La presentazione del modello 770 è sufficiente per contestare il reato di omesso versamento delle ritenute

la presentazione del modello 770 rappresenta l’elemento sufficiente per provare l’effettivo pagamento delle retribuzioni ai dipendenti e per inchiodare il datore di lavoro che ha omesso di versare all’erario le ritenute operate sulla busta paga dei dipendenti; non è, pertanto, necessario verificare se le certificazioni siano, o meno, state rilasciate in quanto la prova dell’avvenuto pagamento la si può ricavare dal modello 770

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 19454, del 12 maggio 2014, ha affermato che è sufficiente il modello 770 per verificare se l’imprenditore abbia, o meno , versato i contributi dei propri dipendenti; tale modello è sufficiente per condannare l’imprenditore anche in assenza delle relative certificazioni (modello CUD o altre certificazioni).

 

Il fatto

Con sentenza dell’ottobre 2013 la Corte di Appello, in riforma della sentenza del Tribunale ordinario che aveva condannato un imprenditore per i reati di cui all’art.10- bis, D.Lgs. 74/2000, rideterminava la pena per il residuo reato in mesi 5 e giorni 24 di reclusione nei confronti dello stesso imprenditore.

Preliminarmente la Corte territoriale rigettava l’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio. La Corte territoriale riteneva che la presentazione dei Mod.770, con allegate le attestazioni nominative, era indice delle operate ritenute e dell’avvenuto rilascio delle attestazioni, elementi che facevano indurre i giudici del merito per la colpevolezza dell’imprenditore, per il reato di omessa versamento delle ritenute dei propri dipendenti.

Avverso tale sentenza l’imprenditore ricorreva in Cassazione sostenendo che non vi era prova in ordine alla consegna delle certificazioni relative alle somme trattenute e da versare all’erario, per cui, in mancanza di tale presupposto, non era configurabile il reato contestato.

Nel corso delle indagini il P.M. aveva fatto espressa richiesta all’Agenzia delle Entrate, la quale aveva comunicato di essere impossibilitata a verificare se il sostituto di imposta avesse provveduto a rilasciare le certificazioni.

Il reato penale di omesso versamento delle ritenute certificate

La legge 30.12.2004, n. 311 (cd. Finanziaria per il 2005) ha introdotto nel sistema normativo penale tributario la fattispecie incriminatrice di “Omesso versamento di ritenute certificate”, inserendo nel capo II, del D.Lgs. n. 74/2000, l’art. 10-bis, secondo il quale “chiunque non versi entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta è punito con la reclusione da sei mesi a due anni”.

Il delitto di omesso versamento di ritenute certificate ha natura di reato proprio: il potenziale autore del reato può essere esclusivamente il sostituto d’imposta, quale unico soggetto legittimato ad effettuare le ritenute, a rilasciare la relativa certificazione e a versare il corrispondente importo al fisco. Per la concreta individuazione dei soggetti che rivestono la qualifica di sostituto d’imposta e, quindi, dei probabili soggetti attivi del reato occorre far capo alla normativa tributaria, segnatamente agli artt. 23 e ss. del D.P.R. n. 600/1973, ove sono indicati i soggetti obbligati ad operare la ritenuta sui compensi corrisposti.

La fattispecie in esame è strutturata secondo lo schema dei reati di pura omissione: la condotta si concreta, infatti, nel mancato versamento all’Erario delle ritenute operate e certificate entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta (in sostanza entro il termine di presentazione del modello 770).

Tale figura delittuosa non è nuova nell’ordinamento penale tributario, in quanto il D.L. 10 luglio 1982, n. 429, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 1982, n. 516, aveva già previsto, all’art. 2, cc. 2 e 3, due diverse fattispecie penali relative all’omesso versamento di ritenute da parte del sostituto d’imposta. La norma veniva abrogata a seguito dell’entrata in vigore della riforma dei reati tributari, attuata con il citato decreto n. 74 del 2000: fra i principi posti dal legislatore delegante, vi era infatti l’introduzione di un ristretto numero di figure penalmente rilevanti, di natura esclusivamente delittuosa, caratterizzate da una rilevante lesione degli interessi dell’Erario. Sotto il profilo soggettivo, la nuova disciplina ancorava la sanzione penale al configurarsi di condotte caratterizzate dal dolo specifico di evadere le imposte, così recependo le critiche mosse alla L. 516/1982, con le quali si confutava la reale offensività di mere condotte omissive. Tuttavia, l’esperienza post riforma, come si legge nella relazione illustrativa alla Legge Finanziaria del 2005, ha registrato che “la constatata frequenza del fenomeno ed il danno che da tali comportamenti deriva all’Erario, rendono necessario assicurare tutela penale all’interesse protetto dalla corretta e puntuale percezione dei tributi”.

Esigenza ancor più sentita, sottolinea la relazione, allorché il comportamento omissivo sia posto in essere da soggetti delegati dall’Erario al versamento di somme dovute da terzi. Preso atto del dilagare del fenomeno evasivo e nella necessità di trovare validi deterrenti, il legislatore ha quindi ricollocato l’omesso versamento di ritenute certificate tra le condotte penalmente rilevanti disciplinate dal D.Lgs. n. 74/2000.

Il nuovo art. 10-bis prevede, dunque, che “è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta”.

È dunque necessario per il concretizzarsi della fattispecie:

il rilascio della certificazione ai sostituiti delle ritenute effettuate;

l’omesso versamento di queste da parte del sostituto entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale.

Nonostante la lettera della norma riferisca la condotta sanzionata a “chiunque”, il delitto de quo è reato proprio perché può essere commesso esclusivamente da colui che riveste la qualità di sostituto di imposta.

Nello specifico, sono sostituti d’imposta:

le amministrazioni dello Stato, comprese quelle con ordinamento autonomo;

gli enti e le società (di capitali, cooperative, enti pubblici e privati);

le società e associazioni indicate nell’art. 5 del Testo unico delle imposte sui redditi ovvero società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice, associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni;

le persone fisiche che esercitano imprese commerciali, o agricole;

le persone fisiche che esercitano arti o professioni;

il curatore fallimentare, il commissario liquidatore.

Tutti questi soggetti assumono la qualifica di sostituto d’imposta quando corrispondono compensi, sotto qualsiasi forma, interessi, proventi e altre somme soggette a ritenute alla fonte (redditi di lavoro dipendente, redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, etc.).

L’analisi della Cassazione

Per la Corte di Cassazione il ricorso è infondato. Quanto al merito, non c’è dubbio che il legislatore, nel reintrodurre la sanzione penale di cui all’art.10 bis D.Lgs. 74/2000 con la L. 311/2004, abbia esplicitato in modo assolutamente chiaro che essa trova applicazione soltanto sulle ritenute effettivamente operate sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti. Di qui il riferimento alle “certificazioni rilasciate ai sostituiti” in luogo della più generica formula contenuta nell’art. 2 D.L. 429/1982 conv. in L. 516/82 (“le ritenute effettivamente operate, a titolo di acconto o di imposta, sulle somme pagate…“).

Se dunque la norma di cui all’art.10 bis D.L.vo 74/2000 si propone di sanzionare l’omesso versamento, nel termine previsto, delle ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto di imposta, sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, non vi è ragione per ritenere che la prova di ciò debba ricavarsi solo dalle “certificazioni” senza possibilità di ricorrere ad “equipollenti”.

L’onere della prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate, trattandosi di elemento costitutivo del reato, grava, senza dubbio alcuno, sulla pubblica accusa, anche se può assolverlo mediante il ricorso a prove documentali o testimoniali oppure attraverso la prova indiziaria.

La Corte di Appello ha correttamente ritenuto che la prova del rilascio della certificazione (e quindi della effettiva corresponsione delle retribuzioni e delle trattenute operate) potesse ricavarsi da un dato assolutamente non equivoco, in quanto proveniente dallo stesso datore di lavoro obbligato.

Con accertamento in fatto ha ritenuto, che “Non è quindi necessario verificare, sostituito per sostituito, se questi ultimi abbiano ricevuto l’attestazione (Mod. CUD o altro) da parte del sostituto, poiché la presentazione della dichiarazione Mod.770, con allegate le attestazioni nominative, è indice inequivocabile delle operate ritenute e delle rilasciate certificazioni“.

La giurisprudenza di legittimità, come già affermato in precedenze da un consolidato orientamento della Cassazione, ha ritenuto che “la prova della certificazione … emergeva … dalla dichiarazione effettuata nel modello 770, nel quale, in veste di sostituto di imposta, l’imputato aveva dichiarato l’ammontare da lui dovuto a titolo di ritenute sui redditi di lavoro“.

Per tale motivazione la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

Va, inoltre, evidenziato che la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1443, dell’ 11 gennaio 2013, ha affermato che nel reato di omesso versamento di ritenute certificate, la prova delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, sulle retribuzioni effettivamente corrisposte ai sostituiti, può essere fornita dal pubblico ministero mediante documenti, testimoni o indizi; nel caso di specie è stata ritenuta sufficiente la allegazione dei mod. 770, provenienti dallo stesso datore di lavoro.

27 giugno 2014

Federico Gavioli