Quando esiste di fatto l'incertezza normativa?

per incertezza normativa oggettiva tributaria deve intendersi la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto

Con l’ordinanza n. 17250 del 29 luglio 2014 (ud. 18 giugno 2014) la Suprema Corte di Cassazione ha ricordato, nel solco di una serie di precedenti (Cass. 28.11.2007n. 24670, Cass. 21.03.2008, n. 7765 e Cass. 11.09.2009 n. 19638), che per “incertezza normativa oggettiva tributaria” deveintendersi la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazioneper effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primoluogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che ècaratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice,d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimentointerpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la qualeeffettuare la sussunzione di un caso di specie.

L’essenza del fenomeno “incertezza normativa oggettiva” si può rilevare attraverso una serie di “fatti indice” che compete “al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati esemplificati: 1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale; 8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente. Tali fatti devono essere accertati ed esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della formazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili“, cfr. Cass. n. 4685/2012.

 

Proprio richiamando tali principi, ai quali è stata data continuità da Cass. nn. 14080/2013, 5210/2013 e 5207/2013, per la Corte appare evidente e conclamata la presenza di una situazione di incertezza nel caso di specie.

In questa direzione milita, per un verso, l’esistenza – per quanto è noto -, rispetto alla questione dei bonus qualitativi riconosciuti ai concessionari di autovetture dalle case automobilistiche, di un unico precedente di legittimità, peraltro favorevole al contribuente – Cass. n. 12751/2011… D’altra parte, assume non minore rilievo ai fini della sussistenza di un’obiettiva incertezza, sul versante della prassi amministrativa, la nota dell’Agenzia delle Entrate n. 2009/74786 – richiamata dalla ricorrente nel ricorso – pag.21 – relativa al ‘Trattamento ai fini IVA dei bonus qualitativi erogati ai concessionari di autoveicoli’. In tale ultima occasione l’Ufficio, pur rammentando la precedente Risoluzione 120/E del 204 e la successiva risoluzione n. 36/E del 7 febbraio 2008, entrambe fondate sulla distinzione, ai fini dell’assoggettabilità a IVA, tra bonus quantitativi e bonus qualitativi, ha dato atto che ‘… la questione ha dato origine, in particolare a partire dal 2007, ad un diffuso contenzioso con esiti presso le Commissioni tributarie provinciali e regionali in netta prevalenza sfavorevoli all’Agenzia delle entrate’“.

Prosegue la sentenza: “proprio in ragione delle difficoltà connesse, per un verso, alla netta differenziazione, all’interno dei singoli contratti conclusi fra concessionari e casa madre, fra bonus c.d. quantitativi – considerati esenti da IVA in quanto soggetti alla disciplina di abbuoni e sconti – e bonus qualitativi – invece qualificati come relativi a prestazioni di servizio aggiuntive da parte dei concessionari, come tali soggetti ad IVA alla stregua del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 1 – e, per altro verso, alla diversità di indirizzi adottati dalle Direzioni regionali, l’Agenzia chiedeva ‘… alle strutture territoriali, in tutti i casi in cui ricorrono le circostanze fattuali sopra descritte, di non proseguire nelle attività di controllo (astensione dalla formulazione di rilievi, archiviazione dei processi verbali di constatazione e delle segnalazioni, annullamento in autotutela, anche d’ufficio, degli avvisi di accertamento già emessi, limitatamente ai rilievi in questione)’ parimenti chiedendo ‘… di riesaminare le controversie pendenti concernenti la materia in esame e di abbandonare – con le modalità di rito, tenendo conto dello stato e del grado di giudizio – la pretesa tributaria relativamente alle fattispecie sopra evidenziate, sempre che non siano sostenibili altre questioni“.

Conclude la Corte affermando che “sulla base di tali considerazioni, non pare potersi disconoscere, nel caso di specie, una condizione di obiettiva incertezza in ordine sulla portata e sull’ambito di applicazione della normativa tributaria. Tanto giustifica l’esonero dal pagamento delle sanzioni irrogate alla società contribuente e, dunque, l’illegittimità dell’atto di constatazione”.

Brevi note

La sentenza che si annota, unitamente alle altre pronunce emesse nel corso di questi anni (in particolare la n. 4685/2012) e qui riportate, e al pensiero dell’amministrazione finanziaria (CM n .98/1996 e n. 180/1998), consente al Lettore di avere preciso quadro di riferimento dell’ambito di applicazione dell’art. 8, del D.Lgs. n. 546/92.

 

Ricordiamo che, con la sentenza n. 20302 del 4 settembre 2013 (ud 4 luglio 2013) la Corte di Cassazione ha osservato che, “l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, in base al principio generale stabilito nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, poi inserito nel c.d. Statuto del contribuente dal D.Lgs. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, ossia insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento di interpretazione, in presenza di pluralità di prescrizioni di coordinamento difficoltoso per via di elementi positivi di confusione, che è onere del contribuente allegare; dette insicurezza ed equivocità, inoltre, vanno riferite non già ad un generico contribuente, nè a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di un determinata interpretazione (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 24670 del 28/11/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 2192 del 16/02/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 13457 del 27707/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 18434 del 26/10/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 4522 del 22/02/2013; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3245 del 11/02/2013)”. Nel caso sottoposto alla Corte, ”non è stato allegato dalla parte ricorrente nè risulta al Collegio che le disposizioni normative statali e comunitarie in materia di regime del margine abbiano dato luogo, in sede giurisdizionale, a differenti soluzioni interpretative contrastanti pur se da ritenersi egualmente valide in quanto fondate sulla corretta applicazione dei criteri ermeneutici, con la conseguenza che la prospettata difformità interpretativa delle norme in questione, riferita alle circolari amministrative indicate, non è idonea ad elidere, nella specie, la sanzionabilità della condotta violativa del regime fiscale del margine d’utile”.

 

Ancora di recente, con la sentenza n. 208 del 9 gennaio 2014 (ud 16 ottobre 2013) la Cassazione ha richiamato il principio più volte affermato secondo cui, “intema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie,l’incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione delcontribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, postula unacondizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e suidestinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocitàdel risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazionenormativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a queicontribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci diinterpretazione normativa qualificata, e tanto meno all’Ufficio finanziario,ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione.Tale verifica è censurabile in sede di legittimità per violazione di legge,non implicando un giudizio di fatto, riservato all’esclusiva competenza delgiudice di merito, ma una questione di diritto, nei limiti in cui la stessarisulti proposta in riferimento a fatti già accertati e categorizzati nelgiudizio di merito (tra le tante, Cass. nn. 24670 del 2007, 19638 del 2009,2192, 4685, 13457 e 18434 del 2012, 3245 e 6190 del 2013)”.

 

E con l’ordinanza n.2379 del 4 febbraio 2014 la Corte di Cassazione ha ribadito i principi contenuti nella pronuncia n.14476/2003, secondo cui “In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme alle quali la violazione si riferisce potere riconosciuto dall’art. 39 bis del dPR 26 ottobre 1972, n.636 (applicabile ‘ratione temporis’), tenuto fermo dall’art. 8 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e ribadito, con più generale portata, dall’art. 6, comma secondo, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 – sussiste quando la disciplina normativa, della cui applicazione si tratti, si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità’ del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione, il cui onere di allegazione grava sul contribuente“.

 

E da ultimo (sentenza n. 11452 del 23 maggio 2014, ud. 31 gennaio 2014), ha ribadito l’orientamento secondo cui, “in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatati della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata, e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione. Tale verifica è censurabile in sede di legittimità per violazione di legge, non implicando un giudizio di fatto, riservato all’esclusiva competenza del giudice di merito, ma una questione di diritto, nei limiti in cui la stessa risulti proposta in riferimento a fatti già accertati e categorizzati nel giudizio di merito (tra le più recenti, Cass. nn. 13457 e 18434 del 2012, 3245 e 4522 del 2013)”.

 

In sede di prassi, la C.M. n. 98/E del 23 aprile 1996 (in ordine all’art. 8 D.Lgs. n. 546/72) ha ritenuto che “deve trattarsi di incertezza oggettiva – come, ad esempio, nei casi di divergenze di contenuto tra atti ufficiali dell’amministrazione – non anche di incertezza derivante da condizioni soggettive del ricorrente”. La stessa Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 180/E del 10 luglio 1998 ha chiarito che “si deve reputare che sussista incertezza obiettiva di fronte a previsioni normative equivoche, tali da ammettere interpretazioni diverse e da non consentire, in un determinato momento, l’individuazione certa di un significato determinato. Una tale situazione, non infrequente rispetto alle norme tributarie assai spesso complesse e non univoche, si può verificare, ad esempio, in presenza di leggi di recente emanazione rispetto alle quali non si sia formato un orientamento interpretativo definito, ovvero coesistano orientamenti contraddittori.”

12 settembre 2014

Gianfranco Antico