Le istanze di rimborso sugli incentivi all'esodo

fino al 2005, il TUIR consentiva ai lavoratori uomini con più di 55 anni e alle lavoratrici donne con più di 50 anni che percepivano un incentivo all’esodo, in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, di vedere tassata tale somma, in sede di applicazione di ritenute da parte del sostituto d’imposta con una aliquota irpef ridotta del 50% rispetto a quella utilizzata per la tassazione del TFR

L’art. 19 TUIR al comma 4-bis, prima della sua abrogazione, consentiva ai lavoratori uomini con più di 55 anni e alle lavoratrici donne con più di 50 anni che percepivano un incentivo all’esodo in occasione della cessazione del rapporto di lavoro di vedere tassata tale somma, in sede di applicazione di ritenute da parte del sostituto d’imposta con una aliquota irpef ridotta del 50% rispetto a quella utilizzata per la tassazione del TFR.

A seguito dell’intervento della sentenza n. C-207/04 del 21 luglio 2005 la Corte di Giustizia ha stabilito che tale norma è contraria alle direttive Cee perché impone condizioni di età diverse fra uomini e donne ai fini dell’ottenimento dell’agevolazione. Conseguentemente il legislatore italiano è intervenuto abrogando integralmente il comma 4-bis del citato art. 19 perché appunto ritenuto incostituzionale.

Successivi interventi di prassi e giurisprudenza comunitaria hanno fatto sì che molti contribuenti abbiano presentato istanza di rimborso al fine di ottenere il trattamento di tassazione agevolata.

Tuttavia l’Agenzia in molti casi ha negato le richieste di rimborso e dunque il contribuente è stato costretto a procedere con la presentazione di ricorso in commissione tributaria provinciale.

Ad oggi la questione dei rimborsi non è ancora risolta e si prospettano tre ipotesi diverse di risoluzione della problematica.

 

LA DISCIPLINA DEGLI INCENTIVI ALL’ESODO

Il cosiddetto “incentivo all’esodo” si concretizza quando il datore di lavoro, che verte in uno stato di crisi, al fine di risolvere anticipatamente il rapporto lavorativo eroga in aggiunta al TFR una somma di denaro ulteriore avente appunto carattere incentivante.

Su questa somma, rappresentando la stessa appunto una indennità, l’art. 17 co. 1 lett. a) TUIR consente l’applicazione di una tassazione separata calcolata secondo le modalità di cui all’art. 19 co. 2, TUIR.

Senonchè l’art. 19, co. 4-bis TUIR, ora abrogato, prevedeva un regime di tassazione agevolato nel caso in cui gli incentivi all’esodo fossero corrisposti a soggetti che avevamo superato precise età anagrafiche:

 

per le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori che abbiano superato l’età di 50 anni se donne e di 55 anni se uomini, di cui all’art. 17, comma 1, lett. a), l’imposta si applica con aliquota pari alla metà di quella applicata per la tassazione del trattamento di fine rapporto e delle altre indennità e somme indicate alla richiamata lettere a) del comma 1, dell’art. 17”.

 

Importante

Secondo tale disposizione l’imposta deve essere determinata con aliquota pari alla metà di quella applicata per la tassazione del trattamento di fine rapporto.

Questo fa comprendere come, soprattutto nel caso di erogazione di indennità corpose, fosse particolarmente agevolativa la tassazione degli incentivi all’esodo se venivano rispettate le condizioni di età richieste dalla norma.

 

Senonché sono proprio i differenti limiti di età fra uomini e donne ad essere “presi di mira” dalla Corte di Giustizia che interviene seccamente sulla questione con una prima ordinanza nel 2005 e poi con una successiva nel 2008.

 

L’ABROGAZIONE DELLA TASSAZIONE AGEVOLATA SUGLI INCENTIVI

La Corte di Giustizia con ordinanza n. C-207/04 del 21/7/2005 dichiara l’incostituzionalità dell’art. art. 19 c. 4 bis TUIR affermando che lo stesso consente una tassazione agevolata dell’incentivo all’esodo alle donne con più di 50 anni ed invece agli uomini solo se di età superiore ai 55 anni.

Tale distinzione viene considerata incostituzionale perché, violando il principio di parità di trattamento fra uomini e donne, introduce una forte discriminazione fra i due sessi (in contrasto con l’art. 141 del Trattato istitutivo della Comunità Europea e dalla Direttiva 76/207/CEE del 9 febbraio 1976).

In data 4 luglio 2006, il legislatore italiano recependo le indicazioni della Corte interviene con D.L. n. 223 il quale all’art. 36 co. 23 abroga il comma 4–bis dell’articolo 19 TUIR.

Pertanto, a seguito della citata abrogazione, le somme corrisposte a titolo di incentivo all’esodo devono essere assoggettate alla medesima aliquota applicata al trattamento di fine rapporto, alla stregua delle altre indennità e somme di cui all’art. 17, co. 1, lett. a), TUIR, percepite una tantum in dipendenza della cessazione dei rapporti di lavoro.

Dal punto di vista normativo dunque non vengono più fatte distinzioni e anzi la norma agevolativa viene completamente soppressa.

 

LA DISCIPLINA TRANSITORIA

Da sottolineare che la L. n. 248/2006 in sede di conversione del D.L. n. 223/2006 modifica il citato art. 36, co. 23, aggiungendo il seguente periodo:

 

la disciplina di cui al predetto comma (comma 4-bis dell’art. 19 del Tuir) continua ad applicarsi con riferimento alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati prima della data di entrata in vigore del presente decreto, nonchè con riferimento alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati in attuazione di atti o accordi, aventi data certa, anteriori alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

 

Nella ratio di tale modifica si può sintetizzare che continuano a fruire dell’agevolazione:

 

  1. le somme corrisposte per rapporti cessati prima del 4 luglio 2006;

  2. le somme corrisposte per rapporti cessati sulla base di accordi, aventi data certa, siglati prima del 4 luglio 2006.

 

Attenzione

La norma transitoria salva dunque ciò che si può dimostrare sia avvenuto prima del 4 luglio 2006.

Senza dubbio gli atti o gli accordi devono avere “data certa” anteriore all’entrata in vigore del decreto pena l’impossibilità di applicare il regime di favore in oggetto.

 

Ai fini della definizione del requisito della certezza della data si richiama in particolare l’art. 2704 C.C. che contiene un elenco, peraltro non tassativo, degli strumenti in base ai quali la data della scrittura privata non autenticata deve considerarsi certa e computabile riguardo ai terzi.

L’art. 2704 C.C. richiama qualsiasi fatto che possa essere idoneo a stabilire l’anteriorità della scrittura.

 

La C.M. n. 10/E del 16/2/2007 individua a titolo esemplificativo gli eventi che possono fornire data certa:

 

– la formazione di un atto pubblico;

– l’apposizione di autentica, il deposito del documento o la vidimazione di un verbale, in conformità alla legge notarile;

– la registrazione o produzione del documento a norma di legge presso un ufficio pubblico;

– il timbro postale che deve ritenersi idoneo a conferire carattere di certezza alla data di una scrittura tutte le volte in cui lo scritto faccia corpo unico con il foglio sul quale il timbro stesso risulti apposto. Cio’ in quanto, come riconosciuto dalla giurisprudenza, la timbratura eseguita in un pubblico ufficio deve considerarsi equivalente ad un’attestazione autentica che il documento e’ stato inviato nel medesimo giorno in cui e’ stata eseguita (Cassazione, Sez. I, Sent. 19 marzo 2004, n. 5561);

– l’utilizzo di procedure di protocollazione o di analoghi sistemi di datazione che offrano adeguate garanzie di modificabilità dei dati successivamente alla annotazione;

– l’invio del documento ad un soggetto esterno, ad esempio un organismo di controllo.

 

INTERVENTI DI PRASSI E GIURISPRUDENZA

L’Agenzia delle entrate interviene con la R.M. n. 112 del 13 ottobre 2006 affermando che la Corte con la citata sentenza dichiara l’illegittimità della previsione di limiti di età differenti per uomini e donne per l’accesso al beneficio.

Tuttavia la risoluzione sottolinea che la Corte non fa alcun riferimento al fatto che il legislatore italiano debba estendere anche agli uomini il limite di età più vantaggioso previsto per le donne infatti afferma:

 

Per quanto concerne gli effetti della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee sui rapporti giuridici sorti nel periodo precedente all’emanazione della stessa, e in particolare gli effetti sul rapporto tributario collegato alla tassazione applicata nei confronti dei soggetti di sesso maschile destinatari di incentivi all’esodo, che avevano un’età compresa tra i cinquanta e i cinquantacinque anni al momento dell’interruzione del rapporto di lavoro, si esprime l’avviso che le eventuali istanze di parziale rimborso dell’imposta pagata non possano trovare accoglimento.

 

L’Agenzia in prima battuta chiarisce dunque che non possono essere soddisfatte le richieste di rimborso da parte dei contribuenti uomini con età compresa fra i 50 e i 55 anni al momento dell’esodo.

Alcuni di questi soggetti infatti, che si erano visti escludere dalla agevolazione poiché al momento della dipartita dall’azienda non avevano i requisiti di età, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia avevano evidentemente già presentato istanze di rimborso.

 

Senonchè la Corte di Giustizia interviene nuovamente, in maniera certamente più decisiva, con ordinanza n. C-128/07 del 16/1/2008 che afferma che:

 

qualora sia stata accertata una discriminazione incompatibile con il diritto comunitario, finché non siano adottate misure volte a ripristinare la parità di trattamento,il giudice nazionale è tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione discriminatoria, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione da parte del legislatore, e deve applicare ai componenti della categoria sfavorita lo stesso regime che viene riservato alle persone dell’altra categoria”.

 

L’intervento della Corte comporta necessariamente un cambiamento di posizione da parte dell’Agenzia che interviene con la C.M. n. 62/E del 29/12/2008 invertendo la rotta data dalla precedente R.M. n. 112/2006 e afferma, in accordo con quanto affermato dalla Corte di Giustizia nell’ordinanza del 16 gennaio 2008, che la disciplina più favorevole deve essere applicata anche agli uomini per i rapporti non ancora esauriti.

 

Preso atto di quanto statuito dalla Corte di Giustizia, nei rapporti non ancora esauriti va applicata anche agli uomini (categoria sfavorita) la disciplina che era prevista per le donne (categoria favorita), non risultando più sostenibile sul punto la diversa tesi di cui alla risoluzione n. 112/E del 13 ottobre 2006.

 

LA SUPREMAZIA DEL DIRITTO COMUNITARIO SULLA NORMATIVA NAZIONALE

Si tiene a sottolineare che la sentenza della Corte di Giustizia Europea n. C-207/04 del 21/7/2005 è provvista di tutti i requisiti prefigurati dalla Corte Costituzionale con sentenza 18 aprile 1991 n. 168 , cioè:

a) di immediata applicabilità poiché non pone condizioni;

b) non è sottoposta a termini ed è chiara nel prescrivere che l’applicazione del principio di parità di trattamento riguarda le condizioni di lavoro, comprese quelle inerenti al licenziamento (condizione di licenziamento è l’agevolazione fiscale volta a favorire l’esodo dei lavoratori).

La Suprema Corte ha statuito che “il diritto comunitario”, idoneo a spiegare “efficacia diretta”, deve essere giuridicamente trattato nell’ordinamento giuridico dei singoli stati membri, come diritto “nazionale prevalente” su quello “interno” – d’ogni ordine e grado, anteriore o successivo – con esso collidente; con la conseguenza che, in tal caso, la norma interna incompatibile con quella comunitaria deve essere, comunque, disapplicata dal giudice nazionale.

IL PROBLEMA DEI TERMINI PER LE ISTANZE DI RIMBORSO

 

Ai sensi dell’art. 38 D.P.R. n. 602/73 il rimborso può essere richiesto entro 48 mesi dalla data del versamento:

 

Il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare all’intendente di finanza nella cui circoscrizione ha sede l’esattoria presso la quale è stato eseguito il versamento istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento.

 

Ma la C.M. n. 62/2008 condivide l’applicazione della disciplina agevolata ai soli rapporti non esauriti. Si ritiene che questi debbano essere intesi come i rapporti per i quali non sono ancora decorsi i termini per la richiesta di rimborso ex art. 38 D.P.R. n. 602/73.

 

E proprio su questo punto nasce il problema: come bisognerebbe comportarsi di fronte a richieste di rimborso per le quali il già più volte citato termine dei 48 mesi è già decorso e per le quali l’Agenzia ha negato il rimborso medesimo?

 

A tal proposito la sentenza della Corte di Giustizia C-208/1990 del 25 luglio 1991 afferma che, per quanto sia noto che i termini decadenziali siano perentori, occorre rilevare che il contribuente è in grado di esercitare il diritto al rimborso solamente nel momento in cui tale diritto è conoscibile.

Nel caso in questione solo a seguito della abrogazione dell’art. 19 comma 4-bis TUIR avvenuta in data 4 luglio 2006 per effetto della approvazione del D.L. n. 223/2006, il ricorrente è potuto venire a conoscenza dell’illegittimità costituzionale della norma de qua e dunque della violazione dei propri diritti.

Ne consegue quindi che un’argomentazione difensiva potrebbe essere quella di sostenere che il termine di 48 mesi debba decorrere non dalla data di versamento delle ritenute dirette sull’incentivo all’esodo ma piuttosto dalla data di abrogazione della norma suddetta così come affermato dalla citata sentenza della Corte.

 

ULTIMI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

A favore dell’Agenzia delle Entrate

Con la sentenza n. 9223 del 21 aprile 2011 la Corte di Cassazione riafferma la validità dell’ex art. 38 D.P.R. n. 602/73: l’istanza di rimborso può essere richiesta non solo in caso di errore materiale, ma anche in quello di inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento, ed opera in maniera indifferenziata in tutte le ipotesi di ripetibilità del versamento indebito, dall’errore materiale al caso di inesistenza dell’obbligazione, e tanto se l’errore si riferisca al versamento, quanto nel caso in cui cada sull’an o sul quantum del tributo.

 

Dello stesso avviso sono due recenti sentenze, la n. 23562 del 20 dicembre 2011 e la n. 12175 del 2012, con le quali la Corte di Cassazione, riferendosi al caso dei rimborsi Irap, riafferma che il termine di decadenza per le somme versate a titolo di acconto Irap decorre dalla data del relativo versamento e non da quella del versamento del saldo, avvalorando così la validità dell’ex. art. 38 D.P.R n. 602/73.

 

Quindi il citato orientamento giurisprudenziale riafferma la “letterale” applicazione dell’ex art. 38 D.P.R. n. 602/73: il termine di decadenza decorre dal giorno del versamento dell’imposta.

 

A favore del contribuente

Bisogna tener presente però che nel caso in esame ci si trova di fronte ad un contrasto tra normativa comunitaria (doppio intervento della Corte di Giustizia Europea nel 2005 e nel 2008 ) e normativa nazionale.

 

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 10816 del 10 aprile 2011 afferma che un non incondizionato e pieno riconoscimento del diritto comunitario, realizzato con leggi di recepimento che limitino oggettivamente o soggettivamente la sua efficacia, sospende l’inizio del decorso del termine prescrizionale sine die, in quanto una siffatta norma di recepimento è idonea a cagionare in modo continuo il danno al cittadino.

Trattandosi di termine iniziale, esso è comune a tutte le azioni: sia quelle soggette a termine prescrizionale che quelle che vanno esercitate entro un termine decadenziale.

 

Sulla medesima linea è la sentenza della Cassazione n. 22282 di settembre 2011 che afferma l’applicazione dell’overruling: il diritto al rimborso è diventato evidente a seguito dell’intervento della Corte di Giustizia europea con l’ordinanza n. c-128/07 del 16 gennaio 2008 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 12 aprile 2008. Quindi è possibile una remissione in termini del contribuente che provi che la decadenza è determinata da fattori estranei alla sua volontà.

Questa tesi è confermata anche dalla recentissima sentenza 79/01/2012 del Ctr Friuli Venezia Giulia.

 

Dello stesso avviso, ma riferendosi ad un termine di richiesta minore, di due anni, secondo l’art. 21 ultimo comma del D. Lgs. 546/92, è la Ctp di Roma che con la sentenza n. 441/44/11 del 4 maggio 2011 afferma che l’applicazione del diritto di rimborso non è preclusa dall’art. 21 del D.Lgs. 546/92 poiché il termine biennale decorre dalla data del pagamento ovvero dalla data in cui si è verificato il presupposto per la restituzione. Nel caso in esame la Ctp di Roma afferma che il presupposto per la restituzione è da identificare con la pubblicazione della sentenza pubblicata il 12 aprile 2008 che dichiara l’incompatibilità del cosiddetto regime transitorio stabilito dal decreto legge del 2006 in recepimento della sentenza del 2005.

 

Un esempio simile, ma per una fattispecie diversa, è dato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 19623 del 11 novembre 2009 secondo cui ai fini del rimborso Iva indebitamente versata sugli aggi corrisposti agli istituti di credito concessionari del servizio di riscossione dei contributi di bonifica, trova applicazione il termine biennale di decadenza previsto dall’art. 21, comma 2, del D.Lgs n.546 del 31 dicembre 1992, il quale decorre però non dalla data del versamento dell’imposta, ma dall’emanazione della C.M. n. 52/E del 1999, con cui l’amministrazione finanziaria, prendendo atto dell’orientamento consolidatosi in giurisprudenza, ha riconosciuto la natura tributaria dei contributi consortili, con la conseguente applicabilità agli aggi dell’esenzione prevista dall’art. 10 n. 5 del d.p.r.n. 633 del 26 ottobre 1972.

 

Sempre in riferimento al termine biennale dell’art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, è la recentissima sentenza della Corte di Cassazione n. 6048 dell’11 marzo 2013 che sostiene che, mediante l’istituto della remissione in termini (art. 153 c.p.c.), il termine di rimborso decorre non dalla data di pubblicazione della sentenza, ma dal momento in cui il contribuente ha effettivamente notizia dell’avvenuta pubblicazione.

 

In sintesi gli interventi giurisprudenziali citati accolgono la possibilità di superare gli ordinari termini decadenziali in quanto la decadenza si è verificata per cause non imputabili al contribuente il quale potrà quindi invocare alternativamente:

  • la remissione in termini ex art. 153 C.P.C. ed il computo del termine decadenziale biennale, ex art. 21 D. Lgs. 546/92, dalla data di pubblicazione della Circolare 62/E del 29 dicembre 2008 o, al più tardi, dal 12 aprile 2008 data della pubblicazione dell’ordinanza della Corte di Giustizia europea in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea;

  • il computo del termine decadenziale quadriennale, ex art. 38 D.P.R. n. 602/73, dalla data di pubblicazione della Circolare 62/E del 29 dicembre 2008 o, al più tardi, dal 12 aprile 2008 data della pubblicazione dell’ordinanza della Corte di Giustizia europea in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea.

 

Ad ogni modo ad oggi la questione dell’inizio del computo del termine decadenziale è ancora controversa e gli scenari possibili sono tre:

  1. una parte della giurisprudenza afferma l’applicazione letterale dell’ex art. 38 D.P.R. n. 602/73, quindi il termine dal quale far decorrere i quattro anni inizia il giorno del versamento dell’imposta;

  2. un’altra parte afferma che il termine decadenziale di quattro anni (ex art. 38 D.P.R. n. 602/73) decorra dalla data di pubblicazione della Circolare 62/E del 29 dicembre 2008 o al più tardi, dal 12 aprile 2008 data della pubblicazione dell’ordinanza della Corte di Giustizia europea in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea;

  3. ed infine un’altra parte della giurisprudenza afferma che il termine decadenziale sia biennale, secondo l’art.21 D. Lgs. 546/92, e decorra dalla data di pubblicazione della Circolare 62/E del 29 dicembre 2008 o al più tardi, dal 12 aprile 2008 data della pubblicazione dell’ordinanza della Corte di Giustizia europea in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea.

 

Solo un nuovo pronunciamento della Corte di Giustizia od almeno una sentenza della Cassazione a Sezioni unite chiarirà definitivamente il principio di diritto al quale i giudici tributari italiani dovranno attenersi.

 

12 aprile 2013

Fabio Balestra