Misure di prevenzione personali e patrimoniali contro l’evasore fiscale “abituale”

attenzione! secondo una recente sentenza del Tribunale di Chieti, risultano applicabili le previste misure di prevenzione personali e patrimoniali nei confronti di un individuo ritenuto responsabile di reiterate azioni lesive degli interessi fiscali dello Stato (Nicola Monfreda e Fabrizio Stella)

Premessa

Il Tribunale di Chieti, con sentenza del 12 luglio 2012, ha affermato l’importante principio di diritto in ragione del quale un individuo ritenuto responsabile di reiterate azioni lesive degli interessi fiscali dello Stato, rientra nell’ambito soggettivo di applicazione della definizione di persone “socialmente pericolose”, che “per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose, ai sensi e per gli effetti dell’art.1, lett. b del D.Lgs. n. 159/2011 – Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione.

Ne consegue che, in tale caso, risultano applicabili le previste misure di prevenzione personali e patrimoniali, rendendo ancora più efficaci la risposta sanzionatoria pubblica e la valenza deterrente delle stesse norme fiscali.

Infatti, secondo quanto statuito del citato organo giurisdizionale, la sistematica evasione fiscale, in particolare integrante condotte che rientrino nell’area dell’illecito penale, si attaglia perfettamente alla categoria di pericolosità delineata dall’art. 1, lett. a) e b) (e 4, lett. c) del richiamato D.Lgs. n. 159/11, quando il soggetto viva di traffici delittuosi ovvero viva col provento di attività delittuosa, tale considerandosi il profitto prodotto dall’evasione fiscale, ancorché la stessa sia pertinente ad attività economiche astrattamente lecite.

Nella specie, il Tribunale ha applicato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale a persona risultata dedita ad attività fraudolente sul piano tributario sin dal 1993, con notevole impulso a partire dagli anni 2004-2005, ed ha contestualmente disposto il sequestro di numerosi beni intestati a prestanome.

 

Inquadramento normativo

Il D.Lgs. 6-9-2011 n. 159, nel disciplinare l’ambito soggettivo di applicazione delle misure di prevenzione personale, dispone, all’art. 1, che tali provvedimenti possono essere adottati nei confronti dei soggetti di seguito riportati:

  • coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi;

  • coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;

  • coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.

 

Nei confronti dei soggetti dianzi indicati:

  • ai sensi degli artt. 2 e 3 del D.Lgs. n. 159/2011, il Questore competente può emettere i provvedimenti del “foglio di via obbligatorio” e l’”avviso orale”;

  • ai sensi dell’art. 4, c. 1, lett. c, del D.Lgs. n. 159/2011, possono essere adottate le misure di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale. In tale specifico ambito soggettivo, la competenza ad avanzare la proposta, ai sensi dell’art. 5, c. 2, è del Procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona.

 

Il Titolo II del provvedimento normativo di cui trattasi, all’art. 16, c. 1, lett. a, prevede l’applicabilità delle misure di prevenzione patrimoniali anche nei confronti dei soggetti sopra citati. Anche in tale caso, la competenza ad avanzare la proposta è del Procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona, come specificamente disposto dall’art. 17, c. 2.

 

Ai sensi dell’art.20 del D.Lgs. n. 159/2011, può essere disposto il sequestro dei beni dei quali la persona nei cui confronti è iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.

 

Principio di diritto

L’accertamento dell’appartenenza di un soggetto ad una delle summenzionate categorie e, quindi, nel caso in questione, alle persone che vivono abitualmente, anche in parte, di proventi derivanti da attività delittuose, va desunta alla stregua di elementi di fatto identificabili, riscontrabili, oggettivi, così come peraltro espressamente disposto dallo stesso art. 1 del D.Lgs. n. 159/2011 (“sulla base di elementi di fatto”); di conseguenza, tale valutazione deve necessariamente essere scevra da ogni valutazione in termini di mero sospetto, congettura, illazione. La cognizione del giudice deve quindi riguardare esclusivamente le circostanze di fatto, oggettive e controllabili che, sebbene incapaci di provare per se stesse la commissione di un delitto, possono essere tuttavia sufficienti a fondare ragionevolmente una valutazione di pericolosità in virtù dell’appartenenza di un soggetto ad una delle categorie di cui all’art. 1 D.Lgs. n. 159/2011.

Al riguardo si reputa opportuno richiamare il consolidato orientamento della Corte di Cassazione1 secondo cui, con riferimento al rapporto sussistente tra il procedimento penale e quello di prevenzione, “in linea di principio, l’autonomia delle sferedecisorie e procedimentali sta a denotare la reciproca “insensibilità” delle acquisizioni dell’una sede rispetto a quelle dell’altra e, dunque, l’assenza di connotati di pregiudizialità dei relativi moduli di giudizio. E’ infatti consolidato l’orientamento secondo il quale, nel corso del procedimento di prevenzione, il giudice di merito è legittimato a servirsi di elementi di prova o di tipo indiziario tratti da procedimenti penali, anche se non ancora definiti con sentenza irrevocabile, e, in tale ultimo caso, anche a prescindere dalla natura delle statuizioni terminali in ordine all’accertamento della responsabilità….. Ciò che rileva, si è osservato, è che il giudizio di pericolosità sia fondato su elementi certi, dai quali possa legittimamente farsi discendere l’affermazione dell’esistenza della pericolosità, sulla base di un ragionamento immune da vizi, fermo restando che gli indizi sulla cui base formulare il giudizio di pericolosità non devono necessariamente avere i caratteri di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 192 c.p.p..”

 

Pertanto, rientrano nella più volte citata categoria di persone “socialmente pericolose” quegli individui che si sostengono, per condotta abitudinaria ed esistenziale, anche solo in parte, con il ricavato di attività provenienti da delitto (e non da contravvenzione), pur se non vi siano elementi per ritenere che abbiano commesso tali reati (artt. 4, lett. c e 1, lett. b, D.lgs. n. 159/11; art. 1, n. 2, L. n. 1423/56 previgente). Il dato normativo è univoco nel richiedere un’abitualità nella dedizione a traffici delittuosi ovvero del vivere, anche in parte, con i proventi di attività delittuose, senza specificazioni di categorie di delitti, a differenza di quanto prevedeva l’art. 14 l. n. 55/90 (abrogato con la riforma del 2008). L’assenza di limiti a tipologie di delitti consente di affermare che il legislatore intende colpire i soggetti pericolosi, qualunque sia l’attività delittuosa sottostante sulla base della quale viene manifestata la pericolosità, con la contestuale possibilità di aggredire i patrimoni illecitamente accumulati.

L’area delle misure di prevenzione è ben diversa da quella del commesso reato, venendo in rilievo non l’accertamento del fatto reato, ma della pericolosità desunta da fatti, che consentano di ravvisare un’abitualità di condotta descritta dalle categorie di pericolosità. Come non era sufficiente per affermare la pericolosità la presenza di condotte isolate o non reiterate riconducibili a reati contro il patrimonio, allo stesso modo deve procedersi per qualsiasi attività delittuosa.

 

In conclusione, nel caso di condotte di evasione fiscale che, come è noto, nel nostro sistema costituiscono sempre condotta illecita, sia essa tale da configurare un mero illecito amministrativo, siano esse di entità tale da integrare l’estremi di reato ai senso del D.Lgs. n. 74/00, la sistematica evasione fiscale, in particolare integrante fattispecie che rientrino nell’area dell’illecito penale, si attagliano perfettamente alla categoria di pericolosità delineata dall’art. 1, lett. a – b e 4, lett. c D.Lgs. n. 159/11, in quanto il soggetto vive di traffici delittuosi ovvero vive col provento di attività delittuosa qualora tragga redditi da evasione fiscale pur se provenienti da attività economica astrattamente lecite.

 

In altre parole, dall’analisi del presente decisus si evince che sussiste una categoria di pericolosità di persone dedite a traffici delittuosi e/o che vivono col provento di delitti di evasione fiscale e delitti connessi, che ben si può definire “l’evasore fiscale socialmente pericoloso”. Non si tratta, dunque del mero evasore fiscale, anche occasionale, che appartiene all’area dell’illecito amministrativo o, in taluni casi, dell’illecito penale, ma di colui che manifesta una personalità dedita all’evasione fiscale, continua e ripetuta, che rappresenta uno stile di vita, con cui vive, perciò dedito a traffici delittuosi ovvero che vive col provento di questa attività delittuosa e di quella connessa.

 

11 aprile 2013

Nicola Monfreda e Fabrizio Stella

1 Cfr.,Sez. Un., n. 13426/2010, Cagnazzo, Cass. Sez. 1′, 6 novembre 2008, n. 47764; Sez. 2′,28 maggio 2008, n. 25919; Sez. 1′, 13 giugno 2007, n. 27655; Sez. 6′, 30 settembre 2005, n.39953.