Transazione col debitore e perdite su crediti

nella fase di gestione dei rapporti commerciali coi propri clienti, bisogna fare attenzione alla contabilizzazione della transazione che si fa con un debitore, in quanto la transazione è una perdita su credito solo se motivata dalle difficoltà finanziarie del debitore

La transazione è fuori dalle perdite su crediti, sempre che non discenda dalle difficoltà finanziarie del debitore.

In questo modo, la circolare 26/E/2013 distingue le perdite su crediti che devono rispettare gli stringenti limiti imposti dall’articolo 101, comma 5 del Tuir da altri accordi, come quello transattivo, che (a norma dell’art. 1965 c. 1 c.c.) “è il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già insorta o prevengono una lite che potrebbe insorgere tra loro”.

Essendo un atto bilaterale (contratto) che presuppone l’esistenza di una lite anche potenziale (res litigiosa) conseguente all’incertezza in ordine alla spettanza o meno di un diritto (res dubia), la transazione va qualificata come sopravvenienza passiva.

L’esito di una transazione può implicare la riduzione del valore nominale di un credito con la rilevazione di un onere in capo al creditore (pari alla differenza tra il valore nominale del credito e l’importo rideterminato a seguito della transazione) e, parallelamente e contestualmente, la riduzione del valore nominale del correlato debito e la rilevazione, per pari importo, di un provento in capo al debitore.

L’inquadramento fiscale di tale accordo era stato oggetto di chiarimenti da parte nel corso della diretta Map del 23 settembre 2010, nel quale l’Agenzia delle Entrate ha chiarito la natura dei componenti di reddito scaturenti dalla riduzione dei crediti commerciali, imputabile alla sottoscrizione di accordi transattivi tra i contraenti. In tale sede è stato affermato che tali componenti non costituiscono perdite su crediti, bensì sono frutto della rideterminazione dell’originario corrispettivo, conseguente alle modifiche apportate all’originario rapporto contrattuale, a seguito della transazione. Ne consegue che la componente negativa di reddito che si origina non è da considerarsi assoggettabile al vincolo degli “elementi certi e precisi” definiti dall’art. 101, c. 5, del Tuir.

In sostanza, dal momento in cui si realizza una transazione su crediti, siamo di fronte a una modifica bilaterale del contratto originariamente definito: il componente negativo che ne deriva non va assoggettato alla tagliola degli “elementi certi e precisi”, ma può essere pacificamente dedotto fiscalmente. Precisa, però, la circolare 26/E/2013 che il differenziale derivante dalla transazione non deve essere espressivo di un grado di sofferenza del credito ma, piuttosto, di una rideterminazione del corrispettivo. In tale prospettiva, quindi, l’onere derivante dalla transazione non ricade nell’ambito applicativo dell’art. 101 del T.U.I.R. e quindi è da ritenersi integralmente deducibile.

Invero, anche la Cassazione ha, in sostanza, confermato le conclusioni del Fisco: nella sentenza del 20 Maggio 2011, n. 11217 è stata evidenziata la differenza fra il caso del minore introito da atto transattivo (deducibile come effetto di un evento sopravvenuto) e quello della perdita parziale del credito per sopraggiunta insolvenza del debitore. In particolare, nella citata sentenza viene sottolineato che “è necessario distinguere tra la svalutazione del credito, configurabile come perdita su credito (e in quanto tale indeducibile ai fini del predetto tributo), che si verifica quando il credito, già determinato, sia stato successivamente scontato o ridotto, ad esempio perché non pagato, e l’eventuale minor introito che, nelle ipotesi in cui discende dalla determinazione del credito, è il portato di una definizione pattizia nella quale, pur eventualmente risultando il credito così definito inferiore a quanto unilateralmente preventivato dal creditore, è da escludersi qualsivoglia connotato abdicativo … sussiste, dunque, sia sul piano giuridico che sul piano economico, una differenza ontologica (peraltro emergente anche dai termini utilizzati per definire i due fenomeni) tra il minore introito e la perdita su crediti, poiché quest’ultima è configurabile solo quando già sussiste un “credito” in senso economico e giuridico, e non vi è alcun motivo per ritenere che il legislatore, in una materia ad alto tasso di tecnicismo, abbia utilizzato il termine “perdita su credito” in maniera atecnica, impropria ed imprecisa, intendendo con esso indicare genericamente qualunque minor introito o minor ricavo”.

 

Risposta Map del 23 settembre 2010

Domanda: È ragionevole ritenere che ove la riduzione di un credito discenda da una transazione correlata ad una lite sulla fornitura, non si è in presenza di una perdita su crediti, ma di un risarcimento danni, o indennizzo, o simile?

Risposta: Nel quesito sono chiesti chiarimenti in merito al trattamento fiscale da riservare alla riduzione di un credito commerciale che le parti concordano in via transattiva a seguito di una lite relativa alla fornitura. Si ritiene che la fattispecie configuri una rideterminazione del corrispettivo originariamente pattuito. Il minor valore, infatti, non origina da un’inadempienza del debitore ma da una modifica bilaterale del rapporto commerciale. Da un punto di vista sia contabile che fiscale, quindi, il minor valore del credito darà luogo:

– ad una mera rettifica del ricavo per il cedente e del costo per l’acquirente, se la transazione viene definita entro lo stesso esercizio in cui è stata registrata l’operazione;

– ad una sopravvenienza, passiva per il cedente ed attiva per l’acquirente, nell’anno in cui la transazione si perfeziona, se è successivo a quello dell’opera.

 

12 settembre 2013

Claudio Sabbatini e Gioacchino Pantoni