Sono legittimi gli accertamenti su PVC di terzi

il Fisco può legittimamente emettere un avviso di accertamento allegando, fra le motivazioni, un PVC elevato a terzi che giustifichi i motivi della contestata evasione

Con l’ordinanza n. 1075 del 20 gennaio 2014 (ud. 4 dicembre 2013) la Corte di Cassazione torna ad esaminare la questione relativa all‘avviso di accertamento basato su un Pvc, redatto nei confronti di altro soggetto, non notificato e solo allegato all’avviso di accertamento di che trattasi.

 

Il principio

In tema di imposta sul valore aggiunto, nel caso in cui la motivazione dell’avviso di accertamento faccia rinvio a verbali ispettivi redatti nei confronti di soggetti diversi dal contribuente, è necessario, ai fini della legittimità dell’atto, che l’amministrazione dimostri, anche tramite presunzioni, l’effettiva conoscenza di tali documenti da parte del contribuente“(Cass. nn. 4430/2003, 4305/1997).

Inoltre, costituisce ius receptum, secondo cui “ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Cass. nn. 1756/2006, 890/2006).

Pertanto, per la Corte, la decisione impugnata non appare in linea con i citati principi, “sia per non avere considerato che l’allegazione all’avviso di accertamento era circostanza idonea a provare la conoscenza del documento da parte del contribuente, che quindi era in grado di approntare le proprie difese con piena cognizione delle fonti degli addebiti, sia pure per avere motivato in maniera del tutto generica ed in modo tale da non offrire adeguata contezza del percorso decisionale, risultando pretermessi fatti, specificamente indicati in ricorso e rilevanti agli effetti decisionali.”.

Nota

Spesso i verbalizzanti, nel corso di una verifica parziale, redigono un p.v.c. nei confronti di una ditta (i.e. la ditta Bianchi ) per aver effettuato cessioni di beni nei confronti di altra ditta (i.e. la ditta Rossi ), senza emissione della relativa fattura: per la ditta Rossi si tratta, naturalmente, di acquisti in evasione d’imposta.

Successivamente i verbalizzanti si recano presso la ditta Rossi e procedono a verbalizzare la presunta vendita di quei beni acquistati in evasione.

 

In sede di accertamento l’ufficio non può trascurare di verificare la circostanza (non secondaria) che il primo verbale redatto nei confronti della ditta Bianchi sia stato effettivamente portato a conoscenza della ditta Rossi. Il provvedimento, infatti, non può essere motivato facendo appello al processo verbale di constatazione di cui l’accertato non ha alcuna cognizione, non conoscendone il reale contenuto se non limitatamente a quanto indicato nel p.v.c. consegnatogli al termine del controllo nei propri confronti.

Di fatto, l’accertamento notificato, per continuare l’esempio di sopra, alla ditta Rossi, fondato esclusivamente su un p.v.c. redatto a seguito di verifica parziale operata presso la sede della ditta Bianchi e mai portato alla cognizione della ditta Rossi, potrebbe risultare viziato da carenza di motivazione, oltre a precludere agli interessati l’esercizio del loro diritto di difesa, costituzionalmente garantito.

Gli accertamenti possono ben essere fondati su p.v.c. non redatti nei confronti del contribuente, ma nei confronti di terzi, ma in questi casi non si può ricorrere solo alla motivazione per relationem, ma occorrerà descrivere ex novo gli addebiti, o allegare gli stralci del pvc ritenuti necessari1.

 

La superiore interpretazione, elaborata sulla scorta non solo dei principi di ermeneutica, ma anche di quelli della ragionevolezza, ha trovato conferma nella sentenza n. 7149/2001 della Suprema Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, laddove si afferma che il presupposto della conoscenza o conoscibilità da parte del contribuente dell’atto richiamato per relationem è in re ipsaquando il riferimento attenga a verbali di ispezione e verifica compiuti alla presenza del contribuente o a lui notificati o comunicati nei modi prescritti, e dunque oggetto di conoscenza effettiva o legalmente presumibile.

Secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 12394 del 21 febbraio 2002, dep. il 22 agosto 2002) nell’ipotesi di “dedotta doppia motivazione per relationem dell’atto di accertamento – il quale richiamava un verbale di constatazione effettuato nei confronti della contribuente e ad essa notificato, che, a sua volta, richiamava processi verbali, non conosciuti dalla contribuente, redatti a carico di altri soggetti -, che il giudice tributario è tenuto a verificare se gli atti notificati alla contribuente contengano gli elementi necessari ad individuare la pretesa tributaria, rivestendo, in caso positivo, il richiamo ad altri verbali di constatazione carattere aggiuntivo e non essenziale; in caso contrario, costituendo l’ulteriore richiamo elemento necessario per l’individuazione della pretesa, la mancata messa a conoscenza dei processi verbali in questione comporta nullità dell’accertamento”.

 

E’ tutto qui il vero nocciolo della questione, limpidamente tratteggiata dalla Suprema Corte.

E, in questo contesto, ci piace occuparci anche del cd. divieto del praesumptum de praesumpto, alla luce anche della sentenza della Cassazione (n. 22531 del 26 settembre 2007, dep. il 26 ottobre 2007), dove i giudici, dopo aver affermato che l’accertamento dell’incidenza del costo delle materie prime sull’intero ammontare degli acquisti di un determinato periodo d’imposta può consentire all’Amministrazione finanziaria di utilizzare tale dato anche per differenti periodi d’imposta, avuto riguardo all’invarianza della natura dell’attività d’impresa esercitata dal contribuente, ha ritenuto che, resta fermo il divieto di praesumptio de praesumpto, non potendosi trarre il fatto ignoto da altro fatto, a propria volta ignoto. Per i giudici di Cassazione, per quel che qui ci interessa, “nella disciplina dell’imposta sul valore aggiunto di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e successive modificazioni, l’accertamento in via indiziaria di un maggiore imponibile, non denunziato, all’infuori di casi specifici nei quali è la legge fiscale a individuare determinate situazioni come fonte di presunzione, soggiace ai canoni generali che presiedono alla prova presuntiva, a norma degli artt. 2727 e seguenti, del codice civile, incluso il principio secondo cui il fatto ignoto deve essere desumibile, secondo parametri di regolarità causale, dal fatto noto e non da altro fatto, a sua volta ignoto, e ritenuto sussistente in via di mera deduzione logica (Cass. n. 935/1996)”. E pertanto, la Corte, considerato che l’impugnata sentenza non ha applicato l’enunciato principio di diritto e che, in base alle svolte argomentazioni, ritenuto che ricorrono i presupposti e le condizioni, di cui all’art. 395 c.p.c., per la definizione della controversia in camera di consiglio, ha accolto il ricorso.

L’analisi e le riflessioni che seguono2 sono il frutto della lettura del mirabile lavoro operato dalla migliore e autorevole dottrina3 che si è occupata della questione, che analizza con il giusto rigore scientifico le diverse interpretazioni, sia in campo civilistico che tributario.

Il principale argomento su cui poggia l’inammissibilità della presunzione da presunzione è dato dalla considerazione secondo cui le presunzioni porterebbero il giudice a ritenere soltanto probabile il fatto da provarsi, diversamente dalle prove che porterebbero alla certezza. E pertanto, sarebbe illogico far derivare una presunzione non da un fatto noto e certo ma da una premessa fattuale probabile, quale è quella costituita da una fatto che deriva da un altra presunzione4.

Tale tesi si rileva debole poiché attribuisce “alla presunzione minore efficacia dimostrativa e persuasiva che alla prova. Una volta che si concede essere entrambi equipollenti … vien meno la ragione di far qualsiasi distinzione in questo campo5”. Inoltre, non è “esatta l’applicazione della teoria matematica del calcolo della probabilità alla teoria delle presunzioni6” e “una limitazione della facoltà di prova non può ammettersi senza un’espressa disposizione7”.

 

Considerato che il divieto praesumptum de praesumpto non può essere giustificato dal rispetto del principio del contraddittorio8, in quanto il divieto non riguarda le garanzie di confronto, che oggi sono ancora maggiori, “l’ammissibilità della presunzione da presunzione non solo non porta alla violazione di questi principi ove le presunzioni siano sorrette dai requisiti di gravità, precisione e concordanza, ma costituisca altresì espressione di un’esigenza insopprimibile di giustizia, che nel nostro ordinamento trova la sua attuazione più piena con l’art. 24, 1° comma della Costituzione. Disposizione, che con l’attribuire a tutti il diritto di agire in giudizio a tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, costituisce il fondamento del diritto alla prova … il quale non può portare, fra il novero dei mezzi di prova astrattamente idonei a rendere provata una determinata circostanza, all’apodittica esclusione interpretativa di un mezzo di prova tanto rilevante quale è quello della prova per presunzioni, dovendo invece lo stesso considerarsi assolutamente indispensabile per l’attuazione del precetto costituzionale, anche nell’ipotesi in cui si voglia ricavare il fatto base di una presunzione per mezzo di un’altra9”. In definitiva, l’illustre dottrina ravvisa proprio nell’art. 24, c. 1, della Costituzione, l’ammissibilità della cd. doppia presunzione, “ che ricomprenda nel diritto alla prova non solo quella storica ma pure quella critica e per presunzioni”.

 

Anche in campo tributario, una larga corrente dottrinaria, dà per scontato il divieto della doppia presunzione10.

La stessa giurisprudenza vieta la doppia presunzione, sia in campo civilistico (Cass. 28 gennaio 1982, n. 560; Cass. 15 maggio 1980, n. 3194) che tributario, “alla luce del rilievo che il fatto base della presunzione deve essere noto (e noto non potrebbe intendersi il fatto presunto), ora rilevando che il rapporto tra fatto noto e fatto ignorato dev’essere caratterizzato dal requisito dell’univocità (e tale non potrebbe dirsi quello proprio di una doppia presunzione); essa tuttavia, anche se in apparenza giustifica il principio allo stesso modo del giudice civile, appare in concreto spesso orientata in modo più fluido, tentando di giustificare in concreto la condivisibilità dello stesso divieto alla luce dei requisiti indispensabili per la validità del procedimento presuntivo11”.

Tuttavia, a nostro avviso, anche le sentenze12 che a prima vista impongono il divieto della doppia presunzione offrono una ampia apertura: se, per esempio, è certo che tizio abbia acquistato merce in evasione d’imposta, è possibile sostenere che la merce non trovata sia stata venduta13, e quindi “si è di fronte ad un praesumptum de praesumpto ogni qual volta un determinato attributo o una certa qualità non appaiono necessariamente connessi all’esistenza del fatto presunto, costituendone attributo possibile ma non necessario. Altro è ovviamente il caso in cui il fatto noto faccia presumere direttamente il thema probandum. In tale ipotesi, pur potendosi astrattamente ipotizzare due presunzioni, in concreto se ne avrà una sola, non costituendo la circostanza intermedia strumento logico per la conoscenza del fatto da ultimo presunto, ma semplice attributo dello stesso… Con il che non si vuole affatto apoditticamente negare l’esistenza di possibili riferimenti normativi in senso contrario; semplicemente si vuole sostenere che gli stessi non sembrano affatto sufficienti a superare la logicità sostanziale della tesi contraria, che ammette l’utilizzabilità, da parte dell’amministrazione finanziaria, di presunzioni da presunzioni purchè in concreto l’accertamento risulti logicamente e correttamente motivato14”.

 

Come affermato e sostenuto dalla migliore dottrina15, cui abbiamo il piacere di associarsi, “concettualmente non è detto che una presunzione di secondo grado, in quanto tale sia sempre troppo debole per poter essere presa in considerazione. La presunzione di secondo grado (cioè basata su un fatto a sua volta presunto) sarà senza dubbio meno rigorosa della prima presunzione, ma non si può escludere che in determinati casi sia abbastanza convincente; e perciò èun luogo comune (o meglio vale solo come ammonimento tendenziale) l’espressione secondo cui sarebbe vietato trarre presunzioni da presunzioni (Praesumptum de praesumpto non admittitur)”. Al più, quindi, la presunzione di secondo grado potrà essere meno convincente, ma è un problema di prove. La stessa dottrina citata afferma che “verso questo luogo comune la giurisprudenza ha però un atteggiamento di formale rispetto, perché parla di presunzioni di secondo grado solo quando si tratta di respingerle; quando invece una presunzione di secondo grado le sembra fondata la accetta, senza prendere posizione sul problema generale, conformante con il suo compito di risolvere controversie, non di sistemare gli istituti giuridici o di fare dottrina16. In concreto il divieto di doppie presunzioni può avere il potere di suggestione che hanno molti luoghi comuni, e può fare un certo effetto quando il giudice è perplesso; un solenne praesumptum de praesumpto non admittitur, messo al punto giusto di un ricorso, può suonare bene per abbellire le nostre tesi (ad colorandum, come qualche volta si dice in gergo avvocatesco); l’importante è però che queste tesi siano per altri versi fondate, e che non si faccia affidamento solo sull’astratto divieto di doppie presunzioni”. In pratica prosegue l’illustre autore, “il divieto di presunzioni di secondo grado è solo un utile luogo comune per respingere le presunzioni che non convincono, come ha rilevato da quasi un secolo chiunque abbia approfondito l’argomento (ad esempio LESSONA, Trattato delle prove in materia civile, Torino, 1902, V, 322, ss., CAVALLONE, Critica alla teoria delle prove atipiche, in Riv. Dir. Proc.le, 1978, 701), ma si rinuncia malvolentieri ai luoghi comuni, specie se innocui ed espressi nella lingua di Cicerone”.

Né la tesi che ammette la doppia presunzione può essere considerata antigarantista per il contribuente, “ in quanto un serio vaglio sui requisiti di ammissibilità del procedimento presuntivo appare più che sufficiente tanto a prevenire quanto a reprimere i possibili abusi. Non solo: a ben vedere, invece, è la tesi contraria che si pone contro il contribuente tutte le volte in cui fa apparire ammissibile, perché frutto di una sola presunzione, quelle fattispecie che non si giustifichino se non attraverso un procedimento presuntivo plurimo il quale, nel caso di specie, sia privo dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, erroneamente attribuiti all’unica presunzione17”.

 

Anzi, a maggior ragione, in tutti i casi in cui l’ufficio utilizza le doppie presunzioni dovrà constatarne la gravità, precisione e concordanza18 per entrambe le presunzioni.

20 febbraio 2014

Gianfranco Antico

 

1 Cfr. ANTICO, Avviso di accertamento che richiama un p.v.c. redatto nei confronti di terzi, in “Azienda&Fisco”, n. 12/2004, pag. 40.

2 Già peraltro manifestate. Cfr. ANTICO, Prove e presunzioni. Il valore del praesumptio de praesumpto. La sentenza della Cassazione n. 22531 del 26 settembre 2007, dep. il 26 ottobre 2007, in “il fisco”, n.43/2007.

3 G. GENTILLI, Le presunzioni nel diritto tributario, Cedam Editore, Padova, 1984, serie I, volume LXVII, pag. 146.

4 In tal senso, PESCATORE, La logica del diritto, Torino, 1983, vol. I, 105; anche RAMPONI, Note sulle presunzioni in diritto civile, Roma, 1983, 24, afferma che la seconda presunzione “non sarebbe priva di ogni valore anche sussidiario, solo mancherebbe il requisito della gravità, necessario a costituire di per sé la piena prova del fatto”. Cfr. anche D’ONOFRIO, Delle prove, in Comm. al cod. civ. diretta da D’Amelio, libro VI, 1943, 410: “la presunzione non è un fatto e solo da fatti è lecito dedurre presunzioni”.

5 FERRINI, Note sulle presunzioni in diritto civile, Estratto dell’Antropologia giuridica, VI, 1892, ora in Opere di Contardo Ferrini, III, Milano, 1929, 457.

6 LESSONA, Trattato delle prove, 3° edizione, I, Firenze, 1914, pag. 323. Per l’ammissibilità del praesumptum de praesumpto,DECOTTIGNIES, Le prèsompties en droit privè, Paris, 1950, pag. 268.

7 COVIELLO, Manuale di diritto civile italiano, Parte generale, 7° edizione, 1929, pag. 550.

8 Così ANDRIOLI, Novissimo Digesto italiano, Torino, 1967, vol. XV, voce Presunzioni (Diritto civile e diritto processuale civile), pag. 771.

9 GENTILLI, Le presunzioni nel diritto tributario, Cedam Editore, Padova, 1984, serie I, volume LXVII, pag. 151 e seg..

10 Fra gli altri, FERLAZZO NATOLI, Dubbi sulla costituzionalità della presunzione assoluta di plusvalenze speculative, in “Riv. Dir. Fin. Sc. Fin.”, 1982, II, pag. 5.

11 GENTILLI, Le presunzioni nel diritto tributario, Cedam Editore, Padova, 1984, serie I, volume LXVII, pag. 152.

12 Cfr. CTC, 1983, II, 1328, che ravvisa il vizio “proprio nella derivazione di presunzioni da altre presunzioni (praesumptum de praesumpto); invero, se per l’art. 2727 cod. civ. le presunzioni sono le conseguenze che il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto, è indiscutibile che, nello schema della prova indiretta, gli elementi che ne costituiscono la premessa devono avere il carattere della certezza e della concretezza. Ne consegue che è illegittimo valorizzare una presunzione, in mancanza di un fatto noto, per derivare da essa un’altra presunzione, ossia la certezza probatoria in ordine ad un fatto ignorato”.

13 Cfr. Cass. Sent. n. 8089 del 15 marzo 1996 (dep. il 5 settembre 1996), secondo cui nella prova per presunzioni la relazione tra il fatto noto equello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficienteche l’esistenza di quest’ultimo derivi dal primo come conseguenzaragionevolmente possibile e verosimile, secondo un criterio di normalità.Ne deriva che, dal dato certo dell’esistenza di merce in eccedenza rispettoal quantitativo acquistato con fatture, è legittimo dedurre sia l’acquistodella merce senza fatturazione ad un costo corrispondente a quellorisultante dalle fatture esistenti, che la vendita della stessa applicandouna percentuale di maggiorazione calcolata raffrontando i costi medi diacquisto e di vendita, questi ultimi desunti dalle fatture esistenti.Il procedimento per cui si giunge alla determinazione di un dato sconosciuto partendo da un dato certo attraverso passaggi logici e razionali non viola il divieto della doppia presunzione allorché nessuno dei passaggi logici intermedi costituisca autonoma presunzione.Sotto un profilo generale, infatti, devesi rilevare che, come ripetutamente affermato da questa Corte, nella prova per presunzioni la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l’esistenza di quest’ultimo derivi dal primo come conseguenza ragionevolmente possibile e verosimile, secondo un criterio di normalità (Cass. nn. 7213/95, 10613/94, 3824/91, eccetera). Ne deriva che, nel caso di specie, dal dato certo dell’esistenza di merce in eccedenza rispetto al quantitativo acquistato con fatture, ben si può dedurre che fosse stata acquistata senza fatturazione ad un costo corrispondente a quello risultante dalle fatture esistenti Analogo ragionamento va fatto per la percentuale di maggiorazione, anch’essa basata sul raffronto tra i costi medi di acquisto e di vendita, questi ultimi desunti dalle fatture esistenti. Costituisce presunzione grave, precisa e concordante il dato-resa medio tra materia prima e prodotti, dedotto attraverso passaggi logici e razionali e che simile accertamento non viola il principio secondo cui non è consentito dedurre una presunzione da un’altra presunzione, perché da un dato certo – acquisto della materia prima – si risale ad un dato non conosciuto (reddito), senza che ciascuno dei passaggi logici intermedi costituisca un’autonoma presunzione (Cass. n. 7234/91)”.

14 GENTILLI, Le presunzioni nel diritto tributario, Cedam Editore, Padova, 1984, serie I, volume LXVII, pag. 159.

15 LUPI, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, Ipsoa Editore, Milano, 2001, pag. 484.

16 Cfr. Cass. 10 gennaio 2001, n. 266. Nel caso di specie, una presunzione di secondo grado è stata ritenuta valida semplicemente negando che lo fosse.

17 GENTILLI, Le presunzioni nel diritto tributario, Cedam Editore, Padova, 1984, serie I, volume LXVII, pag. 160.

18 Cfr. ANTICO, Gravità, precisione e concordanza: si sposta sul contribuente l’onere della prova, in www. https://www.commercialistatelematico.com, 2007.