Crediti e perdite: cessione del credito, accordi transattivi, rinuncia al credito

Continuiamo la nostra guida alla gestione fiscale delle perdite su crediti, con analisi particolare del caso delle perdite che sorgono nel momento di incasso del credito: la cessione del credito, l’accordo transattivo e la rinuncia al credito (terza parte).

L’agenzia delle Entrate, con la circolare 26/E, ha precisato che le perdite da atti di realizzazione sono deducibili se risultano verificate le condizioni di cui al comma. 5 dell’articolo 101 del TUIR.

Rinviando per un opportuno approfondimento al precedente documento, pubblicato da questo editore, si rammenta che l’interpretazione di derivazione civilistica considera le perdite da atti di disposizioni non attratte dalle disposizioni di cui al co. 5 dell’articolo 101 ma dal comma 1 del medesimo articolo (Cir. 15 Assonime).

L’agenzia delle entrate precisa al paragrafo 3.2 che gli atti realizzativi causa di una perdita fiscale su crediti ai sensi dell’articolo 101 co. 5 del TUIR sono:

  • le cessioni del credito a titolo definitivo;

  • le transazioni con il debitore che comportano la riduzione definitiva del debito o degli interessi originariamente stabiliti quando la motivazione sia riconducibile alla difficoltà finanziaria del debitore stesso, con esclusione delle transazioni riconducibili ad altre motivazioni quali quella di dirimere una potenziale controversia;

  • l’atto di rinuncia al credito.

 

 

La cessione del credito

Nei casi di cessione del credito a titolo definitivo, l’agenzia delle entrate indica i presupposti probatori della rilevanza fiscale della relativa perdita, precisando che i requisiti e le condizioni di cui al co. 5 dell’articolo 101 sono verificati quando:

  • la cessione è effettuata a banche o intermediari finanziari sottoposti alla vigilanza ai sensi delle disposizioni in materia bancaria e creditizia, soggetti che con sufficiente affidabilità assicurano, nell’ambito delle dette operazioni, l’ammontare effettivo del credito esigibile;

  • che la perdita derivante dalla cessione del credito non sia superiore al costo del recupero del credito, da documentare con riferimento ai prezzi mediamente praticati sul mercato per l’attività di recupero, tenuto anche conto dei costi di gestione interni oltre che dei tempi di riscossione.

Va preliminarmente osservato che, la deducibilità fiscale delle perdite su crediti da cessione dei medesimi, rileva nelle sole ipotesi di cessione definitiva, e quindi per le ipotesi di cessione pro-soluto dei crediti (e non anche per le ipotesi di cessione pro solvendo).

Va inoltre osservato che, la cessione causa di una perdita su crediti, interessa solo i crediti già scaduti, in quanto l’onere derivante dalla cessione di un credito non scaduto non ha natura di perdita su crediti ma quella di onere finanziario che riflette il differimento nel tempo per il cessionario dell’incasso del credito oggetto di cessione. In tal caso la deducibilità di tale onere dovrà essere verificata con riferimento alle disposizioni che disciplinano la inerenza quantitativa e non ai sensi del co. 5 dell’articolo 101 del TUIR.

Tanto precisato si rileva che, con riferimento alla prima delle condizioni sopra esposte (cessionario qualificato quale ente finanziario), la stessa rappresenta una situazione per la quale l’agenzia delle entrata è privata del poter di sindacare la rilevanza fiscale della derivata perdita su crediti.

In particolare, l’ufficio avverte che se il soggetto cessionario è costituito da un soggetto sottoposto alla vigilanza finanziaria, la perdita derivata dalla cessione è da ritenersi definitiva in quanto la determinazione dell’importo effettivamente esigibile è affidabilmente quantificato da tali soggetti, terzi ed istituzionali.

Tale affermazione, da cogliere con esito favorevole, non è scevra da critiche. Non vi è dubbio che la cessione del credito è accordo nell’ambito del quale le parti possono, in ragione del proprio potere contrattuale, liberalmente definire le rispettive attribuzioni patrimoniali. In tal senso non si può certo escludere che la banca cessionaria possa corrispondere un prezzo inferiore al valore di effettiva esigibilità del credito.

Da qui emerge la rilevanza del secondo requisito sopra evocato. In ogni caso la deducibilità della perdita su crediti derivata da cessione degli stessi, è subordinata alla condizione secondo la quale la stessa (perdita) non deve risultare superiore alle spese che sarebbero state sostenute per il recupero e sempreché il creditore si sia attivato con le misure minime per il recupero del credito.

In sostanza occorre che sia verificata la seguente equazione:

Perdita <= costi di riscossione.

 

Come già precisato, tale condizioni è, indicata quale presupposto probatorio sufficiente ad evitare il giudizio di sindacato da parte dell’AE, non escludendo che ipotesi per le quali le perdite risultino superiori ai costi di riscossione, non possano, laddove correttamente documentate e argomentate, beneficiare della rilevanza fiscale in giudizio.

Nella circolare è precisato che, l’agenzia delle entrate presterà particolare attenzione alla sussistenza di operazioni elusive, quando le operazioni di cessione del credito risultino poste in essere tra soggetti a vario titolo collegati. In tali ipotesi potrebbero infatti trovare terreno fertile le disposizioni di cui all’articolo 37 bis del DPR 600/73.

Si ritiene opportuno infine raccomandare una particolare attenzione a quei casi in cui, per eludere l’applicazione delle disposizioni in rassegna, il cessionario acquista il credito al valore nominale per poi fatturare al cedente la prestazione di servizi avente ad oggetto lo studio, disamina e valutazione dei crediti oggetto di cessione.

Si badi bene, se la prestazione di servizi di valutazione del credito non è stata di fatto posta in essere, la situazione di cui sopra perfeziona la rilevazione di un fattura falsa per operazione inesistente, causa di ben più gravi conseguenze aventi anche riflessi di natura penale.

 

 

ACCORDI TRANSATTIVI

La circolare conferma il precedente orientamento già espresso secondo il quale, le transazioni di regola non danno luogo ad una perdita su crediti ma ad una rideterminazione del corrispettivo inizialmente convenuto, da cui si avrà che contabilmente devono essere rilevate o mediante riduzione dei ricavi, quando l’accordo transattivo interviene nel medesimo periodo di imposta, ovvero mediante rilevazione di una sopravvenienza passiva laddove l’accordo intervenga in un esercizio successivo.

Fiscalmente tali atti saranno soggetti agli ordinari sindacati di inerenza, competenza, imputabilità.

Tuttavia l’agenzia delle entrate precisa che, quando l’accordo transattivo trova causa nella situazione di difficoltà finanziaria del debitore allora il derivante onere è da imputare e inquadrare tra le perdite su crediti e pertanto è soggetto alle condizioni di rilevanza fiscale di cui al comma 5 dell’articolo 101 del TUIR.

L’agenzia richiede a tale fine che la situazione di difficoltà finanziaria del debitore sia documentata mediante, ad esempio, l’istanza di ristrutturazione presentata dal debitore oppure dalla presenza di debiti insoluti anche verso terzi.

Ma vi è di più, perché la circolare richiede che sia rispettato anche il principio di convenienza economica richiamato nei casi di cessione del credito.

Requisiti, come ampiamente già precisato, che sono indicati come elementi sufficienti a giustificare la rilevanza fiscale della perdita su crediti rilevata in bilancio, ferma restando, a parere dello scrivente, la possibilità di fornire altri elementi di prova convincenti in sede giudiziaria della opportunità della stipula di un accordo transattivo1.

Si rimarca che, le precisazioni esposte interessano unicamente gli accordi transattivi aventi causa nella sofferenza finanziaria del debitore e non anche negli accordi aventi causa nel non esatto adempimento delle cessioni di beni o prestazioni di servizi dovuti con riferimento ai contratti originari.

 

RINUNCIA AL CREDITO

Le rinunce ai crediti, per interpretazione di derivazione civilistica, non sono perdite su crediti ma costituiscono atti di dispositivi unilaterali.

La questione circa la rilevanza fiscale dello stralcio unilaterale del credito è da ricondurre al concetto di inerenza dell’atto liberale che, di per sé, in genere non lo è.

E’ stato tuttavia fatto notare che ad un atto di rinuncia, causa della perdita quale componente negativo di reddito, corrisponde sempre una sopravvenienza, componente positivo di reddito, non perfezionandosi, di fatto, alcun degrado nella materia imponibile fiscale complessiva.

In ogni caso appare corretto ritenere che all’atto di rinuncia debba corrispondere un contesto di logicità economica, come di recente affermato dalla Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza 10256 del 2013.

 

 

Sentenza della Cassazione 10256 del 2013

La deducibilità dei crediti ai quali il contribuente rinunci non per la irrecuperabilità dei crediti ma per la convenienza economica di mantenere buoni rapporti con il soggetto debitore non rende indeducibili la perdita conseguente perché il legislatore ha riguardo solo all’oggettività della perdita e non pone nessuna limitazione o differenziazione a secondo della causa di produzione della stessa.

L’imprenditore in base a considerazioni di strategia generale, può legittimamente compiere operazioni di per se stesse antieconomiche in vista ed in funzione di benefici economici su altri fronti.

Questo l’estratto dell’ordinanza della suprema Corte di Cassazione richiamato, che ribadisce il principio già consolidato secondo il quale la perdita è rilevante fiscalmente quando deriva da fatti assoluti e quindi sottratti a qualsiasi valutazione, o da fatti da certificare ai fini della certezza e precisione.

In tal contesto di rinuncia o transazione del credito, non sono le disposizioni di cui al co. 5 dell’articolo 101 del TUIR che dettano la deducibilità ma le più generali disposizioni dell’inerenza quantitativa.

In tal contesto è da apprezzare l’ulteriore corretto convincimento giuridico esposto, secondo il quale, l’antieconomicità non deve essere mai verificata con riferimento alla singola operazione ma nel più ampio contesto dell’esercizio complessivo delle attività aziendali.

Un atto di remissione oggi può costituire un’opportunità economica domani.

E’ contro questi principi granitici che le posizioni contenute nella circolare dell’Agenzia delle Entrate devono essere valutate, posizioni che indicano gli elementi sufficienti ad evitare ulteriori verifiche ed accertamenti, ma di per sé da apprezzare come non uniche nell’attribuire rilevanza fiscale alle perdite su crediti rilevate, potendo il contribuente dare prova della deducibilità di tali oneri anche fornendo la prova della sussistenza di altre situazioni di convenienza economica imprenditoriale.

 

1 ottobre 2013

Mario Agostinelli

 

NOTE

1 Ad esempio l’accordo transattivo potrebbe essere il presupposto della continuazione dei rapporti commerciali consentendo la sopravvivenza dell’impresa debitrice.