Operazioni inesistenti: l'onere della prova grava sul contribuente

quando il Fisco spiega l’inesistenza dell’operazione, spetta al contribuente provare che le fatture contestate afferiscono ad operazioni realmente effettuate

Con l’ordinanza n. 23533 del 20 dicembre 2012 (ud. 19 settembre 2012) la Corte di Cassazione ha confermato che, in materia di fatture false, l’onere della prova è a carico del contribuente.

 

Il caso di specie

Dal PVC della G.d.F. si desume un giudizio di “inattendibilità complessiva di fatture tra la società e le sue collegate” e tale circostanza appare, di per sè idonea a determinare il ribaltamento dell’onere della prova sul contribuente.

Nel PVC a carico della ditta B. (cartiera) venivano evidenziati numerosi rapporti commerciali intercorsi con la S. srl e l’amministrazione finanziaria riprendeva a tassazione costi fittizi, in quanto conseguenti a operazioni inesistenti.

Poichè la ditta B. aveva rapporti solo ed esclusivamente con cartiere, ossia società create all’unico scopo di emettere fatture per operazioni inesistenti, la Polizia tributaria ha logicamente dedotto che le 10 fatture rinvenute fossero tutte fittizie, in quanto le varie cartiere non avevano saputo indicare o giustificare la provenienza del materiale ferroso acquistato dalla ditta B. e “venduto” da questa alla S. srl.

A fronte delle motivate contestazioni mosse dall’Ufficio era onere della S. srl provare quanto meno l’effettività del costo, mentre la stessa si è limitata ad esibire le fatture.

 

Il principio espresso in sentenza

In materia IVA, la fattura è documento idoneo a provare un costo dell’impresa; nell’ipotesi di fatture che l’amministrazione ritenga relative ad operazioni in tutto o in parte inesistenti, non spetta al contribuente provarne l’effettività, ma all’Amministrazione stessa dedurre argomenti idonei a palesare l’inesistenza o la diversa e minore entità dell’operazione oggetto della fattura. Tuttavia, qualora l’amministrazione fornisca sufficienti elementi per sostenere l’affermazione che alcune fatture riflettono operazioni in tutto o in parte fittizie, l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza e consistenza di tali operazioni si sposta sul contribuente (Cass. 31.03.2008, n. 8247). Tuttavia l’A.F., per disattendere la contabilità del contribuente, deve indicare qualche elemento, anche indiziario, che infici la contabilità e non può limitarsi a una generale ed apodittica non accettazione della documentazione del contribuente, essendo suo onere quello di indicare specificamente gli elementi, anche indiziali, sui quali si fonda la contestazione (Cass. n. 21953/2007; Cass. n. 1727/2007)”.

Osserva la Corte che “ai fini della prova dell’esistenza di un’operazione non è sufficiente produrre la relativa fattura in quanto l’emissione della fattura può prescindere dall’effettiva stipulazione della cessione; perciò il contribuente, a fronte della contestazione dell’Amministrazione circa l’inesistenza di un’operazione, ha l’onere di dimostrare la effettività del contratto e non può limitarsi a dar prova dell’emissione della fattura. (Cass. 27 ottobre 2010 n. 21949). Va, infatti, ribadito che la fattura commerciale non è prova documentale circa l’esistenza dell’operazione), infatti la fattura commerciale, per la sua formazione unilaterale e la sua inerenza a un rapporto già formato tra le parti, ha natura di atto partecipativo e non di prova documentale”.

 

Brevi riflessioni

La posizione della Corte di Cassazione, in materia di operazioni inesistenti, che ha preso avvio dalla sentenza n. 21953 del 21 settembre 2007 (dep. il 19 ottobre 2007), che ha negato l’esistenza di un presunto contrasto interno in ordine al soggetto che deve assolvere la prova; “le sentenze che vengono abitualmente citate a sostegno della teoria secondo cui l’onere della prova graverebbe sull’Amministrazione, in realtà non contengono affatto simile asserzione. Ed invero poiché le operazioni passive denunciate dal contribuente sono fonte di credito a suo vantaggio (nell’ambito dell’Iva) di detrazione dall’imponibile (nell’ambito delle imposte sui redditi), appare logico concludere che spetta al contribuente fornire la prova dell’esistenza di fatti da cui scaturisce un suo diritto”, trova ancora oggi conferma in tale ultimo arresto che si annota.

La tesi, afferma la Corte nella sentenza n. 21953/2007, è ribadita nella sentenza n. 17799 del 21 agosto 2007, “secondo cui l’onere per il contribuente di provare la veridicità delle fatture scatta soltanto quando gli organi di controllo fiscale adducono elementi che fanno almeno sospettare della non veridicità delle fatture; ed è assurda la tesi secondo cui tutte le fatture si presumerebbero false fino a prova contraria offerta dal contribuente”. Prosegue la Corte che “viene abitualmente citata come in contrasto con l’indirizzo finora esposto la sentenza n. 7144 del 23 marzo 2007 secondo cui in tema di Iva, ove l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture perché relative a prestazioni inesistenti, spetta al contribuente l’onere di provare la legittimità e la correttezza dell’operazione mediante l’esibizione dei relativi documenti contabili. Pertanto, quando costui non è in grado di dimostrare la fonte che giustifica la detrazione, questa deve ritenersi indebita, sicché legittimamente l’ufficio provvede a recuperare a tassazione l’imposta irritualmente detratta (a questa sentenza può accostarsi la pronuncia n. 16896 del 31 luglio 2007)”.

Successivamente, fra gli altri pronunciamenti, registriamo l’ordinanza n. 27547 del 19 dicembre 2011 (ud. 13 ottobre 2011) della Corte di Cassazione, che ha confermato la linea dura sulle operazioni inesistenti. In tema di IVA, nel caso di contestazione di indebita detrazione di fatture, perchè relative ad operazioni inesistenti, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni IVA deve essere fornita dal contribuente con l’esibizione dei documenti contabili legittimanti, in mancanza della quale la detrazione va ritenuta indebita e, conseguentemente, l’ufficio può recuperare a tassazione l’imposta irritualmente detratta (Cass. n. 27341/2005; n. 18710/2005; n. 11109/2003, n. 5717/2007, n.6378/2006)”.

Ed ancora con la sentenza n. 18446 del 26 ottobre 2012 (ud. 11 luglio 2012) la Corte di Cassazione ha osservato che, “in ipotesi di fatture che l’amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti – secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte – qualora l’amministrazione stessa fornisca validi elementi, alla stregua del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (nel testo applicabile ratione temporis), per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, si sposterà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (cfr. Cass. 27341/05, 21953/07, 12802/11)”. Ebbene, “nel caso concreto, atteso il regime dell’onere della prova in merito all’inesistenza delle operazioni fatturate, come emergente dalla giurisprudenza richiamata, non sembra potersi considerare elemento, anche solo indiziariamente indicativo dell’inesistenza delle operazioni fatturate da F., la mancata previsione, nel contratto di prestazione di servizi, di una clausola di tacito rinnovo. Del tutto apodittica e non decisiva, nella prospettiva considerata, appare, poi, l’asserzione – riferita alla fatturazione di LCE – che la società fornitrice avrebbe ‘fatturato servizi extracontrattuali’. Ne consegue che, a fronte di tali generiche ed indimostrate allegazioni dell’Ufficio, ha certamente errato la CTR ad affermare che la società contribuente avesse l’onere di fornire elementi probatori per contestare il disconoscimento dei costi ritenuti indeducibili, operato dall’amministrazione”.

 

6 febbraio 2013

Francesco Buetto