La deduzione delle fatture soggettivamente inesistenti

in sede di deducibilità fiscale dei costi da reato si devono distinguere le fatture “soggettivamente inesistenti” da quelle “oggettivamente inesistenti”

Due recenti interventi della Corte di Cassazione ripropongono la problematica della deducibilità delle fatture soggettivamente inesistenti.

 

La Sentenza n. 11667/2013

Con la Sentenza n. 11667 del 15 maggio 2013 (ud. 16 aprile 2013) la Corte di Cassazione (richiamando la sentenza della Cassazione 19 settembre 2012, n. 15741) ha affermato che “la fatturazione per operazione soggettivamente inesistente postula che la fornitura sia stata acquisita effettivamente dal contribuente (di guisa che è del tutto irrilevante la circostanza di fatto sulla quale è imperniata la motivazione della sentenza impugnata), ma che la merce sia stata fornita da soggetto diverso dal fatturante, di solito fittizio o comunque incapace di svolgere quell’attività. In questo caso, l’Iva che il cessionario assume di aver pagato al cedente per l’operazione soggettivamente inesistente, ossia per la cessione non effettuata da quel preteso cedente, non è detraibile, in quanto pagata ad un soggetto che non era legittimato alla rivalsa nè era assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta”.

Sul punto i giudici supremi rilevano, altresì, che per la Corte di giustizia, “il diritto di detrarre l’Iva fatturata è connesso, come regola generale, all’effettiva realizzazione di un’operazione imponibile e l’esercizio di tale diritto non si estende all’Iva dovuta … esclusivamente per il fatto di essere indicata in fattura (Corte giust. 31 gennaio 2013, C-643/11, punto 34; C-563/03, Antonio Jorge, punti 24 e 25; Corte giust. 15 marzo 2007, C-35/05,Reemtsma Cigarettenfabriken, punto 23)”.

Occorre, dunque, che “i beni o servizi invocati a base del diritto – di detrazione – siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette ad imposta e che a monte detti beni o servizi siano forniti da altro soggetto passivo” (Corte giust. 6 dicembre 2012, C-285/11, Bonik EOOD, punto 29; Corte giust. 6 settembre 2012, C-342/11, Toth, punto 26).

Per la Corte “questi principi si specchiano nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, che configura come presupposto della detrazione dell’iva l’effettuazione di un’operazione, là dove tale presupposto ‘… deve ritenersi carente anche nel caso in cui i termini soggettivi dell’operazione non coincidano con quelli della fatturazione’” (in termini, da ultimo, Cass. 13 marzo 2013, n. 6229).

Inoltre, “il principio di neutralità che governa il sistema dell’iva, difatti, richiede che l’imposta sia versata a chi ha eseguito operazioni imponibili, perchè la compensi con l’imposta a sua volta corrisposta per l’acquisto di beni e servizi, di guisa che l’erario acquisisce, ad ogni passaggio del ciclo produttivo-distributivo, soltanto l’eventuale differenza tra l’imposta sulle operazioni attive e quella sugli acquisti, ossia l’importo maturato a debito del soggetto passivo obbligato, nella periodica sommatoria di Iva a credito ed a debito (Cass. 14 dicembre 2012, n. 23074; Cass. 13 marzo 2013, n. 6229; Cass. 26 febbraio 2010, n. 4750). Il versamento dell’iva ad un soggetto che non sia la genuina controparte, aprendo la strada ad un indebito recupero dell’imposta, mina, con effetti dirompenti, il meccanismo di compensazione tra iva a valle ed iva a monte: la giurisprudenza comunitaria insiste sulla necessità, ai fini della configurabilità del diritto di detrazione, di un nesso diretto tra operazioni a valle ed operazioni a monte (tra le più recenti, Corte giust. 21 febbraio 2013, C-104/12, Wolfram Becker, punto 19; Corte giust. 6 settembre 2012, C-496/11, Portugal Telecom SGPS, punto 36); ed anche la giurisprudenza di questa Corte segnala che, in caso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, pur essendo i beni o il servizio effettivamente entrati nella disponibilità dell’impresa utilizzatrice, la falsa indicazione di uno dei soggetti del rapporto determina l’evasione del tributo relativo alla diversa operazione, effettivamente realizzata da altri soggetti (Cass. 16 maggio 2012, n. 7672)”.

La Corte, inoltre, precisa che non è destinata ad incidere sulla fattispecie la novella introdotta dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, c. 1, convertito con L. 26 aprile 2012, n. 44, che ha sostituito la L. n. 537 del 1993, art. 4, c 4-bis. Infatti, la relazione al disegno di legge di conversione del decreto chiarisce difatti che, per effetto di questa disposizione, l’indeducibilità non trova applicazione per i costi e le spese esposti in fatture o altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, ferme restando le regole generali in materia di detrazione della relativa imposta sul valore aggiunto di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e in tema di deduzione previste dal testo unico delle imposte sui redditi, approvato col D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917; pertanto, ove del caso, l’indeducibilità dei costi rappresentati in documenti emessi da soggetti che in tutto o in parte non hanno effettivamente posto in essere l’operazione, sarà, comunque, rilevabile per effetto delle altre disposizioni normative eventualmente applicabili e connesse ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità dei componenti negativi.

 

La sentenza n.12503/2013

Con la sentenza n. 12503 del 22 maggio 2013 (ud. 20 febbraio 2013) la Corte di Cassazione ha affermato che, in tema di imposte dirette, con riferimento alla indeducibilità dei costi rispetto al quale viene dedotta la violazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, c. 4-bis, trovano, applicazione principi diversi rispetto all’Iva (che in tale giudizio non rileva) in forza dello ius superveniens rappresentato dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, c. 1, che trova applicazione retroattiva, per espressa previsione normativa, ai giudizi in corso.

Lo scopo della norma, deducibile dalla relazione al disegno di legge di conversione del decreto all’esame del Parlamento, è individuabile con la volontà del legislatore di “inibire in modo inequivoco la deducibilità dei componenti negativi di reddito direttamente connessi al compimento delle fattispecie di reato più gravi, evitando che tale indeducibilità possa essere letta come una sanzione impropria, venendo invece la stessa inquadrata come regola generale nell’ambito della determinazione del reddito imponibile“.

Con riferimento alla fattispecie in esame, la ricordata relazione al disegno di legge di conversione, afferma: “Per effetto di questa disposizione, l’indeducibilità non trova applicazione per i costi e le spese esposti in fatture o altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, ferme restando le regole generali in materia di detrazione della relativa imposta sul valore aggiunto di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e in tema di deduzione previste dal testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917; pertanto, ove del caso, l’indeducibilità dei costi rappresentati in documenti emessi da soggetti che in tutto o in parte non hanno effettivamente posto in essere l’operazione, sarà, comunque, rilevabile per effetto delle altre disposizioni normative eventualmente applicabili e connesse ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità dei componenti negativi“.

Ciò significa, per la Corte, “che ai soggetti terzi – alla cui categoria appartiene la società contribuente nel caso di spese – coinvolti nelle frodi carosello non è più contestabile, alla luce della nuova norma, la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati e venduti. Sicchè non è più sufficiente il coinvolgimento (anche consapevole) dell’acquirente in operazioni che siano fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perchè non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relative alle predette operazioni”.

Resta comunque aperto il problema della concreta deducibilità dei costi in relazione ai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (cfr Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10167 del 20/06/2012).

Osserva ancora la Corte che “anche in tema di imposte dirette, così come in tema di Iva, con riferimento al tema delle fatture per operazioni (solo) soggettivamente inesistenti (differentemente che per quello delle fatture emesse in assoluta assenza di corrispondenti prestazioni commerciali) l’ accertamento rigoroso della esigenza della tutela della ‘buona fede’ del contribuente, è stato stemperato (sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Giustizia: cfr. sent. 6.7.2006 nelle cause riunite C-439/04 e C-440/04 e sent. 12.1.2006 nelle cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03), nel senso che in ogni caso, in funzione dei principi della tutela dell’affidamento e della certezza del diritto, l’esercizio del diritto alla detrazione dell’iva versata a soggetto diverso dal cedente/prestatore che ha, tuttavia, emesso la fattura non può essere negato se non sulla base di oggettivi elementi presuntivi che inducano ad escludere la ‘buona fede’ del committente/cessionario, che questi, cioè, non abbia avuto (e non abbia potuto avere, avendo in proposito adottato tutte le ragionevoli precauzioni) la consapevolezza di partecipare, con il proprio acquisto, ad illecito fiscale dell’emittente delle fatture contestate o di altro operatore intervenuto a monte nella catena di prestazioni (v. Cass. 13.3.2013, n. 6229; Cass. 23560/12, 23626/11)”.

 

Nota normativa

Come è noto, con circolare n. 32/E del 3 agosto 2012 l’Amministrazione finanziaria ha diramato le istruzioni sulle nuove disposizioni (introdotte dall’art. 8 cc. 1 2 e 3 del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16,convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 2012, n. 44) in materia di indeducibilità di costi e spese direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo nonché in materia di sanzionabilità dell’utilizzo di componenti reddituali negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati.

Alla luce degli ultimi interventi giurisprudenziali, puntiamo l’attenzione sul comma 1, dell’articolo 8, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16,convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, con il quale il legislatore è intervenuto sul comma 4-bis dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, per evidenziare la deducibilità delle fatture soggettivamente false, ed i comportamenti conseguenziali che devono tenere gli uffici.

 

La norma

La norma oggi non ammette indeduzione i soli costi e spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamenteutilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo, sempre che il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque,qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensidell’art. 424 del c.p.p. ovvero sentenza di non luogo aprocedere ai sensi dell’art. 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenzadella causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale.

Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’art. 530del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo aprocedere ai sensi dell’art. 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza dimotivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero unasentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’art. 529 del codice diprocedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazionealla non ammissibilità in deduzione sopra prevista.

In pratica, come si legge nella circolare n.32/2012, l’inibizione è limitata ai componenti negativi di reddito direttamente connessi al compimento delle fattispecie di reato più gravi (delitti non colposi) che abbiano subito un primo vaglio da parte dell’autorità giudiziaria.

Ne consegue che l’indeducibilità non colpisce più i costi direttamente utilizzati per la commissione di reati contravvenzionali.

In relazione all’elemento soggettivo del reato, la nuova disposizione prevede che ai fini dell’indeducibilità dei relativi costi rilevino i soli delitti non colposi, mentre fa salva la deducibilità degli oneri correlati al compimento dei delitti colposi, e ciò in ragione della non intenzionalità, in tali ipotesi, della condotta e quindi del difetto di finalizzazione dei costi sostenuti al compimento dei delitti.

 

La deducibilità delle fatture soggettivamente inesistenti

Se l’indeducibilità va riferita ai costi di tutti i fattori produttivi che si pongano in un rapporto diretto con il delitto, mentre i costi per l’acquisto di beni o servizi sostenuti nell’esercizio dell’ordinaria attività d’impresa devono considerarsi deducibili se non direttamente utilizzati nell’esercizio dell’attività delittuosa, ne consegue la deducibilità delle fatture soggettivamente emesse da soggetto diverso da quello che ha realmente effettuato la prestazione o la cessione del bene.

Infatti, con riferimento al comma 1 dell’articolo 8 del D.L.n.16/2012, la stessa relazione illustrativa al decreto legge chiarisce che “… per effetto di tale disposizione,l’indeducibilità non trova applicazione per i costi e le spese esposti in fattura o altridocumenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l’operazione a soggettidiversi da quelli effettivi”.

Tale chiarimento è conseguenza diretta della nuova formulazione della norma che circoscrive l’indeducibilità, ai fini della disposizione in esame, ai soli costi e spese direttamente utilizzati per il compimento dei delitti.

Pertanto, precisano le Entrate, “poiché, agli effetti della nuova disposizione, l’indeducibilità del costo opera ove vi sia stato un diretto utilizzo dei beni o servizi per il compimento dell’attività delittuosa, ne consegue che i costi relativi all’acquisizione di beni o servizi che, ancorché documentati da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, non siano stati utilizzati per il compimento di alcun reato, sono deducibili, ove, ovviamente, ricorrano i requisiti generali di deducibilità dei costi previsti dal T.U. n.917/86”.

Infatti, prosegue la nota d’Agenzia, “anche in presenza del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 2 del D.Lgs.n.74/2000, il costo esposto nella fattura c.d. “soggettivamente inesistente” non rappresenta, solo per tale motivo, quello dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per la commissione del reato stesso (ad esempio, utilizzo di fattura ‘soggettivamente inesistente’, per l’acquisto di merce, finalizzato al compimento di una frode in ambito IVA. In tale ipotesi, il costo esposto in fattura, effettivamente relativo all’acquisto della merce, non rappresenta l’onere sostenuto per porre in essere la frode IVA. Il costo della merce è deducibile in presenza dei requisiti previsti dal testo unico delle imposte sui redditi)”.

Diversamente, il costo sostenuto per commettere tale reato è ravvisabile nel “compenso” eventualmente pagato al soggetto emittente il documento falso. In tal caso, se possibile, è necessario individuare l’ammontare di detto “compenso”, indeducibile, che potrebbe risultare confluito nel corrispettivo esposto nella fattura ovvero in altro componente negativo di reddito.

Pertanto, osservano le Entrate, “sebbene i costi rappresentati da fatture soggettivamente inesistenti non siano, per ciò stesso, riconducibili a quelli direttamente utilizzati per il compimento dei delitti, e, quindi non ricadono, di regola, nel campo di applicazione della disposizione in esame, la loro deducibilità è comunque subordinata all’esistenza dei requisiti di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità previsti dal testo unico delle imposte sui redditi”.

 

Ai fini Iva

Ai fini Iva, rimangono, naturalmente, applicabili le regole generali in materia di detrazione di cui al D.P.R. n.633/72. “Pertanto, con riferimento alle fatture passive soggettivamente inesistenti, permane l’indetraibilità dell’imposta sul valore aggiunto ove il contribuente non dimostri la sua buona fede e quindi l’estraneità alla frode”.

Ricordiamo, infatti, che nella fatturazione di un’operazione soggettivamente inesistente (per la quale deve essere versata la relativa imposta, ai sensi dell’art. 21 del D.P.R.n.633/72, non essendo consentita la detrazione di fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto riguardante l’operazione fatturata) non è sufficiente addurre la generica circostanza che l’impresa abbia comunque acquistato i beni fatturati da soggetti differenti da quelli indicati in fatture, quando non è fornito alcun elemento certo e minimamente rassicurante circa la correttezza della quantificazione del costo indicato, della sua inerenza e della sua riferibilità all’anno d’imposta in contestazione.

La contestazione dell’operazione imponibile soggettivamente inesistente deve essere superata con la dimostrazione, attraverso precisi riscontri, da parte del cessionario, della propria qualità rispetto all’altruità della fatturazione, non essendo decisive al tale fine lo strumento del pagamento o l’intervenuta consegna. Si veda la sentenza n. 8132 dell’11 aprile 2011, ud. del 3 giugno 2010, della Corte di Cassazione, la quale fissa i seguenti principi:

1) l’iva pagata per l’operazione soggettivamente inesistente non è detraibile;

2) è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione qualora l’Amministrazione gli contesti l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti;

3) il contribuente committente-cessionario, al quale sia contestata la detrazione dell’iva relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti, ha il diritto di detrarre l’iva se, a prescindere dal pagamento dell’imposta, dimostra che non sapeva e non poteva sapere di partecipare ad una operazione che si iscriveva in una frode all’imposta; con una formula più rigorosa il medesimo principio può esser formulato così: il contribuente committente-cessionario, al quale sia contestata la detrazione dell’IVA, anche se pagata, relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti, ha l’onere di conoscere che il venditore-prestatore è autore di un’operazione in frode all’IVA e, se vuole vedersi riconosciuto il diritto di detrarre l’IVA, ha l’onere di dimostrare che è incolpevole la sua ignoranza di aver partecipato ad una operazione in frode dell’IVA”.

 

L’attività degli uffici periferici delle Entrate

Fermo restando quanto posto in essere nelle more dei chiarimenti forniti con il documento di prassi citato e facendo quindi salvi i comportamenti mediotempore già adottati, gli uffici, nell’applicare le nuove disposizioni ai fatti, atti o attività posti in essere prima del 2 marzo 2012, data di entrata in vigore delle stesse, dovranno aver cura di verificare nel concreto gli effetti derivanti dall’applicazione della nuova normativa.

Il comma 3 dell’articolo 8 prevede, inoltre, che l’applicazione delle disposizioni di maggior favore riguardi i provvedimenti emessi in base all’articolo 4-bis previgente che non si siano resi definitivi.

Attesa la retroattività della nuova disciplina in esame, significativi saranno, in particolare, gli effetti della medesima con riguardo agli atti già emessi, sulla base delle previgenti disposizioni, alla data, appunto, del 2 marzo 2012.

In tal caso, “gli uffici interessati verificheranno nel concreto l’eventuale applicazione della norma di maggior favore addivenendo, nelle ipotesi di applicabilità della nuova disciplina, alla definizione della pretesa tributaria in adesione, ai sensi del decreto legislativo n. 218 del 1997, ovvero in sede di mediazione, ai sensi dell’articolo 17-bis del decreto legislativo n. 546 del 1992, oppure di conciliazione giudiziale, ai sensi dell’articolo 48, comma 1, del medesimo decreto legislativo n. 546 del 1992, e, comunque, per tutti gli atti in contenzioso per i quali non sia intervenuta una sentenza definitiva”.

La circolare, in maniera chiara e puntuale, evidenzia che a seguito della verifica dell’applicabilità retroattiva della nuova disciplina, “ove l’atto contenga una contestazione non più sostenibile agli effetti della nuova e più favorevole disposizione, in quanto, ad esempio, il costo la cui deducibilità è oggetto di contestazione si riferisce ad un reato contravvenzionale ovvero ad un reato non integrante gli estremi del delitto non colposo, l’atto sarà oggetto di annullamento in autotutela, parziale o totale a seconda che le contestazioni siano anche di altra natura, ferma restando la necessità dell’esistenza dei requisiti generali di deducibilità dei costi”.

In particolare, “tenuto conto che l’indeducibilità non trova applicazione per i costi e le spese esposti in fattura o altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, essendo la stessa circoscritta ai soli costi e spese direttamente utilizzati per il compimento dei delitti, occorrerà procedere all’annullamento in autotutela, totale o parziale, della pretesa tributaria riferita a costi documentati da fatture c.d. “soggettivamente inesistenti”; resta ferma, ovviamente, la necessità di operare specifici riscontri al fine di verificare l’esistenza dei requisiti generali di deducibilità dei costi”.

Le Entrate, opportunamente, si preoccupano di offrire dei necessari chiarimenti in merito al caso di eventuali atti, emessi sotto il vigore della previgente disciplina, recanti il recupero a tassazione di costi documentati da fatture afferenti ad operazioni inesistenti, non altrimenti motivati sotto il profilo della natura, soggettiva o oggettiva, dell’inesistenza.

Tali accertamenti, “legittimi in quanto conformi alla previgente normativa che nessun effetto, in punto di deducibilità dei relativi costi, assegnava alla predetta distinzione, dovranno essere rivalutati dall’ufficio in sede di esame in autotutela al fine di verificare se, nel caso concreto, le operazioni accertate siano soggettivamente o oggettivamente inesistenti, per poi conseguentemente stabilire quale regime normativo di maggior favore per il contribuente applicare”.

A tal fine, particolare attenzione andrà posta in sede di riesame degli atti la cui motivazione si fondi, ad esempio, sul richiamo ai contenuti del previgente comma 4-bis o alla generica inesistenza dell’operazione.

In tali casi, l’ufficio, nel determinare, in concreto, gli effetti anche in termini di imposte o maggiori imposte dovute conseguenti all’applicazione dei diversi regimi normativi, dovrà attentamente verificare se, in base agli elementi originariamente a disposizione, ricorrano o meno i presupposti per l’applicazione delle nuove disposizioni.

La predetta rideterminazione dovrà necessariamente riguardare una rivalutazione delle motivazioni degli atti che, alla luce delle vigenti norme, “tenga nella corretta considerazione il complesso degli elementi già a disposizione dell’ufficio, anche se non esplicitati nella motivazione dell’atto originario”.

Ad esempio: “in presenza di fatture soggettivamente inesistenti, l’applicazione della nuova normativa sarà riconosciuta solo in presenza di tutti i requisiti di deducibilità previsti dal testo unico delle imposte sui redditi”.

La rideterminazione degli importi dovuti per effetto dell’applicazione del nuovo regime normativo potrà ovviamente aver luogo anche in sede di accertamento con adesione, di mediazione ovvero di conciliazione giudiziale; in tali sedi l’ufficio avrà pertanto cura di evidenziare al contribuente l’opportunità di beneficiare delle disposizioni più favorevoli fornita dal regime transitorio in esame.

Il pagamento di quanto dovuto a seguito della rideterminazione degli importi per effetto dell’applicazione del nuovo regime normativo sarà effettuato con le stesse modalità e gli stessi codici tributo previsti per imposte, interessi e sanzioni nell’atto originario o, nel caso, indicati in quello di definizione per adesione o mediazione ovvero conciliazione.

 

18 giugno 2013

Francesco Buetto