Quando la palestra non è un’associazione sportiva dilettantistica

la palestra che effettua principalmente attività di fitness (o similare) destinata al singolo utente e non promozione allo sport non può essere considerata un ente non commerciale, bensì è un’impresa commerciale, ecco tutte le motivazioni… (Giovambattista Palumbo & Mariella Lancellotti)

Con la sentenza n. 1373/6/2014, la Commissione Tributaria Provinciale di Firenze ha respinto il ricorso di un’associazione sportiva dilettantistica, nella specie una palestra, escludendo la natura non lucrativa dell’ente sottoposto a controllo.

I giudici di merito hanno evidenziato, in particolare, che

“dall’analisi dell’attività svolta da parte ricorrente e dalla sua organizzazione si evince chiaramente come si tratti di impresa commerciale, essendo incentrata in modo pressoché esclusivo sulla pratica del fitness che, nell’ambito della palestra sottoposto a controllo, si concretizza in una disciplina individualistica, il cui obiettivo principale è il benessere del fisico del singolo e non la promozione dello sport”.

Correttamente, il collegio giudicante ha osservato anche come l’interpretazione della normativa, trattandosi di disciplina agevolativa, vada operata in senso restrittivo.

Questi i fatti oggetto del contenzioso.

la palestra di fitness non è un ente non commercialeA seguito di una verifica fiscale, in cui veniva acquisita tutta la documentazione contabile ed extracontabile necessaria, l’ufficio escludeva la natura non lucrativa dell’ente sottoposto a controllo e concludeva per la sua natura commerciale ai sensi degli articoli 73 e 149 del Tuir. Ne seguiva anche il disconoscimento dell’agevolazione fiscale prevista per i compensi erogati agli atleti dilettanti ed equiparati, con il conseguente recupero delle ritenute non operate e le sanzioni per omesso versamento.

L’istruttoria svolta rivelava, in particolare, che l’associazione recepiva solo formalmente le clausole previste dalla legge per usufruire delle agevolazioni fiscali previste a favore delle associazioni sportive dilettantistiche, rivelando in concreto un comportamento sostanziale conforme a quello di una vera e propria impresa commerciale, diretta a fornire servizi remunerati dalla controprestazione monetaria dei frequentatori della palestra.

Nulla, dunque, differenziava secondo gli accertatori l’attività svolta dalla contribuente dall’attività imprenditoriale svolta da qualsiasi altra palestra.

Il contribuente opponeva ricorso ed evidenziava, in particolare, come a suo avviso non sussistevano le difformità tra quanto previsto dallo statuto dell’ente, le modalità di svolgimento dell’attività all’interno dell’associazione ed i requisiti normativi previsti per l’accesso alle agevolazioni.

L’Ufficio, in contrario, osservava che le argomentazioni svolte dal ricorrente si limitavano ad un piano esclusivamente formale e non trovavano conferma in base alla legislazione vigente.

Conseguentemente, del tutto legittimo doveva ritenersi l’operato dell’Ufficio che, lungi dal limitarsi alla “forma” assunta da un ente al fine di usufruire di consistenti agevolazioni fiscali, volesse indagare sulla reale natura dello stesso e sull’attività specificamente svolta.

E, nel caso di specie, dalla suddetta indagine era emerso che le attività gestite dalla palestra non erano funzionali alla promozione di specifici valori sportivi.

L’attività era infatti incentrata in modo esclusivo sulla pratica del fitness, che si concretizza in una disciplina individualistica, il cui obiettivo principale non è la promozione dello sport, bensì il benessere fisico del singolo, fornendo servizi personalizzati per la soddisfazione di bisogni individuali (forma fisica, dimagrimento, wellness) spesso abbinati a trattamenti estetici.

L’associazione, tranne in casi marginali, non organizzava del resto gruppi per la partecipazione a gare, campionati, concorsi o altre manifestazioni di carattere sportivo, né svolgeva attività formativa, limitandosi a fornire servizi personalizzati per la soddisfazione di bisogni individuali (forma fisica, dimagrimento…) spesso abbinati a trattamenti estetici.

L’Ufficio osservava inoltre come anche l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con provvedimento n. 10784 del 23.05.2002, avesse enunciato che il fitness non può essere identificato con una disciplina sportiva precisamente individuabile e che la pratica del fitness ed il suo insegnamento non sono assoggettati ad una precisa regolamentazione facente capo alle Federazioni Sportive riconosciute dal CONI.

Ugualmente, l’organizzazione dell’associazione rilevava numerose criticità, quali:

  • la mancanza di democraticità del rapporto associativo e gestione di fatto da parte dei membri del Consiglio Direttivo e segnatamente da parte del rappresentante legale;
  • la mancata consapevolezza, in coloro che frequentavano la palestra, del significato del vincolo associativo e dei diritti e doveri connessi (come da questionari compilati dagli utenti durante la
  • verifica);
  • la non conformità dello Statuto alle clausole previste dall’art. 148, comma 8 del TUIR e dall’art. 90, comma 18, Legge 289/2202; – l’omessa indicazione della denominazione sociale dilettantistica nelle comunicazioni rivolte al pubblico;
  • l’indebita distribuzione di utili, in seguito al contratto di uso delle attrezzature stipulato con una società, il cui amministratore era in rapporti di parentela con il rappresentante legale della palestra .
  • l’organizzazione e la gestione improntate su criteri di natura prettamente commerciali (tariffe differenziate a seconda del servizio reso, che hanno la connotazione di corrispettivo, ricorso a sconti ed a offerte promozionali, forme di pubblicità tradizionalmente usate da imprese commerciali);
  • fatti e circostanze che,  ai sensi degli articoli 73 e 149 DPR  917/86, determinavano la configurazione di ente di natura commerciale, ab origine.

Né l’operato dell’Ufficio era sconfessato, come dedotto dalla ricorrente, dall’iscrizione al CONI o da riconoscimento della FISE, trattandosi invero di argomentazioni solo formali.

Anche la Cassazione, del resto, accoglie un’impostazione sostanzialistica in tema di agevolazioni fiscali previste per le associazioni sportive dilettantistiche.

Si ricorda, ad esempio, la sentenza n. 22739 del 2008, che ha accolto il ricorso dell’Amministrazione censurando la sentenza impugnata proprio per

“carente motivazione in ordine all’effettiva corrispondenza ai suoi fini istituzionali dell’attività in concreto esercitata dall’associazione, posto che nella motivazione della sentenza impugnata si fa discendere tale corrispondenza dalla sola circostanza che la contribuente abbia avuto il riconoscimento della F.I.S.E., il che implica unicamente la conformità dello Statuto associativo ai principi della Federazione ma non autorizza a presumere la corrispondenza dell’attività in concreto esercitata ai principi stessi a fronte dei diversi elementi accertati dall’Ufficio e non valutati dal giudice di merito” .

Di analogo tenore la sentenza n. 11456/2010, in cui i giudici di legittimità hanno affermato che

“Deve, infatti, ritenersi che l’applicazione alle associazioni sportive dilettantistiche, ed agli altri enti associativi ivi elencati, del trattamento agevolato previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 111 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4 come modificati, con evidente finalità antielusiva, dal D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, art. 5 – trattamento correlato ai fini di rilevanza sociale perseguiti dagli enti medesimi e ritenuti dal legislatore meritevoli di particolare tutela, è soggetta alla condizione dell’inserimento, negli atti costitutivi o negli statuti, di tutte le clausole in tale norma dettagliatamente indicate (entro il termine, per le associazioni già costituite alla data del 1 gennaio 1998, del 18 dicembre 1998), nonché, ovviamente, all’accertamento – effettuato dal giudice di merito con congrua motivazione – che l’attività delle associazioni si svolga, in concreto, nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute nelle clausole stesse. Non è affatto sufficiente, pertanto, al fine della fruizione del trattamento tributario di favore in esame, né la mera appartenenza dell’ente alla categoria delle associazioni in questione, né la conformità dello statuto alle norme stabilite per il riconoscimento della relativa qualifica”.

Quanto alle pronunce di merito sulla materia, si segnala infine anche la recente sentenza della CTR Toscana n. 1934/5/14, che ha respinto l’appello del contribuente (una palestra) con la seguente motivazione:

“Nello specifico, non c’è dubbio che, come dimostrato dall’ufficio e riportato nell’impugnata decisione, lo scopo prevalente dell’appellante fosse quello di offrire, a tutti coloro che lo volessero, servizi diretti al conseguimento del benessere fisico, dietro pagamento di apposito corrispettivo. Ne consegue che – indipendentemente da ogni altra considerazione sulla non compiutamente dimostrata occasionalità delle prestazioni fornite – nei confronti dei collaboratori non possono ritenersi applicabili le invocate previsioni dell’art. 67 T.U.l.R.”.

In conclusione, nell’ambito dell’attività di controllo, può essere richiesta ed acquisita tutta la documentazione contabile ed extracontabile necessaria, sulla base della quale l’Ufficio può escludere la natura non lucrativa dell’ente sottoposto a controllo e concludere per la sua natura commerciale ai sensi degli articoli 73 e 149 del DPR 917/1986.

Ciò sulla base di una serie di dati normativi, contabili, organizzativi e strutturali dell’associazione, laddove tutti convergenti nel senso di escludere la natura non lucrativa dell’ente e con essa il diritto ad usufruire delle relative agevolazioni in materia fiscale.

Da qui l’inquadramento dell’ente tra quelli di soggetti all’imposta sul reddito delle società di cui all’art. 73, comma 1, lett. b) del TUIR con tutte le conseguenze di legge ai fini IRES, IRAP ed IVA.

Laddove del resto venga disconosciuta la natura di associazione sportiva dilettantistica, sarà allora altresì disconosciuta l’agevolazione fiscale prevista per i compensi erogati agli atleti dilettanti ed equiparati e l’Ufficio potrà anche recuperare le ritenute non operate, irrogando altresì le sanzioni per omesso versamento.

I controlli riguarderanno in questi casi sia l’aspetto formale, ovvero la contabilità e la documentazione prodotta, che l’aspetto sostanziale, ovvero il controllo dell’effettiva sussistenza, in capo al soggetto sottoposto a controllo, delle condizioni previste dalla normativa vigente per l’applicazione del regime agevolato per le associazioni sportive dilettantistiche, ovvero:

  1. Mancata dimostrazione della partecipazione alla vita ed alla gestione dell’associazione, da parte dei soci;
  2. Mancata dimostrazione della validità delle assemblee, del numero legale dei presenti, della effettiva partecipazione alle stesse;
  3. Mancata istituzione di scritture sociali (libro del Consiglio direttivo, libro soci) in violazione delle previsioni statutarie;
  4. Mancata redazione del rendiconto: violazione dell’obbligo di redigere e approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie da parte del Consiglio direttivo ed in base a quanto previsto anche all’art. 148, comma 8 del TUIR.
  5. Mancata possibilità di riscontro dell’assenza del fine di lucro;
  6. Mancata possibilità di riscontro del divieto di distribuzione di utili;
  7. Mancata possibilità di riscontro dell’entità delle entrate derivanti dalle quote associative e/o dai corrispettivi specifici eventualmente versati dagli associati per poter usufruire dei corsi e della destinazione degli stessi agli scopi sociali;
  8. Mancata possibilità di riscontro della correttezza dell’erogazione dei compensi agli istruttori.

Tali mancanze saranno ancor più evidenti laddove non sia possibile appurare se l’organizzazione e la gestione dell’associazione siano improntati su criteri di natura prettamente non commerciale e non sia magari neppure possibile verificare il rispetto del divieto di distribuzione, anche indiretta, di utili a causa della mancata produzione del rendiconto relativo all’anno oggetto di accertamento (previsto dall’art. 90, c. 18, lett d., l. n. 289/2002 e dall’art. 148, c. 8, lett. a, Tuir).

Le associazioni sportive, del resto, pur non essendo obbligate alla tenuta delle scritture contabili obbligatorie, devono comunque porre in essere una serie di adempimenti documentali, da cui si possa dedurre la natura “dilettantistica” e le modalità di esercizio dell’attività, laddove il rendiconto economico finanziario rappresenta senza dubbio uno strumento di trasparenza e di controllo dell’intera gestione economica e finanziaria dell’associazione, da cui poter desumere non soltanto il risultato economico dell’anno, ma anche la corretta destinazione degli utili di esercizio prodottisi nel corso degli anni ovvero delle modalità di copertura delle eventuali perdite.

Senza un controllo della contabilità e del rendiconto non vi è infatti modo per l’associazione di dimostrare all’Amministrazione Finanziaria che tutti i proventi riscossi rientrino tra quelli di natura istituzionale e che l’eventuale avanzo di gestione sia stato reinvestito nell’ambito dell’attività sociale.

E trattandosi di un onere probatorio posto a carico dell’associazione che voglia usufruire delle agevolazioni fiscali previste in tema di A.S.D., legittimamente l’Ufficio ne può far scaturire, assieme ad altri elementi, la perdita delle agevolazioni in commento.

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5 febbraio 2015

Giovambattista Palumbo

Mariella Lancellotti