Analisi delle problematiche relative alla deducibilità del compenso erogato all’amministratore della società, quando costui è inquadrato come dipendente e riceve regolare busta paga dalla società.
Deducibilità del costo dell’amministratore unico
La deducibilità o meno del costo del lavoro dell’amministratore unico è da molti anni oggetto di un acceso dibattito tra gli “addetti ai lavori” atteso che, per considerare la prestazione di lavoro di tale soggetto, come effettuata in regime di subordinazione, è necessario che le mansioni svolte da quest’ultimo, in forza del contratto di lavoro, siano diverse da quelle espletate in qualità di amministratore, ma non solo.
E’ necessario, altresì, che, il medesimo soggetto si trovi in posizione subordinata nei confronti della società, nel senso che il potere direttivo, gerarchico e disciplinare, debba essere esercitato da un altro organo della società.
La posizione dell’INPS
Al riguardo, la posizione dell’Ente previdenziale (circolare INPS n.179 dell’8 agosto 1989) è estremamente chiara:
“quando il presidente, l’amministratore unico e il consigliere delegato esprimono da soli la volontà propria dell’ente sociale, come anche i poteri di controllo, di comando e di disciplina, in veste di lavoratori essi verrebbero ad essere subordinati a se stessi, cosa che non è giuridicamente possibile. Per essi, pertanto, in linea di massima, è da escludere ogni riconoscibilità di rapporto di lavoro subordinato”.
La posizione dell’Agenzia Entrate
Dello stesso avviso, l’Amministrazione Finanziaria (R.M. n.158/E del 27 maggio 2002) per la quale
“la deducibilità dei compensi per il lavoro prestato dal socio è ammessa a condizione che, sul piano civilistico, ricorrano i presupposti essenziali per l’instaurarsi di un rapporto di lavoro subordinato tra il socio e la società”.
I chiarimenti della giurisprudenza
Maggiori chiarimenti giungono, invece, dalla giurisprudenza: perché la prestazione di lavoro sia considerata come effettuata in regime di subordinazione è necessario che le attività (mansioni) svolte dal socio in forza del contratto di lavoro siano diverse da quelle (funzioni) che sono attribuite allo stesso in quanto amministratore e che il socio amministratore si trovi in posizione subordinata nei confronti della società, il cui potere direttivo, gerarchico e disciplinare, sia attribuito ed esercitato da altro organo della società.
Rimane fermo, infatti, che l’amministratore non può dipendere da se stesso, ovvero non può assumere, al contempo, la duplice veste di datore di lavoro e di dipendente.
Sul punto, si richiama un recente pronunciamento della giurisprudenza di legittimità (sentenza n. 7312 del 22 marzo 2013) nel quale è stato ribadito che
“la carica di amministratore unico di una società a base personale è incompatibile con la posizione di lavoratore subordinato della stessa, in quanto non possono in un unico soggetto riunirsi la qualità di esecutore subordinato della volontà sociale e quella di organo competente ad esprimere tale volontà; infatti, la costituzione e l’esecuzione del rapporto lavorativo subordinato devono essere collegabili ad una volontà della società distinta da quella dell’amministratore.
Pertanto,
“per la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato fra un membro del consiglio di amministrazione di una società di capitali e la società stessa è necessario che colui che intende far valere tale tipo di rapporto fornisca la prova della sussistenza del vincolo di subordinazione e cioè l’assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società nel suo complesso, nonostante la suddetta qualità di membro del consiglio di amministrazione”.
Diversamente, quindi, allorquando non sia compatibile il rapporto di lavoro dipendente con la carica di socio amministratore, saranno legittimi i recuperi a tassazione degli stipendi, i contributi sociali e gli accantonamenti di quiescenza, mancando il requisito di inerenza di cui all’art. 109 del TUIR.
Ai fini fiscali, inoltre, il costo per lavoro dipendente è deducibile se risulta la persistenza della soggezione ad un potere esterno di controllo da parte degli organi sociali istituzionalmente investiti del relativo potere (Consiglio di amministrazione) denotante la presenza del vincolo di subordinazione.
Come affermato da autorevole dottrina,
“con riferimento alle società va osservato che la qualità di socio amministratore, non unico, di una società per azioni è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della medesima ove – alla stregua di un accertamento riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato – risulti la persistenza della soggezione ad un potere esterno di controllo da parte degli organi sociali istituzionalmente investiti del relativo potere (inconcepibile nel caso di amministratore unico ), denotante la presenza del vincolo della subordinazione “.
Pertanto, si ritiene che, per dimostrare la compatibilità di amministratore/lavoratore subordinato, sia opportuno specificare nella delibera del Consiglio di Amministrazione che l’amministratore è stato assunto per esercitare una attività diversa, e comunque estranea, a quella generalmente esercitata in veste di amministratore.
Sarà altresì necessario, sempre nella medesima delibera, indicare in maniera precisa e puntuale oltre le mansioni attribuite e il relativo trattamento economico, anche il superiore gerarchico cui l’amministratore dipendente è sottoposto nell’espletamento delle sue mansioni specificando, peraltro, che egli deve sottostare alle direttive che gli verranno impartite.
12 giugno 2013
Sandro Cerato