L'importanza della sottoscrizione del P.V.C. e l’ammissibilità o l’inammissibilità delle prove irritualmente acquisite

sono valide (ai fini del processo tributario) le prove raccolte dal Fisco se il contribuente non sottoscrive il PVC relativo all’accesso?

Con l’ordinanza n. 23839 del 21 ottobre 2013 (ud. 26 settembre 2013) la Corte di Cassazione ha legittimato l’accertamento eseguito, anche se il Pvc non risulta sottoscritto dal contribuente.

 

La sentenza

Indichiamo i passaggi salienti del pronunciamento della Corte di Cassazione:

  • l’avviso di accertamento, rappresentando l’atto conclusivo di una sequenza procedimentale a cui possono partecipare anche organi amministrativi diversi, può essere motivato ‘per relationem‘, anche con il rinvio pedissequo alle conclusioni contenute in un atto istruttorio (nella specie il p.v.c. della Guardia di finanza), senza che ciò arrechi alcun pregiudizio al diritto del contribuente. La scelta in tal senso dell’Amministrazione finanziaria non può essere di per sè censurata dal giudice di merito, al quale, invece, spetta il potere di valutare se, dal richiamo globale all’atto strumentale, sia derivata un’inadeguatezza o un’insufficienza della motivazione dell’atto finale. Pertanto il contribuente che intenda contestare l’accertamento dell’adeguatezza della motivazione ‘per relationem‘ in sede di legittimità deve specificamente indicare le cause della sua inadeguatezza nei motivi di ricorso, mentre invece a tanto P. non aveva ottemperato nella specie (cfr. anche Cass. Sentenze n. 2907 del 10/02/2010, n. 7766 del 2008)”;

  • com’è noto, in materia tributaria, non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento comporta, di per sè, l’inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, esclusi i casi in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio (V. pure Cass. Sentenze n. 27149 del 16/12/2011, n. 22984 del 2010)”.

 

Brevi riflessioni

La sentenza in commento si inserisce in quel filone giurisprudenziale teso a rendere utilizzabile tutto ciò che è comunque a disposizione dei verificatori1.

Come evidenziato da dottrina di matrice finanziaria “tale prospettiva, comunemente nota come teoria dell’invalidità derivata, permette al contribuente di far valere i comportamenti posti in essere dai funzionari incaricati dei controlli fiscali, ritenuti illegittimi … attraverso l’impugnazione dell’avviso di accertamento … fondato sulle risultanze probatorie acquisite in occasione o a seguito del controllo asseritamente viziato, escludendosi comunque la possibilità di una reazione immediata avverso l’atto conclusivo dell’attività istruttoria, sia perché, in quanto preparatorio, non idoneo ad incidere in via autonoma e diretta sulla sfera giuridica del soggetto controllato, sia perché il sistema del contenzioso tributario ne esclude l’impugnabilità2.

I diversi orientamenti espressi dalla Cassazione, ormai quasi univoci3, ci portano a ritenere che, alla fine della fiera, l’ammissibilità o l’inammissibilità delle prove irritualmente acquisite dipende dalla gravità della violazione.

Tuttavia, come osservato dalla migliore dottrina4nell’attività istruttoria, i presunti effetti invalidanti dell’acquisizione degli elementi probatori, in assenza di preclusioni specifiche, non rinvenibili né nel dettato normativo né nell’ordinamento tributario, sono ostacolati dalle stesse norme sull’accertamento che consentono all’Amministrazione finanziaria la potestà di ricostruire la posizione reddituale del contribuente sulla base di tutti gli elementi che, a qualsiasi titolo ed a prescindere dalla fonte di provenienza, siano entrati nella sfera di conoscenza dell’Amministrazione medesima”: l’art. 36 del D.P.R. n. 600/1973, che prescrive che “i soggetti pubblici incaricati istituzionalmente di svolgere attività ispettive o di vigilanza nonché gli organi giurisdizionali civili e amministrativi che, a causa o nell’esercizio delle loro funzioni, vengono a conoscenza di fatti che possono configurarsi come violazioni tributarie devono comunicarli direttamente ovvero, ove previste, secondo le modalità stabilite da leggi o norme regolamentari per l’inoltro della denuncia penale, al comando della Guardia di finanza competente in relazione al luogo di rilevazione degli stessi, fornendo l’eventuale documentazione atta a comprovarli“; l’art. 38, c. 3, del D.P.R. n. 600/1973, che statuisce che “l’incompletezza, la falsità e l’inesattezza della dichiarazione, salvo quanto stabilito dall’art. 39, possono essere desunte … dai dati e dalle notizie di cui all’articolo precedente“ (da individuarsi nell’art. 37); l’art. 39, cc. 1 e 2, del medesimo D.P.R. n. 600/1973 che in tema di rettifica analitica ed induttiva dei redditi determinati in base a scritture contabili, contemplano la possibilità di rilevare l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati in dichiarazione da altri atti e documenti in possesso dell’ufficio, nonché di determinare induttivamente il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza; l’art. 41, cc. 1 e 2, del D.P.R. n. 600/1973, che consente agli uffici di procedere all’accertamento d’ufficio nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazioni nulle, “sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza“; gli artt. 41-bis del D.P.R. n. 600/1973 e 54, c. 5, del D.P.R. n. 633/1972, che permettono agli uffici di procedere ad accertamento qualora dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile; l’art. 55 del D.P.R. n. 633/1972, in tema di accertamento induttivo ai fini Iva, che permette, così come ai fini delle imposte sui redditi, la determinazione dell’imponibile complessivo e dell’aliquota applicabile sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza.

In particolare, l’art. 37, c. 1, del D.P.R. n. 600/1973, afferma che “gli uffici …procedono … al controllo delle dichiarazioni … attraverso … le informazioni di cui siano comunque in possesso”.

In pratica tutto ciò che è a conoscenza dell’ufficio è utilizzabile in sede di accertamento.

Ricordiamo ancora che, con la sentenza n. 6351 del 21 gennaio 2008 (dep. il 10 marzo 2008) la Corte di Cassazione ha fissato due importati principi:

  • la sottoscrizione del Pvc da parte di persona diversa dalcontribuente ovvero di soggetto privo della qualifica di legalerappresentante (nel caso di ente societario) non inficia l’efficacia ovvero non rende inutilizzabili, ai finidell’accertamento, i dati ed elementi assunti dai verificatori;

  • la documentazione contabile rinvenuta presso il contribuente (nellaspecie, estratti conto) può essere legittimamente utilizzata anche inassenza di ulteriori riscontri (quali ulteriori indagini presso gli istitutidi credito) laddove il soggetto verificato non ne contesti la difformitàdall’originale in quanto deve assumersi che essi siano conformi a quellidetenuti dall’ente emittente5.

 

Infatti, “il termine di rappresentante non può avere alcun significato tecnico-giuridico, ma valghi semplicemente come persona addetta all’azienda o alla casa (vedi per analogia a quanto previsto dall’art. 139 c.p.c. in tema di notifica dell’atto in genere). D’altra parte è altresì previsto che il contribuente possa non sottoscrivere del tutto il p.v.c.; in ogni caso la firma del verbale da parte di persona non autorizzata, anche se si traducesse in una violazione delle regole dell’accertamento tributario, non può certo comportare l’inutilizzabilità degli elementi acquisiti dai verbalizzanti in assenza di una specifica previsione in tal senso (giurisprudenza costante: Cass. n.3852/2001, Cass. n. 14058/2006, Cass. n. 11203/2007)”.

 

26 novembre 2013

Francesco Buetto

1 La Corte di Cassazione è stata chiamata più volte ad occuparsi della delicata questione che investe aspetti precisi e particolari dell’attività di verifica, pur se l’atto che acquista rilevanza esterna è l’avviso di accertamento (eventuali vizi del processo verbale, che l’ha preceduto e su cui esso si fonda, possono essere fatti valere in sede di ricorso giurisdizionale contro l’accertamento).

2 SCREPANTI, Irrituale acquisizione di elementi probatori. Utilizzabilità ai fini dell’accertamento e responsabilità dei verificatori, in “ il fisco “, n.33/2001, pag. 11046.

3 Destino diverso invece ha la verifica autorizzata verbalmente. Cfr. Cass. sentenza n. 15209 del 30.11.2000 (depositata il 29.11.2001) secondo cui il dettato normativo impone un intervento preventivo per iscritto dell’autorità che deve disporre l’accesso, essendo eccezionali le ipotesi in cui l’amministrazione agisce all’esterno con atti meramente verbali. Pertanto, per la Corte, la documentazione, acquisita a seguito di autorizzazione verbale all’accesso nei locali dell’impresa, è inutilizzabile, e, conseguentemente, è nullo l’avviso di accertamento che su di essa si fonda. La Corte, acclarato che il giudice tributario ha accertato che la Guardia di Finanza ha proceduto all’accesso senza disporre di una previa autorizzazione scritta del proprio comando, ritiene che dalla lettura delle disposizioni che regolano l’accesso, “non sembra sussista alcun dubbio che esso prescriva un intervento preventivo della Autorità che deve disporre l’accesso (non si vede come possa sussistere una disposizione successiva al fatto); ed altrettanto ovvio che tale disposizione debba essere data per iscritto essendo eccezionali le ipotesi in cui la Amministrazione agisce, con rilevanza verso terzi, con atti meramente verbali. Si tratta poi di ipotesi in cui il ricorso all’atto scritto è reso impossibile da situazioni di fatto o di assoluta urgenza (si pensi agli ordini emanati dal responsabile dell’ordine pubblico). Non vi è invece alcuna ragione pratica che possa consentire il ricorso nella materia qui in esame a disposizioni verbali, mentre la forma scritta è imposta proprio dalla esigenza per il contribuente che ha diritto d assistere all’accesso di verificare che esso si svolga nell’ambito della legge”.

5 Con la sentenza n. 8344 del 10.4.2001 (depositata il 19.06.2001), la stessa Corte di Cassazione ha affermato che nel procedimento tributario, “salvi i casi espressamente previsti, rileva esclusivamente l’attendibilità delle prove e non i modi in cui sono state acquisite, talché, ove l’acquisizione non sia conforme alle regole all’uopo previste, tale irregolarità non determina l’inutilizzabilità delle prove stesse in quanto, per un verso, l’inutilizzabilità è categoria giuridica valida solo per il processo penale e, per l’altro, non è giusto che la negligenza di chi ha acquisito le prove ricada sull’Amministrazione finanziaria a fronte di una prova oggettivamente valida”. Secondo la Suprema Corte, “correttamente i giudici di appello hanno rilevato che se, come nella specie, la Guardia di finanza nel corso di una perquisizione di carattere penale rinviene documentazione utilizzabile nel procedimento tributario, la validità della acquisizione di tale documentazione, in quanto utilizzata nell’accertamento tributario, va giudicata sulla base delle norme disciplinanti i modi di tale accertamento e non di quelle che disciplinano il procedimento penale. Non può, dunque, trarsi argomento dal mancato rispetto delle norme di procedura penale riguardanti l’intervento del difensore nel corso della perquisizione per sostenere la nullità dell’accertamento tributario perché tale intervento non è previsto dagli artt. 52 e seguenti del D.P.R. n. 633/1972, che disciplinano le modalità dell’accesso nei luoghi di abitazione da parte della Polizia tributaria: l’autonomia dei due procedimenti consente l’esistenza di una situazione per cui una nullità afferente un atto del procedimento penale non ha rilievo nel procedimento tributario”. Inoltre, per la Corte, il controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni può e deve essere effettuato sulla scorta di qualsiasi documento e scrittura rilevante ai fini della contabilità, utilizzando, ai fini dell’accertamento, gli “atti e documenti in suo possesso”. Cfr. anche Cass. sentenza n. 8273 del 31.10.2002 (depositata il 26.05.2003) che ha statuito che in materia tributaria non vige il principio, presente invece nel codice di procedura penale, secondo cui è inutilizzabile la prova acquisita irritualmente, e pertanto gli organi di controllo possono utilizzare tutti i documenti dei quali siano venuti in possesso, salvo la verifica dell’attendibilità, in considerazione della natura e del contenuto dei documenti stessi, e dei limiti di utilizzabilità derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico. La Suprema Corte ricorda che, in forza dell’art. 39, c. 2, del D.P.R. n. 600/1973, la determinazione del reddito d’impresa è consentita “sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza”, e pertanto la prova irritualmente assunta può, comunque, costituire un elemento a carico del contribuente. La Corte, inoltre, riafferma quanto sostento nel pronunciamento n. 8344/2001, distinguendo l’inutilizzabilità dall’attendibilità e richiama la sentenza n. 2775 del 26.02.2001, che ha statuito che “il provvedimento di autorizzazione della perquisizione domiciliare di un soggetto, allo scopo di acquisire la documentazione fiscale relativa al soggetto stesso, consente di acquisire, in tale domicilio, anche ulteriori documenti di pertinenza di soggetti diversi, pur se non menzionati nel provvedimento di perquisizione, atteso che la ratio ispiratrice della previsione normativa di cui all’art. 52 citato è quella di tutelare il diritto del soggetto nei cui confronti l’accesso viene richiesto, e non quello di creare una sorta di immunità dalle indagini in favore dei terzi, siano o meno conviventi con l’interessato”.