Società tra professionisti: i profili reddituali

una guida di 12 pagine alle problematiche reddituali, ai fini fiscali, delle società tra professionisti: quali sono i tipi societari possibili? Sede, denominazione e ragione sociale; i soci; l’oggetto sociale; l’incarico conferito alla S.T.P.; la natura del reddito prodotto; elementi differenziali delle società tra avvocati; il ddl di semplificazione…

Aspetti generali

La società tra professionisti è una modalità di esercizio dell’attività professionale in forma collettiva, che presuppone sempre il carattere personale della prestazione resa dal professionista (intuitu personae), ma ammette contemporaneamente la presenza di soci che apportano capitali ovvero altre utilità, ad esempio nei termini di speciali competenze tecniche ordinariamente non possedute dai soci professionisti.

Queste società possono adottare qualsiasi forma societaria prevista dal codice civile, con una serie di previsioni (da rispettare in via statutaria) finalizzate a coordinare i tipi societari ordinari con la natura di tali soggetti, caratterizzati dalla preminenza del socio professionista e del particolare rapporto intercorrente tra questo con la clientela.

La nuova configurazione delle società tra professionisti (STP), come emerge dall’art. 10 della L. n. 183/2011 e dal successivo decreto di attuazione del 2013, è stata descritta e commentata dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) nella propria circolare 12.7.2013, n. 32/IR.

La successiva circolare n. 34/IR del 19.9.2013 si è invece occupata degli aspetti reddituali delle STP, con precisazioni che vengono di seguito riprese e commentate.

Il «profilo giuridico» del professionista intellettuale

Dal punto di vista civilistico, le prestazioni d’opera intellettuale, sono individuate dall’art. 2230 del codice, con rinvio all’art. 2229 che ne prevede l’esercizio distinguendole tra quelle ««regolamentate» e non («la legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi»).

Elementi tipici e caratterizzanti delle prestazioni d’opera intellettuali sono, secondo il codice:

  • il carattere intellettuale della prestazione e quindi l’impiego di intelligenza e di cultura in misura prevalente rispetto all’uso di eventuale lavoro manuale;

  • la discrezionalità e autonomia del professionista nell’esecuzione della prestazione;

  • il semplice compimento di un’attività quale oggetto della prestazione indipendentemente dal risultato previsto o raggiunto.

Possono altresì intervenire le norme speciali sugli ordinamenti delle professioni regolamentate, che generalmente attengono all’esclusività della prestazione (ossia alla «riserva» a favore dei soggetti abilitati e iscritti ad albi o elenchi gestiti da ordini e collegi), ai requisiti di accesso e alle norme deontologiche.

Le norme primarie e il decreto attuativo

La L. 12.11.2011, n. 183 art. 10, commi da 3 a 11 – è intervenuta disciplinando la materia delle società tra professionisti (STP) dopo l’intervenuta abrogazione del divieto di costituire tali tipologie di società [art. 24, L. 7.8.1997, n. 266; art. 2, lett. c), D.L. 4.7.2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla L. 4.8.2006, n. 248].

L’esercizio delle attività professionali era quindi stato consentito dal legislatore anche a titolo non strettamente individuale, purché legato ad associazioni professionali (anche interdisciplinari) o a tipi societari caratterizzati dal principio della personalità dell’incarico e della relativa responsabilità.

L’attuazione della nuova disciplina delle STP è intervenuta, dopo la citata L. n. 183/2011, a opera del D.M. (Giustizia) 8.2.2013, n. 34.

Nel vigente ordinamento, è stata di fatto consentita l’adozione di qualsiasi tipologia societaria prevista dai titoli V e VI del codice, cioè anche delle società di capitali.

La STP nelle norme di attuazione

Secondo l’art. 1 del decreto attuativo:

  • la STP è la società costituita secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile e alle condizioni previste nell’art. 10, commi da 3 a 11, della legge istitutiva n. 183/2011, avente quale oggetto l’esercizio di una o più attività professionali per le quali sia prevista l’iscrizione in apposti albi o elenchi regolamentati nel sistema ordinistico;

  • la società multidisciplinare è la società tra professionisti costituita per l’esercizio di più attività professionali;

Secondo il successivo art. 2 del D.M., il nuovo regolamento non si applica alle associazioni professionali e alle società tra professionisti costituite secondo modelli già vigenti all’entrata in vigore della L. n. 183/2011 (società tra avvocati di cui al D.Lgs. n. 96/2001 16; società di ingegneria di cui all’art. 90 del D.Lgs. n. 162/2006; società di revisione di cui al D.Lgs. n. 39/2010).

Quali sono i tipi societari possibili?

Pur dovendo tener conto del carattere speciale della STP in ragione della funzione di queste società e delle caratteristiche soggettive dei soci, è possibile adottare qualsiasi tipo societario tra quelli previsti dal codice civile, con la precisazione che le società cooperative di professionisti devono essere costituite da un numero di soci non inferiore a tre.

Oltre alle note tipologie societarie «storiche», il riferimento generico ai titoli V e VI del libro quinto del codice consente di ritenere incluse anche le S.r.l. semplificate di cui all’art. 2463-bis c.c.

Si rammenta incidentalmente che per tali società, che possono essere costituite con contratto o atto unilaterale con capitale minimo di un euro, è stato soppresso il previgente limite di età anagrafica di 35 anni per effetto dell’intervento del D.L. 28.6.2013 n. 76 (convertito dalla L. 9.8.2013, n. 99).

La S.T.P. inoltre, secondo il CNDCEC, dovrebbe poter assumere la forma di S.r.l. o S.p.a. unipersonale di cui unico socio sia un professionista iscritto in ordini o collegi. Tale soluzione è tuttavia contrastata, in quanto soprattutto la legge istitutiva sembra volta a finalità inconciliabili con essa (ossia all’esercizio della professione in forma collettiva anziché individuale).

Dovendo coordinare le norme civilistiche con quelle speciali delle S.T.P., osserva il CNDCEC a titolo esemplificativo che la S.T.P. che abbia adottato il tipo della S.p.a. dovrà precisare le «modalità alternative» che consentano l’esclusione del socio cancellato dall’albo con provvedimento definitivo (come richiesto dall’art. 10, c. 4, lett. d, L. n. 183/2011).

Sede, denominazione e ragione sociale

L’atto costitutivo della S.T.P. dovrà dare evidenza della sede sociale della società e, conformemente a quanto previsto nell’ambito della disciplina dei differenti tipi societari, anche di eventuali sedi secondarie.

La denominazione sociale della S.T.P., in qualunque modo formata, deve inoltre contenere l’indicazione di società tra professionisti (art. 10, quinto comma, L. n. 183/2001).

Sembra consentito, secondo il CNDCEC, l’impiego di formule di fantasia nella denominazione sociale, e non sembra richiesto il necessario inserimento dei nomi dei soci professionisti (ciò che invece è normativamente previsto per le società tra avvocati).

I soci

Ai sensi dell’art. 10, quarto comma, lett. b), della legge istitutiva, l’atto costitutivo della S.T.P. può prevedere l’ammissione in qualità di soci:

  • dei soli professionisti iscritti a ordini o collegi, anche in differenti sezioni, nonché dei cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea, purché in possesso del titolo di studio abilitante;

  • di soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche o per finalità di investimento.

È quindi necessario precisare a quale categoria va ricondotta la partecipazione del socio.

In primo luogo, chiarisce il CNDCEC che il socio «per prestazioni tecniche» non deve essere confuso con i professionisti e non può rendere le prestazioni riservate a questi ultimi: si tratta infatti di socio che fornisce mansioni diverse quali ad esempio la gestione delle risorse umane o dei sistemi informatici.

Il socio per finalità di investimento è invece un soggetto che nella S.T.P. apporta capitale: non è un socio professionista, ma deve essere in possesso di specifici requisiti di onorabilità sanciti nell’art. 6 del D.M. n. 34/2013.

Dall’atto costitutivo si deve evincere che il numero dei soci professionisti e la partecipazione degli stessi al capitale sociale deve essere tale da determinare la maggioranza di 2/3 nelle deliberazioni e nelle decisioni dei soci; deve essere inoltre formulata una clausola statutaria relativa all’ipotesi di scioglimento della S.T.P. al venir meno delle condizioni inerenti alla prevalenza dei soci professionisti sia in termini numerici che di partecipazione al capitale.

La prestazione professionale potrebbe essere effettuata a titolo di conferimento, in contropartita rispetto all’assunzione della qualifica di socio e all’acquisto delle partecipazioni nella S.T.P., nei limiti di compatibilità con l’ordinamento societario (è rammentato a tale riguardo che il conferimento d’opera è consentito nelle S.r.l., ma non nelle S.p.a., nelle quali si potrebbe ricorrere all’istituto della prestazione accessoria, ovvero all’emissione di strumenti finanziari partecipativi).

Inoltre, il professionista potrebbe anche non essere socio d’opera, obbligandosi piuttosto verso la società ad effettuare le proprie prestazioni in base ad accordi conclusi all’occorrenza.

Quanto all’amministrazione, nel silenzio della norma essa potrebbe essere affidata anche a soci non professionisti. Questo aspetto, così come quello del regime di trasferimento delle partecipazioni del socio professionista, dovrebbe essere affrontato in via statutaria.

Occorrerebbe altresì prevedere in tale sede, secondo il CNDCEC, appositi meccanismi che escludano condizionamenti sulla prestazione del professionista, indotti dagli interessi dei soci investitori amministratori e potenzialmente confliggenti con l’interesse del cliente.

L’oggetto sociale

Secondo l’art. 10 della L. n. 183/2011, l’atto costitutivo della S.T.P. deve prevedere l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci.

Tale esercizio è consentito solamente ai soci in possesso dei requisiti previsti nell’ambito della disciplina delle professioni regolamentate [art. 10, quarto comma, lett. c), e art. 10, terzo comma, della L. n. 183/2011].

L’esclusività dell’oggetto sociale della S.T.P. impedisce l’inclusione di attività che non siano professionali ma imprenditoriali e, logicamente, di attività relative ad ambiti di lavoro autonomo non riconducibili all’ordinamento dei soci professionisti.

L’incarico conferito alla S.T.P.

La materiale esecuzione dell’incarico deve avvenire a cura del socio professionista secondo criteri e modalità stabiliti nel D.M. n. 34/2013, e la S.T.P. deve aver stipulato una polizza assicurativa per la copertura dei rischi derivanti dalla responsabilità civile per i danni eventualmente provocati alla clientela dai soci professionisti.

La designazione del socio professionista deve essere ordinariamente compiuta dall’utente; in mancanza di tale designazione, il nominativo deve essere previamente comunicato per iscritto all’utente [art. 10, quarto comma, lett. c), L. n. 183/2011].

Nell’art. 3 del D.M. attuativo viene esplicitato che tutte le prestazioni richieste dalla clientela devono essere eseguite dai soci in possesso dei requisiti necessari per l’esercizio della professione.

Per consentire una scelta informata da parte del cliente, la società deve a fornirgli, sin dal momento del primo contatto, anche tramite il socio professionista, informazioni relative:

  • al diritto del cliente di chiedere che l’esecuzione dell’incarico conferito alla S.T.P. sia affidato a professionisti della società dallo stesso individuati;

  • alla possibilità che l’incarico sia eseguito da ciascun socio in possesso dei requisiti necessari per l’esercizio dell’attività professionale;

  • all’esistenza di situazioni di conflitto di interesse tra cliente e società, che siano anche determinate dalla presenza di soci con finalità di investimento.

Il socio professionista può avvalersi – sotto la propria direzione e sotto la propria responsabilità – della collaborazione di ausiliari e, solo in relazione a particolari attività caratterizzate da sopravvenute esigenze non prevedibili, di sostituti.

La vicenda relativa al conferimento dell’incarico dovrebbe essere articolata in due momenti:

  1. al momento del primo contatto, la S.T.P. è tenuta a consegnare al cliente l’elenco scritto dei professionisti, nonché un preventivo di massima relativo alla misura del compenso per la prestazione richiesta;

  2. al momento del conferimento dell’incarico le parti pattuiscono il compenso; in tale sede, la S.T.P. deve fornire al cliente informazioni dettagliate circa:

  • la complessità dell’incarico (distinguendo tra prestazione c.d. uno actu e prestazione continuativa);

  • gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell’incarico;

  • gli estremi della polizza assicurativa e il relativo massimale;

  • le singole voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi, in relazione alle singole prestazioni.

Al momento del conferimento dell’incarico la S.T.P. deve altresì informare il cliente, oltre che degli obblighi di cui al D.Lgs. n. 196/2003 sul trattamento dei dati personali, anche di quelli in materia di adeguata verifica della clientela imposti dal D.Lgs. n. 231/2007 (antiriciclaggio), che dovranno essere effettuati (analogamente a quanto accade per le associazioni professionali) per tramite del professionista incaricato dell’esecuzione.

La natura del reddito prodotto

Secondo la circolare n. 34/IR del CNDCEC, sussistono in ordine alle S.T.P. dei dubbi quanto alla natura del reddito generato da tali soggetti, che pur presentando una forma societaria (tipicamente volta all’esercizio in comune di attività di impresa) sono costituiti per la prestazione di servizi di natura professionale.

Relativamente alle società personali e a quelle di capitali, affermano infatti le norme del TUIR che i redditi da esse prodotti si considerano sempre redditi di impresa (artt. 6 e 81).

Le S.T.P. quindi:

  • privilegiando il presupposto soggettivo, produrrebbero un reddito riconducibile alla categoria dei redditi di impresa;

  • attribuendo rilevanza esclusiva al presupposto oggettivo, produrrebbero redditi di lavoro autonomo.

In materia di società di ingegneria, l’Agenzia delle Entrate – con la risoluzione n. 56/E del 4.5.2006, aveva ritenuto determinante l’esistenza del semplice presupposto soggettivo: la società si riteneva pertanto produttrice di reddito di impresa per il semplice fatto che era costituita secondo uno dei tipi civilistici delle società di capitali e quindi rientrava tra i soggetti di cui agli artt. 73 e 81 del TUIR.

Sui compensi dovuti alla società per le prestazioni rese non risultava quindi applicabile la ritenuta a titolo di acconto dell’IRPEF di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 600/1973, e il corrispettivo dovuto alla società dal soggetto che ha fruito della prestazione non si configura come compenso per prestazioni di lavoro autonomo, bensì come ricavo, conseguito nell’ambito dell’attività propria della società, concorrente alla determinazione del reddito di impresa.

Elementi differenziali delle società tra avvocati

Secondo quanto afferma il CNDCEC, sebbene l’oggetto dell’attività svolta da entrambe le tipologie societarie (società di ingegneria e S.T.P.) sia costituito da un’attività di natura tipicamente professionale, nelle S.T.P., a differenza che nelle altre, questa attività è esercitata in via esclusiva.

Inoltre, la S.T.P. può essere costituita anche sotto forma di società di tipo personale ed è soggetta al regime disciplinare dell’ordine al quale risulti iscritta, per cui risponde per le violazioni delle norme professionali e deontologiche applicabili all’esercizio in forma individuale delle attività professionali rientranti nell’oggetto sociale.

A una diversa soluzione era giunta l’Agenzia delle Entrate, peraltro, rispetto alle società tra avvocati di cui agli artt. 16 e ss. del D.Lgs. 2.2.2001, n. 96, disciplinate (ove non diversamente disposto) dalle norme che regolano la S.n.c. L’attività di questi soggetti infatti, secondo l’Agenzia, da’ luogo alla produzione di redditi di lavoro autonomo1.

Questa impostazione risulta coerente con le disposizioni del codice civile ed in particolare con la previsione dell’art. 22382 che nega, anche se in modo indiretto, la natura commerciale delle attività dei professionisti intellettuali e degli artisti.

Alle attività intellettuali e artistiche svolte in forma societaria si applicano le disposizioni dettate in relazione all’impresa commerciale solamente se le prestazioni professionali costituiscono elemento di una attività organizzata in forma d’impresa.

Secondo la dottrina – richiamata dal CNDCEC – i tratta di ipotesi (quale quella del chirurgo che organizza una casa di cura privata o del professore che organizza una scuola privata), in cui viene esercitata anche una attività diversa e ulteriore rispetto a quella professionale, nelle quali il conferimento dell’apporto intellettuale si configura come una delle componenti dell’organizzazione. Questa condizione non si verifica rispetto all’attività di assistenza legale la quale è caratterizzata dal contenuto prettamente intellettuale della prestazione.

È altresì citato nella circolare il parere espresso in materia dalla Sezione consultiva degli atti normativi del Consiglio di Stato nell’adunanza dell’11.5.199, secondo il quale lo «strumento societario non può comunque vanificare i requisiti della personalità e della professionalità del soggetto esercente».

I redditi prodotti dalla società tra avvocati costituiscono quindi redditi di lavoro autonomo, in quanto si applica per essi la disciplina dettata per le associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma comune di arti e professioni di cui all’art. 5, terzo comma, lett. c) del TUIR, e i compensi corrisposti alle predette società sono soggetti alla ritenuta d’acconto di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 600/1973.

Giacché, secondo il CNDCEC, le considerazioni fatte a proposito della società tra avvocati sono in gran parte riferibili anche alle S.T.P., «non può ritenersi esclusa a priori una estensione delle conclusioni tratte dall’Agenzia per il primo tipo di società anche a quelle del secondo tipo. Tale soluzione pur essendo più coerente sotto il profilo sistematico risulta tuttavia contraddetta, come evidenziato in precedenza, dalla formulazione letterale delle norme in materia di qualificazione fiscale del reddito delle società commerciali».

Il ddl di semplificazione

Secondo la ricostruzione effettuata dal CNDCEC, assume una certa importanza in materia il disegno di legge governativo – attualmente in corso di esame in commissione – di cui all’A.S. n. 958 – XVII Legislatura, il quale contiene una disposizione – art. 27, quarto comma – che attribuisce esplicitamente alle società tra professionisti regolamentate nel sistema ordinistico il medesimo trattamento fiscale delle associazioni tra professionisti, in termini di qualificazione del reddito prodotto come reddito di lavoro autonomo e di attribuzione dello stesso per trasparenza ai soci.

A tali società infatti si applica, anche ai fini dell’IRAP, il regime fiscale delle associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni di cui all’art. 5, terzo comma, lett. c), del TUIR.

Se questa soluzione venisse accolta in via definitiva, l’utile attribuito per trasparenza ai soci, sia professionisti che non professionisti per prestazioni tecniche o per finalità di investimento, sarebbe classificato come reddito di lavoro autonomo, con l’unica eccezione dei soci non professionisti che, avendo assunto – per altro verso – la qualifica di imprenditori, ritengano di considerare la partecipazione detenuta nella S.T.P. tra i beni relativi all’impresa esercitata.

In questo ultimo caso, l’utile attribuito per trasparenza dalla S.T.P. si configurerebbe come un provento che, proveniendo da un bene relativo all’impresa, rimarrebbe irrimediabilmente attratto alla formazione del reddito di impresa, insieme agli altri componenti positivi e negativi afferenti ai beni e alle attività relative all’impresa stessa.

Con la normativa in itinere richiamata le S.T.P. verrebbero altresì ricondotte al trattamento IVA delle associazioni professionali: a tale riguardo, osserva il CNDCEC che occorrerebbe verificare se il riscontro del requisito dell’autonoma organizzazione (che condiziona la soggettività IRAP) debba essere puntuale e specifico (mentre per le società commerciali il presupposto giuridico è ritenuto sempre sussistente).

Si osserva a tale riguardo che in presenza di attività professionale esercitata in forma associata, è esclusa «l’autonomia organizzativa meramente soggettiva e personale di qualsiasi esercente una professione intellettuale», configurandosi invece «quell’autonoma organizzazione oggettiva dell’attività abitualmente esercitata (…), idonea a far presumere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio, bensì di detta organizzazione associativa, costituita proprio per potenziare la produzione di ricchezza (VAP) a vantaggio degli associati, presupposto dell’IRAP»3.

Secondo la Corte, l’attività associata integra il presupposto applicativo dell’IRAP se da’ luogo a un insieme di strutture «esorbitanti» rispetto al lavoro personale dei singoli; per l’Agenzia, comunque, ogni tipo di attività che sia esercitata da «società» od «enti» costituisce presupposto d’imposta.

Sempre ai fini IRAP, come chiarisce il CNDCEC, l’applicazione alle S.T.P. del regime fiscale delle associazioni professionali comporterebbe la possibilità per le stesse di determinare il valore della produzione netta (VPN) secondo le regole previste per i soggetti esercenti arti e professioni dall’art. 8 del D.Lgs. n. 446/1997, anziché – a seconda del tipo societario utilizzato dalla S.T.P. in sede di costituzione – secondo quelle relative alle società di capitali e di persone.

13 gennaio 2014

Fabio Carrirolo

1 Cfr. risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 28.5.2003, n. 118/E.

2 Art. 2238, c. 1, c.c.: “se l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma d’impresa, si applicano anche le disposizioni del titolo II”.

3 Cfr. Cass., n. 13570, dell’11.6.2007.