Vecchio sintetico: le prove dal contribuente

nel vecchio accertamento sintetico quali erano le prove che il contribuente poteva portare al Fisco per giustificare i presunti redditi contestati in base ai parametri di capacità contributiva?

Con la sentenza n. 8995 del 18 aprile 2014, la Corte di Cassazione torna ad occuparsi della questione della prova in materia di accertamento sintetico.

La Corte cassa la pronuncia di secondo grado che aveva affermato che l‘Ufficio aveva errato nel considerare rilevante ai fini del redditometro un’autovettura che non era nella disponibilità del contribuente, e che, in ogni caso, il contribuente aveva dimostrato di avere avuto nella propria disponibilità, in relazione agli anni in questione, redditi esenti per £ 51.100.000 e per £ 106.067.670.

La sentenza

Preso atto del vecchio dettato normativo, secondo cui (art. 38 c. 6 DPR n. 600/1973) l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione“.

Per la Corte, “ a norma chiede dunque qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati”.

Aggiunge la Corte “che la prova documentale richiesta dalla norma in esame non risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la “durata” del possesso dei redditi in esame (quindi non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente). È infine da evidenziare che questa Corte, in relazione all’accertamento sintetico del reddito, con riferimento a spese per incrementi patrimoniali, ha avuto occasione di affermare che “la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dall’art. 38, sesto comma, DPR n. 600/1973 non riguarda la sola disponibilità di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, e non già con qualsiasi altro reddito (dichiarato)” (cfr. Cass. n. 6813/2009)”.

Osservano i massimi giudici che, nel caso di specie, “ risulta accertato che il contribuente ha fornito la prova dell’esistenza e dell’ammontare della disponibilità, nel periodo in contestazione, di redditi risultanti da disinvestimenti azionari, ma non risulta accertato che abbia altresì fornito idonea prova, tantomeno documentale, della “durata” del possesso dei suddetti redditi esenti, prova necessaria, come sopra evidenziato, a consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi”.

Le nostre considerazioni

Lo strumento dell’accertamento sintetico misura la capacità contributiva del soggetto sottoposto a controllo e permette all’ufficio finanziario, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, di determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente, quando il reddito accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato, e per almeno un biennio (norma ante riforma).

Qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti (norma soppressa nel nuovo redditometro).

Il contribuente ha facoltà di dimostrare, attraverso idonea e probante documentazione, sia prima che dopo la notificazione dell’avviso di accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta: ovviamente l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione.

La circolare n. 101/E del 30 aprile 1999 aveva già posto in risalto che “in sede di valutazione delle prove giustificative addotte dal contribuente“ occorre attenersi “ai necessari principi di ragionevolezza, al fine di pervenire a determinazioni reddituali convincenti e sostenibili, secondo gli ordinari canoni probatori“ e “considerata l’inevitabile imprecisione dello strumento presuntivo … si sottolinea l’esigenza di un suo attento e ponderato utilizzo da parte degli uffici, soprattutto nei casi in cui la ricostruzione presuntiva del reddito sia essenzialmente fondata su fatti-indice che costituiscono soddisfacimento di bisogni primari o che sono caratterizzati da elevata rigidità (in particolare, spese per l’abitazione e spese per mutui immobiliari)“.

Successivamente, la circolare n.49/2007, invita gli Uffici a valutare la probatorietà della “documentazione prodotta dal contribuente”.

La prova contraria, nei casi in cui l’amministrazione finanziaria proceda all’accertamento dei redditi del contribuente in base alla presunzione secondo cui l’acquisto di beni di ingente valore (come nel caso di specie) è indizio del possesso di un reddito adeguato a sorreggere l’acquisto stesso, rimane a carico del contribuente.

Il thema decidendum rimane perciò circoscritto alla questione della sufficienza della prova, che il contribuente deve offrire, sul fatto che l’elemento posto dagli organi di controllo, a base della presunzione di reddito, non è invece indice di capacità contributiva.

Ricordiamo che, nell’ambito dell’onere della prova su accertamenti sintetici, con sentenza n. 6813 del 20 marzo 2009 (ud. dell’11 febbraio 2009) la Corte di Cassazione, ha peraltro affermato in ordine ai redditi esenti che l’interpretazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/73 non è “conforme alla lett. e, soprattutto, alla ratio della norma perché postula una scissione tra 1) dimostrazione documentale del possesso dei redditi determinati sinteticamente dall’Ufficio in base al fatto che il contribuente abbia sostenuto una spesa per incrementi patrimoniali e 2) prova dell’impiego materiale di tali redditi inammissibile perché nel sesto comma dello stesso art. 38 (‘il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta’; ‘l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione’) il legislatore individua l’oggetto della prova liberatoria a carico del contribuente unicamente nella (dimostrazione della) identità della ‘spesa per incrementi patrimoniali’ con ‘redditi esenti o … soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta’: per la norma, quindi, non è sufficiente la prova della sola disponibilità di ‘redditi’ – e men che mai di ‘redditi esenti’ ovvero di ‘redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta’ – ma è necessario anche la prova che la ‘spesa per incrementi patrimoniali’ sia stata sostenuta, non già con qualsiasi altro reddito (ovviamente dichiarato), ma proprio con redditi ‘redditi esenti o … soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta’; la scissione supposta, peraltro, ridonda illogicamente a danno del contribuente perché senza (la prova anche de) il nesso eziologico tra possesso di redditi e spesa ‘per incrementi patrimoniali’, questa spesa (siccome univocamente indicativa, per presunzione di legge, della percezione di un reddito corrispondente) continuerebbe a produrre i suoi effetti presuntivi a danno del contribuente, non avendo lo stesso superato la forza della presunzione iuris tantum (‘la stessa si presume’) posta, a suo svantaggio, dalla norma. Nel caso i contribuenti hanno dedotto solo il preteso possesso di redditi che assumono sufficienti ma non hanno mai neppure allegato né che proprio quei redditi erano stati impiegati per affrontare la ‘spesa per incrementi patrimoniali’ recuperata a tassazione dall’Ufficio né, soprattutto, che quegli stessi redditi erano ‘esenti’ da imposta o erano stati già assoggettati ‘a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta’”.

23 giugno 2014

Francesco Buetto