Crisi economica ed omessi versamenti IVA: quali sono i rischi?

in questa fase di crisi economica, quali sono i rischi (anche penali) per i contribuenti che non riescono a riversare l’IVA incassata allo Stato?

Risponde del reato di omesso versamento dell’IVA il contribuente che non ha pagato per far fronte ad altre esigenze dell’azienda in crisi. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3639, resa dalla Terza sez. Penale il 27 gennaio 2014, conferma la linea dura adottata nei confronti del reato previsto dall’art. 10-ter del D. Lgs. n. 74 del 2000, equiparato, in termini sanzionatori, all’omesso versamento di ritenute certificate di cui al precedente art. 10-bis, in forza del quale è punito “con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta”.

Il massimo giudice di legittimità, rifacendosi a propria precedente giurisprudenza (sent. n. 38619 dep. 03/11/2010), ha sottolineato come il comportamento del soggetto che non versa l’IVA dichiarata a debito in sede di dichiarazione annuale sia stato dal legislatore assimilato, in forza della riforma operata sul D.Lgs. n. 74/2000 dall’art. 35, c. 7, del D.L. n. 223/2006 e sotto il profilo sanzionatorio, a quello del sostituto che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata.

Le due fattispecie, in effetti, si palesano del tutto omogenee: nel caso in esame si tratta di somme che soggetti terzi (consumatori finali o c.d. “contribuenti di fatto”) versano al soggetto passivo (esercente attività di impresa, arte o professione o c.d. “contribuente di diritto”) a titolo di imposta IVA e che quest’ultimo è tenuto a riversare all’Erario. Analogamente a quanto avviene quando si opera la ritenuta d’acconto, il particolare meccanismo dell’IVA, basato sulla rivalsa1 e sulla detrazione2, fa si che il soggetto passivo dell’imposta incassi IVA da terzi destinata allo Stato (attraverso il meccanismo della rivalsa), al quale deve riversarla una volta scorporate (mediante il meccanismo della detrazione) le imposte relative ai costi sostenuti nel periodo d’imposta considerato.

In altre parole, il particolare sistema impositivo dell’IVA comporta un prelievo nei confronti di un soggetto estraneo al rapporto giuridico tributario (consumatore finale o contribuente di fatto), diverso da colui che è obbligato al pagamento del tributo (soggetto passivo del tributo IVA in quanto esercente attività di impresa, arte o professione). Il bene giuridico tutelato dalla norma penale va individuato nel diritto dell’Erario a vedersi corrisposta, da parte del soggetto passivo, l’IVA incassata “per suo conto” attraverso il meccanismo della rivalsa e della detrazione, mentre la relativa sanzione penale è finalizzata a punire il contribuente che si appropria dell’imposta sul valore aggiunto dovuta allo Stato.

Alle medesime conclusioni è giunta anche la sentenza n. 2614 del 2014 con la quale la Suprema Corte ha negato che gli effetti di una crisi aziendale siano sufficienti per escludere l’elemento soggettivo del reato, avendo il contribuente l’onere di “accantonare” l’IVA incassata per il successivo versamento all’Erario. A differenza della precedente, tuttavia, nel più recente pronunciamento i giudici sembrano aprire un debole spiraglio verso un’interpretazione meno restrittiva della norma, affermandosi che il contribuente “non ha dato prova degli effetti della invocata crisi aziendale, in modo da rendere l’inadempimento incolpevole”. Con un ragionamento a contrario, ciò potrebbe significare una possibile attenzione verso eventuali documentate criticità aziendali, capaci di incidere sul comportamento omissivo, ma anche l’eventuale prova di non avere incassato l’IVA relativa a fatture emesse nel periodo “incriminato”.

Entrambi i pronunciamenti, invece, allineandosi alla sentenza n. 37424 del 12.09.2013, resa a Sezioni Unite, confermano due importanti principi:

  1. fra l’art. 10-ter del D. Lgs. n. 74/2000 ed il comma 1 dell’articolo 13 del D.Lgs. n. 471/1997 (che assoggetta alla sanzione amministrativa pari al 30% di ogni importo non versato chiunque non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze periodiche, i versamenti dei debiti IVA) “intercorre un rapporto non di specialità, ma di progressione illecita, che comporta l’applicabilità congiunta delle sue sanzioni”;

  2. il citato art. 10-ter, inserito dall’art. 35 del D.L. n. 223/2006 ed entrato in vigore il 4 luglio 2006 “è applicabile anche alle omissioni dei versamenti IVA relativi all’anno d’imposta 2005 senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale”.

 

Le Sezioni Unite hanno anche affrontato e risolto alcuni dubbi di incostituzionalità della norma con riguardo al dettato dell’art. 27 Cost. (“La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”), ritenendo la questione manifestamente infondata. E’ stato osservato, infatti, che “lo spazio di condotta virtuosa consentito al soggetto dall’entrata in vigore dell’art. 10 ter fino alla scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta dell’anno successivo porta senz’altro ad escludere che dal principio di colpevolezza possa discendere un rilievo ostativo assoluto all’applicabilità della nuova norma penale alle omissioni di versamento relative a debiti IVA del 2005”.

L’ interpretazione non confligge neanche con l’art. 25 Cost. (al comma 2, secondo cui “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”). Spiega, infatti, la Corte che “se è vero che, al momento della scadenza del ‘termine fiscale’ per il versamento periodico dei debiti IVA relativi all’anno 2005, il reato in discussione non era ancora stato introdotto – essendo l’entrata in vigore dell’art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, posteriore a detta scadenza – è altrettanto vero però che la condotta penalmente rilevante non è l’omissione del versamento periodico nel termine previsto dalla normativa tributaria, ma il mancato versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale, nel maggiore termine stabilito per il versamento dell’acconto IVA relativo al periodo d’imposta dell’anno successivo. Pertanto, il soggetto che aveva omesso i versamenti periodici per il 2005 nel termine previsto dalla normativa tributaria (e che vi aveva persistito nel primo semestre 2006) avrebbe avuto ancora, fino al 27 dicembre 2006, la possibilità di assumere le proprie determinazioni in ordine all’effettuazione di un versamento dei debiti che, in relazione al quantum risultante dalla dichiarazione annuale da lui stesso presentata, mantenesse l’omissione non oltre la soglia dei cinquantamila euro. La risoluzione di non provvedere a tanto, che da luogo alla commissione del reato, si colloca dunque in un’epoca ampiamente successiva alla introduzione della nuova fattispecie incriminatrice, alla quale non può, pertanto, attribuirsi un effetto retroattivo”.

In un momento in cui imprese, professionisti e commercianti lamentano ormai da tempo persistenti crisi di liquidità causate dall’attuale difficile contesto economico, l’orientamento rigido della Corte riguardo ad una fattispecie ormai fin troppo frequente quale l’omesso versamento dell’IVA sicuramente preoccupa: i Supremi giudici, infatti negano che gli effetti di una crisi aziendale siano sufficienti per escludere l’elemento soggettivo del reato, avendo il contribuente l’obbligo di accantonare tali somme nel corso del periodo di imposta in cui esse si riferiscono. In mancanza, non resta che cercare di abbassare la soglia di punibilità, in modo da “mantenere l’omissione non oltre la soglia dei cinquantamila euro”, come sottolinea la Cassazione.

26 febbraio 2014

Valeria Fusconi

 

 

1 Come precisa l’art. 18 del D.P.R. n. 633/1972, la “rivalsa” legittima il soggetto che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi imponibile ad addebitare la relativa imposta (a titolo di rivalsa, appunto) al cessionario o al committente.

2 Le caratteristiche che legittimano la detrazione si sostanziano: 1) nell’inerenza, ovvero nel fatto che il costo sia riferito ad un’operazione inerente l’attività esercitata; 2) nel fatto che detto costo deve essere addebitato in fattura a titolo di rivalsa, da parte del soggetto che ha acquistato il bene o richiesto il servizio; 3) nell’esigibilità dell’imposta, con ciò intendendosi che il diritto alla detrazione del cessionario/committente è strettamente correlato all’obbligo di versamento del cedente o prestatore.