La rappresentanza del contribuente di fronte agli uffici tributari

per far fronte a tutti gli adempimenti col Fisco il contribuente si affida spesso all’attività di un consulente-professionista avvalendosi dell’istituto della rappresentanza: analisi delle norme che regolano tale istituto

In ordine ai vari adempimenti di carattere tributario e alle attività di accertamento svolte nei suoi confronti, il contribuente, cioè il legittimato al rapporto con gli uffici finanziari, si affida soventemente all’attività di un consulente-professionista avvalendosi, in pratica, dell’istituto della rappresentanza. Questo avviene sia per ragioni di necessità (i.e. mancanza di tempo materiale, impegni di lavoro del contribuente stesso) sia per motivi di opportunità e di tutela. E’ indubbio, infatti, che il “tecnicismo” fiscale imponga l’intervento di un professionista onde poter interloquire con le più ampie cognizioni di causa con l’Ente impositore.

Nel rapporto tra Fisco e contribuente, vi è piena contezza e consapevolezza dell’importanza di tal potere di rappresentanza, tant’è che (ad esempio) l’Agenzia Entrate, con la Circolare 21 dicembre 2011, n.54/E, emanata nell’ambito degli indirizzi operativi per il rilascio del codice “PIN” ai fini dell’abilitazione dei servizi telematici dalla stessa messi a disposizione dei contribuenti, ha rappresentato che “il contribuente che non intende recarsi personalmente presso gli Uffici può farsi rappresentare esclusivamente da un procuratore speciale cui ha conferito procura per iscritto con firma autenticata (art. 63, secondo comma, primo periodo del DPR n. 600/1973) e deve essere presentata in originale al fine di evitare abusi e garantire la protezione dei dati personali”.

Inoltre, lo Statuto dei diritti del contribuente prescrive, all’art.12, l’ausilio di soggetto munito di apposite competenze in ambito fiscale (“quando viene iniziata la verifica il contribuente ha diritto di essere informato … della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria…”).

La norma specifica , relativa al mandato de quo, è però l’art. 63 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600(già accennato in precedenza con riferimento alla Circ. n.54/6/2011), che disciplina le modalità di conferimento, ad un terzo, della delega alla rappresentanza del contribuente presso gli uffici finanziari1.

Tale disposizione prevede:

  • l’obbligo dell’uso della forma scritta per la procuradi specie, cioè per l’atto volto ad investire il rappresentante del potere di agire in nome e per conto del rappresentato e diretto a legittimarlo presso i terzi;

  • l’esenzione dall’autenticazione, da parte del rappresentante, della firma del delegante solo nei casi di stretta relazione (coniugio, parentela, affinità, rapporto di lavoro dipendente) tra quest’ultimo e il delegato. Quest’ultima possibilità, prevista dall’art. 63 citato, deriva dal fatto che l’espletamento della rappresentanza de qua in una sede diversa da quella delle aule di giustizia (e tra queste quella tributaria) ha indotto il legislatore a contemplare la possibilità di delega anche verso soggetti sprovvisti di determinati requisiti tecnici e professionali (titolo di studio, iscrizione ad albi professionali) ; pur tuttavia, è evidente che i contribuenti fanno ricorso a tale facoltà solo quando devono porsi in essere adempimenti meramente ordinari (es. consegna e ritiro documentazione).

 

La necessità, imposta dallo stesso art. 63, che la firma del rappresentato sia autenticata dal professionista rappresenta una garanzia per l’ufficio e per il contribuente; nei contenuti della norma , oltre la predetta funzione di garanzia, si rende palese anche un elemento di deterrenza verso le forme di dolo o di abuso da parte dei consulenti: infatti la violazione del precetto da partedi chi esercita funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria è punita, per espressa previsione dello stesso art. 63, con la multa da lire cinquantamila a lire cinquecentomila.

 

La forma, il modo della procura e il contenuto dello stesso art. 63 consentono di configurare un rapporto identificabile nella rappresentanza come legittimazione ad agire per conto altrui2ed, in particolare, una “rappresentanza diretta, ove il rappresentante agisce in nome e per conto altrui e in cui gli effetti dell’atto si producono direttamente nella sfera giuridica dell’interessato, fattispecie distinta da quella della rappresentanza indiretta3, in cui il rappresentante agisce per conto altrui ma in nome proprio, con la conseguenza che gli effetti dell’atto si producono nella sfera del rappresentante.

Capita (quasi sempre) che l’opportunità di avvalersi di un proprio delegato sia sfruttata dal contribuente nell’ambito del procedimento di accertamento con adesione, in quanto l’art. 7, c. 1-bis del Decreto Legislativo n. 218/1997 dispone che il contribuente può farsi rappresentare da un procuratore munito di procura speciale,nelle forme previste dall’art. 63 del DPR 600/1973.

Grazie all’art. 7 citato, il professionista può sottoscrivere, in nome e per conto dell’assistito, l’atto di adesione ma deve tenersi conto che la sottoscrizione da parte di un professionista munito di procura priva di autenticazione non determina la nullità dell’atto, a meno che la controparte non contesti espressamente l’autenticità della sottoscrizione (Ctr Piemonte sent. n. 44/34/10 , decisione che richiama Cass. civ. n. 6591 del 12 marzo 2008). In effetti, in epoca più risalente, il giudice di ultima istanza aveva avuto già modo di affermare che qualora non sia controversa l’esistenza del potere rappresentativo, ma il rappresentato contesti le modalità con cui l’esercizio del potere è stato esercitato, spetta a quest’ultimo fornire la prova dei limiti del potere (Cass. n. 11089/2001).

Deve , peraltro, essere sottolineato che gli eventuali vizi della procura o dello stesso mandato di rappresentanza intervengono in un rapporto che rimane confinato a quello tra contribuente e impositore e, pertanto, non è sottoposto al vaglio di un soggetto terzo (ndr: ci si riferisce al giudice super partes): pertanto, nella valutazione delle patologie di specie, deve farsi riferimento non alle norme del codice di rito ma, esclusivamente, alla disciplina civilistica.

 

Il delegato, nel sottoscrivere atti che svolgono immediati riflessi nella sfera giuridica e patrimoniale del contribuente (i.e. sottoscrizione di accertamento con adesione) non può però superare i poteri conferitigli dal dominus e alla giurisprudenza di legittimità è stato rimandato il compito di stabilire gli effetti che susseguono alla violazione di tale limite.

In effetti, tale evento coinvolge la fattispecie, disciplinata dall’art. 1398 c.c.; tale norma contempla l’ipotesi della rappresentanza senza potere che si realizza quando il c.d. falsus procurator contrae come rappresentante pur senza averne i poteri (eccesso di potere) oppure oltrepassandone i limiti (difetto di potere). Per questa seconda ipotesi, talvolta si è usata la definizione di “eccesso di rappresentanza” quando, appunto, il sostituto abbia agito al di là delle facoltà conferitegli.

Alla luce dei contenuti della norma e del caso di travalicamento dei poteri conferiti al rappresentato, la Suprema Corte, in linea con diversi orientamenti dottrinari, ha statuito che la soluzione va ricercata osservando il principio della “apparenza del diritto, ricompreso in quello più ampio dell’“affidamento incolpevole”(Cass. civ., Sez. III, 28 agosto 2007, n. 18191; Cass. civ., Sez. II, 8 febbraio 2007, n. 2725;Cass. civ., Sez. III, 12 gennaio 2006, n. 408;Cass. civ., Sez. III, 27 ottobre 2005, n. 20906; Cass. civ., 29 aprile 1999, n. 4299. ; Cass. civ., Sez. III, 18 febbraio 1998, n. 1720;Cass. civ., Sez. III, 1° marzo 1995, n. 2311.) Secondo la Corte, in particolare, il dominus non può opporre al terzo scenari di fatto che siano ascrivibili alla propria condotta colpevole .

 

I presupposti del “principio di apparenza” sono stati condivisi anche dalla giurisprudenza di merito che, elaborando i profili che formano tale principio, ha indicato la necessità della concorrenza di elementi quali: l’apparente esistenza di un potere di rappresentanza, il comportamento colposo dell’apparente rappresentato nel determinare l’insorgere dell’apparenza e l’assenza di colpa del terzo; in altre parole, recitano un peso rilevante, la condotta in buona fede del terzo che abbia concluso atti con il rappresentante e il comportamento colposo di quest’ultimo, tale da ingenerare nel terzo il convincimento che il potere rappresentativo è stato pienamente ovvero validamente conferito (Cass. civ. n. 15743/2004 , 18191/2007 cit., 2725/2007 cit.).

 

La “apparenza” può definirsi come il contesto che induce, “ragionevolmente”, il terzo contraente (assimilabile, in questo caso, all’Ufficio finanziario) a ritenere sussistente il rapporto di rappresentanza tra mandante e mandatario.

Invece, il profilo della “colpa” deve essere, nel contempo, estraneo alla condotta del terzo ma individuabile in quella del rappresentato, nella misura in cui negligenza, imprudenza o imperizia di quest’ultimo finiscano con il corroborare l’affidamento e, quindi, la “scusabilità” dell’errore nel terzo.

 

Riassumendo: in tema di rappresentanza, l’applicabilità del principio dellapparenza del diritto richiede che il rappresentato abbia tenuto un comportamento colposo tale da ingenerare nel terzo il ragionevole convincimento che al rappresentante apparente fosse stato effettivamente conferito il relativo potere e che il terzo abbia in buona fede fatto affidamento sulla esistenza di detto potere, con la conseguenza che, laddove, ciò accada nessuna responsabilità può ascriversi al terzo, per aver confidato senza colpa in un’ apparenza di diritto (anche quando quest’ultima è contrastata dal rappresentato con iniziative tardive).4

 

Per concludere, va sottolineato che la richiesta di giustificazione dei poteri del rappresentante, costituisce per il terzo contraente una facoltà e non un onere, sicché il non aver richiesto tale giustificazione non è sufficiente a costituire in colpa il terzo ai sensi dell’art. 1398 c.c. essendo, invece, necessari altri elementi dai quali risulti la colpa (Cass. n. 15743/2004; Cass. 9289/2001) e ciò sia se l’affidamento del terzo riguardi negozi formali sia riguardi negozi amorfi (Cass. n. 6301/2004). Alla luce di ciò, è normale che il terzo si astenga dall’esercizio di tale facoltà ove non abbia dubbi dell’esistenza di quei poteri (Cass. n. 9289/2001; Cass. 3691/1995; Cass. n. 1817/1987).

20 gennaio 2014

Antonino Russo

1 Art. 63, cc. 1 e 2, D.P.R. n. 600/1973(“Rappresentanza e assistenza dei contribuenti”): “1. Presso gli uffici finanziari il contribuente può farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale, salvo quanto stabilito nel quarto comma.

2. La procura speciale deve essere conferita per iscritto con firma autenticata. L’autenticazione non è necessaria quando la procura è conferita al coniuge o a parenti e affini entro il quarto grado o a propri dipendenti da persone giuridiche. Quando la procura è conferita a persone iscritte in albi professionali o nell’elenco previsto dal terzo comma ovvero ai soggetti indicati nell’articolo 4, comma 1, lettere e), f) ed i), del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 è data facoltà agli stessi rappresentanti di autenticare la sottoscrizione…”.

2 Bianca, Diritto civile, III, Milano, 1998, 74.

3 Pugliatti, Programma introduttivo di un corso sulla rappresentanza in diritto privato, in Studi sulla rappresentanza, Milano, 1965, 522; Id., Rilevanza del rapporto interno nella rappresentanza indiretta, in RTDPC, 1958, 801; Id., Fiducia e rappresentanza indiretta, in Diritto civile. Metodo, Teoria, Pratica. Saggi, Milano, 1951, 298; Id., Sulla rappresentanza indiretta, in Diritto civile, Milano, 1951, 187; Santoro Passarelli, Mandato e rappresentanza indiretta: limiti, in RDC, 1940, 477; Scaduto, La rappresentanza mediata nell’acquisto dei diritti, in RDC, 1925, I, 525.

4 così Trib. Monza Sez. II, 25 giugno 2007.