa sia pendente, il credito, trattandosi di fattispecie e formazione progressiva, ancora non è sorto – esso è, pertanto, inesistente -, mentre, se si trattasse di condizione risolutiva, una volta verificatasi quest’ultima, il credito stesso sarebbe definitivamente venuto meno)”.

Prosegue la sentenza, affermando che il credito tributario non spettante, ai fini dell’art.10-quater, del D.Lgs. n. 74 del 2000, sia “quel credito che, pur certo nella sua esistenza ed ammontare sia, per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile (ovvero non più utilizzabile) in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti fra il contribuente e l’Erario1”.

Il complessivo quadro giuridico di riferimento

Aspetti penali

Ai fini penali, l’art. 35, c. 7, del D.L. n. 223 del 4 luglio 2006, convertito con modificazioni in legge n. 248 del 4 agosto 2006, ha inserito, nell’ambito del D.Lgs. n. 74/2000, l’art. 10-quater, secondo cui la disposizione di cui all’art. 10-bis del D.Lgs. n. 74/2000 si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque utilizza in compensazione, ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n.241/97, crediti non spettanti o inesistenti.

In pratica, per il richiamo operato, è prevista quale conseguenza dell’indebita compensazione con crediti inesistenti o non spettanti, la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta.

In dottrina2 è stato rilevato, fra l’altro, che “il credito inesistente è quello che risulta tale fin dall’origine. Ad esempio: quando il contribuente utilizza in compensazione un credito che non risulta in dichiarazione; quando il contribuente utilizza in compensazione inconsapevolmente un credito due volte … il credito non spettante è, invece, quello, che esiste effettivamente ma che non può essere fruito in compensazione. Ad esempio, quando il contribuente utilizza in compensazione crediti eccedenti il limite annuo … quando il contribuente utilizza in compensazione crediti con un blocco alla compensazione”.

Sul punto oggi la Corte di Cassazione, con la sentenza che si annota (n. 3367/2015) ritiene che il credito inesistente è quello per il quale non sussistono gli elementi costituitivi e giustificativi. E che il portare in detrazione un credito tributario, pur astrattamente esistente ma riferito ad altro soggetto, integra gli estremi della compensazione con un credito inesistente così come quei crediti che dipendono da una condizione sospensiva non ancora avverata.

Aspetti fiscali

Ai fini fiscali, l’art. 1, c. 421, della legge n. 311/2004 ha disposto che “Ferme restando le attribuzioni e i poteri previsti dagli articoli 31 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, nonché quelli previsti dagli articoli 51 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, l’Agenzia delle entrate può emanare apposito atto di recupero motivato da notificare al contribuente con le modalità previste dall’articolo 60 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973. La disposizione del primo periodo non si applica alle attività di recupero delle somme di cui all’articolo 1, comma 3, del decreto-legge 20 marzo 2002, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 maggio 2002, n. 96, e all’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27” (cioè ai crediti d’imposta riconosciuti agli autotrasportatori per gli anni 1992, 1993 e 1994 nonché per i benefici concessi alle banche per l’effettuazione di alcuni adempimenti comunitari).

L’art. 27, cc.i da 16 a 20, del D.L. n. 185/2008, conv. in L. n. 2/2009, ha previsto che “Salvi i più ampi termini previsti dalla legge in caso di violazione che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per il reato previsto dall’articolo 10-quater, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, l’atto di cui all’articolo 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo”.

Pertanto, fatto salvo il cd. raddoppio dei termini3, solo per il recupero di crediti inesistenti utilizzati in compensazione l’ufficio può procedere al recupero degli stessi, tramite l’emissione di un apposito atto di recupero (art. 1 c. 421 legge n. 311/2004), entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo all’utilizzo del credito inesistente.

Con il comma 18 del citato articolo 27 del D.L. n. 185/08, in ordine alle sanzioni, il legislatore l’ha determinata in misura variabile dal 100% al 200%, mentre, in ordine alla riscossione coattiva il comma 19 dell’art. 27 dispone che “In caso di mancato pagamento entro il termine assegnato dall’ufficio, comunque non inferiore a sessanta giorni, le somme dovute in base all’atto di recupero di cui al comma 16, anche se non definitivo, sono iscritte a ruolo ai sensi dell’articolo 15-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602”.

Per il principio di irretroattività delle norme sanzionatorie, di cui all’art. 3, c. 1, del D.Lgs. n. 472 del 1997, che “esclude che possano operare retroattivamente le norme che introducono nuove sanzioni e quelle che rendono più onerosa una sanzione già esistente, la sanzione prevista dall’art. 27, c. 18, del D.L. n. 185 del 2008, in vigore dal 29.11.2008, si applica alle violazioni commesse a decorrere dalla predetta data.

Ricordiamo che l’art. 7, c. 2, del D.L. 10.2. 2009 n. 5, conv. in L. n. 33 del 9 aprile 2009, ha aggiunto un periodo al comma 18 dell’art. 27 del D.L. n. 185 del 2008, prevedendo l’applicazione della sanzione nella misura massima del 200% nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per un ammontare superiore a 50.ooo euro per ciascun anno solare.

La disposizione si applica alle violazioni commesse a decorrere dall’11.2.2009, data di entrata in vigore del citato D.L. n. 5 del 2009.

25 marzo 2015

Gianfranco Antico

1 Tale ricostruzione non è smentita dal precedente giurisprudenziale (Cass. Pen. Sez. II n. 37350/2013) che ha dichiarato la irrilevanza penale della condotta di chi, dopo avere portato in compensazione crediti ancora non esigibili, aveva provveduto, entro i termini previsti dalla legge, a sanare l’irregolarità realizzata, versando l’imposta che, in prima battuta, era stata indebitamente compensata. “E’ chiaro che con la riferita decisione non si è inteso affermare la legittimità della operazione di compensazione, ma rilevare che, per effetto del ravvedimento attuoso, il contribuente aveva, entro i termini di legge, provveduto al versamento delle imposte da lui dovute, in tal modo elidendo, ancor prima dell’effettivo verificarsi dell’omissione tributaria che costituisce l’evento del reato in esame, la rilevanza penale della precedente condotta”.

2 Cfr. MANZANA, Compensazione di crediti inesistenti: innalzate le sanzioni, in “Focus fiscali”, n. 2/2009.

3 Per effetto delle modifiche apportate dall’art. 37, c. 24, del D.L. n. 223/2006, convertito in legge n. 248/2006, all’art. 43 del D.P.R. n. 600/71973, dopo il comma 2 è stato previsto che: “In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione“; parallelamente, ai fini Iva, è stato integrato l’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972. Rileviamo che con la sentenza n. 13/2/13 del 29 gennaio 2013 ha Commissione tributaria provinciale di Lecce ha riconosciuto all’ufficio la possibilità di godere del raddoppio dei termini per la notifica degli atti di recupero dei crediti d’imposta, in presenza di crediti inesistenti o non spettanti. Al di là del merito, i giudici di Lecce affermano che l’avviso di recupero non è stato notificato oltre i termini di decadenza previsti dall’art. 43 del d.p.r. 600/73, essendo applicabile, nella fattispecie, l’art. 27, c. 16, del d.l. 185/08. “Osserva questa commissione che, a seguito dell’emanazione del precitato decreto legge, l’atto di recupero del credito può essere notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo (e non il quarto) a quello in cui è stato utilizzato (art. 27, comma 16). I nuovi termini si applicano a decorrere dalla data di presentazione del modello F24 nel quale sono indicati i crediti utilizzati in compensazione in anni con riferimento ai quali, al 29.11.2008, siano ancora pendenti gli ordinari termini di decadenza dal potere di accertamento. Il termine di otto anni riguarda, quindi, i crediti utilizzati in compensazione a partire dall’anno 2003, essendo ancora pendente, alla data del 29.11.2008, il termine per l’accertamento di tale annualità”. La norma (art. 27 c. 16 D.L. 185/2008) rinvia all’art. 1 della Finanziaria del 2005, “il quale, a sua volta, parla di recupero di crediti indebitamente utilizzati, senza fare alcuna distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti. Nel caso di avvisi di recupero aventi ad oggetto crediti per investimenti in aree svantaggiate previsti dall’art. 8 della L. 388/2000, un’interpretazione restrittiva della disposizione contenuta nell’art. 27, comma 16, si concretizzerebbe in una interpretatio abrogans della disposizione sopra citata, risultando difficile, in questi casi, parlare di crediti materialmente inesistenti, che non deve intendersi in modo assoluto, quale inesistenza materiale del credito, ma in senso relativo facendo riferimento alla presenza dei requisiti oggettivi e soggettivi come richiesti dalla norma. Mancando tali requisiti il credito non può venire ad esistenza”.