L’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiarimenti in ordine alla rettifica dell’imputazione temporale dei componenti negativi di reddito, riconoscendo la deduzione – nel periodo di imposta di effettiva competenza – di costi oggetto di recupero per mancato rispetto del principio di competenza.
Con sentenza n. 1648 del 24 gennaio 2013 (ud. 19 settembre 2012) la Corte di Cassazione torna ad occuparsi del principio di competenza, ai fini reddituali.
Il caso
Nel caso in questione il giudice di appello aveva ritenuto corretta la decisione impugnata sul presupposto che, pur avendo la società contribuente violato il principio di competenza contemplato dall’allora vigente art. 75 del TUIR in tema di imputazione dei costi, “non era comunque ravvisabile alcun danno per l’erario in relazione al particolare tipo di riscossione e pagamento, effettuati secondo prassi contabili della stessa società”.
Secondo il giudice di gravame
“la società C., cioè, fatturava tutti gli importi previsti dai contratti stipulati nel mese precedente, anche se non effettivamente incassati ed imputava l’intera quota dei costi per prestazioni didattiche riferibili agli stessi contratti privilegiando così la correlazione tra costi e ricavi riferibili all’esercizio considerato, anche se l’effetto finanziario non si era ancora compiuto, in tutto od in parte, e le prestazioni didattiche non erano state integralmente prestate.
Una tecnica di imputazione, asseritamente dettata dalla necessità di uniformare e controllare la gestione delle sedi periferiche che, anche a parere dei primi giudici, non aveva sostanzialmente comportato danno all’Erario”.
La sentenza della Cassazione
Giova rammentare osservano i giudici che la Cassazione ha più volte ritenuto che, poichè
“l’imputazione di un determinato costo ad un esercizio anzichè ad un altro ben può, in astratto, comportare l’alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante i meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi – deve ritenersi rigorosamente preclusa in tema di reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, la detrazione di costi in esercizi diversi da quello di competenza, giacchè il contribuente non può essere lasciato arbitro della scelta del periodo in cui registrare le passività (v. Cass. 3809/07, 16198/01, 7912/00)” (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 5, n. 3418 del 12/02/2010 e Cass. n. 6331 del 2008).
Si tratta di un indirizzo risalente, che trae origine dall’affermazione esplicita per cui
“le regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito sono inderogabili, sia per il contribuente che per l’ufficio finanziario e, pertanto, il recupero a tassazione di ricavi nell’esercizio di competenza non può trovare ostacolo nella circostanza che essi siano stati dichiarati in un diverso esercizio: ciò infatti finirebbe per lasciare il contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i propri componenti di reddito con innegabili riflessi sulla determinazione del proprio reddito imponibile”
(cfr. Cass. 15 novembre 2000 n. 14774, che si è specificamente occupata di un’ipotesi di ricavi contabilizzati nell’esercizio successivo, precisando come la circostanza che detti componenti avessero già concorso alla formazione del reddito di altro esercizio non impediva la loro considerazione nel periodo d’imposta in cui si radica la competenza in virtù del TUIR, pure escludendo a carico dell’amministrazione l’onere di rettifica automatica delle dichiarazioni presentate per gli altri anni; idem, Cass. 28 luglio 2006 n. 17195; Cass. 24 settembre 2008 n. 23987; Cass. n. 26665/2009; Cass. n. 3947/2011).
Il Collegio, quindi, dà continuità all’orientamento appena ricordato, nemmeno potendosi accedere, come prospettato dalla controricorrente, al distinguo tra il caso all’esame della Corte e la giurisprudenza appena evocata,
“se solo si consideri che la scelta del contribuente di imputare nei ricavi una parte del reddito maggiore di quello da considerare secondo il principio di competenza non incide in alcun modo sull’inderogabilità del divieto di imputazione di costi non imputabili secondo il ricordato art. 75 del t.u.i.r. – nella versione ratione temporis vigente”
– secondo il principio di competenza ora previsto dal vigente D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, c. 1, alla stregua del quale
“i ricavi le spese e gli altri componenti positivi e negativi per i quali le precedenti norme del presente capo non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza”.
Inoltre, anche il prospettato contrasto della soluzione appena esposta coi principi costituzionali e con quello di cui all’art. 127 T.U.I.R. non sembra cogliere nel segno, se è vero che
“la pratica conseguenza di una vietata (v. D.P.R. n. 917 del 1986, art. 127) doppia imposizione … non risulta evento irrimediabilmente connesso all’applicazione del criterio sopra enunciato (del resto, immediatamente scaturente dalla legge), giacchè, in base ai principi generali, può essere evitata (cfr., in materia di Iva, Cass. 8965/07) mediante l’esercizio da parte del contribuente – con istanza di rimborso e conseguente impugnazione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, del silenzio rifiuto su di esso eventualmente formatosi – dell’azione di restituzione della maggior imposta indebitamente corrisposta per la mancata esposizione nell’annualità di competenza dei costi negati in relazione a diversa imputazione temporale”.
Per il caso specifico,
“la circostanza che la controricorrente intenderebbe valorizzare – imputabilità per l’anno 1996 di ricavi non ancora riscossi nell’anno stesso proprio in vista di creare un collegamento fra detti ricavi e la parte dei costi per prestazioni didattiche riferibili ai medesimi contratti – al dichiarato fine di giustificare una sorta di bilanciamento fra componenti attivi e passivi del reddito che intenderebbe giustificare l’operato della stessa società, così escludendo un danno per l’erario, non sembra avere ragione di esistere.
Ed infatti, nessuna interpretazione della disciplina normativa in tema di imputazione delle voci reddituali (siano esse positive che negative) – come noto vincolante sia per il contribuente che per l’erario – richiede e, quindi, legittima un qualche giudizio sull’esistenza o meno di un danno erariale, per modo che appare decisamente irrilevante l’eventuale (anche effettiva) insussistenza dello stesso nel caso concreto.
Senza dire che il pregiudizio all’erario sembra direttamente riconducibile, nel caso qui in esame, al mancato versamento alla scadenza della maggiore pretesa fiscale per un determinato anno come emergente dalla rettifica dell’Ufficio, dovendosi considerare quest’ultima con esclusivo riferimento a ciascun anno d’imposta”.
Nè a diverse conclusioni può condurre la sentenza della Cassazione 30 dicembre 2009 n. 28016,
“ove si è ritenuto che il caso d’imputazione di un costo in esercizio diverso da quello determinato in forza del principio economico di competenza, pur determinando la formale violazione dell’art. 75, comma 2 TUIR, è privo di effetti se non vi è stata nel caso concreto sottrazione di materia imponibile ed anzi detta imputazione conduce ad un’alterazione in danno del contribuente, del risultato economico dell’esercizio oggetto dell’imposta.
Siffatto precedente, infatti, oltre ad essere rimasto unico nel panorama giurisprudenziale ed anzi contrastato da altra successiva sentenza di questa Corte – v. Cass. 30 dicembre 2009 n. 28070 – non è in ogni caso in grado di giocare un ruolo concreto nel caso di specie, se solo si consideri che la società contribuente aveva in ogni caso l’onere di dimostrare l’assenza di pregiudizio a carico dell’amministrazione finanziaria. Onere che non risulta affatto assolto”.
Proprio la decisione impugnata, nella parte in cui ha affermato l’assenza di danno per l’erario, ha espresso una conclusione apodittica ed indimostrata sulla base degli elementi offerti dalla stessa società contribuente, e ciò è sufficiente per escludere la violazione dei parametri costituzionali e della L. n. 212 del 2000, art. 10, c. 2 – anche a volerne ritenere l’immediata operatività alla vicenda per cui è causa (Cass. n. 11141/2011) – evocati dalla società contribuente.
La rettifica dell’imputazione temporale dei componenti negativi di reddito – Brevi note
Come è noto, con la circolare n. 23/E del 4 maggio 2010 l’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti ed attesi chiarimenti in ordine alla rettifica dell’imputazione temporale dei componenti negativi di reddito, riconoscendo la deduzione – nel periodo di imposta di effettiva competenza – di costi oggetto di recupero per mancato rispetto del principio di competenza, può essere in ogni caso riconosciuta.
“Il diritto al rimborso della maggiore imposta versata con riguardo a un periodo d’imposta antecedente o successivo a quello oggetto di accertamento, decorre dalla data in cui la sentenza che ha affermato la legittimità del recupero del costo non di competenza è passata in giudicato, ovvero dalla data in cui è divenuta definitiva, anche ad altro titolo, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica.
Da tale data, infatti, si deve ritenere affermato irrevocabilmente anche il diritto del contribuente a dedurre nel periodo di imposta di effettiva competenza il componente negativo”.
L’istanza di rimborso della maggiore imposta versata può essere presentata, ai sensi dell’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo n. 546 del 1992, entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza ovvero dalla data in cui è divenuta definitiva, anche ad altro titolo, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica.
In nessun caso, ovviamente, potrà accogliersi l’istanza di rimborso del contribuente, qualunque sia la norma invocata, nel caso in cui la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica non si sia resa definitiva.
Avverso l’eventuale silenzio rifiuto dell’amministrazione è ammesso ricorso, ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992, nel termine di prescrizione ordinaria decennale.
Il diritto al rimborso dell’imposta indebitamente versata non comporta il venir meno o la rideterminazione delle sanzioni originariamente irrogate per effetto del disconoscimento del costo non di competenza, né degli interessi dovuti.
Successivamente, con la circolare n. 29/E del 27 giugno 2011 l’Agenzia delle Entrate – correttamente – ritiene di confermare che rientri tra gli atti “ad altro titolo” –che danno diritto alla presentazione dell’istanza di rimborso – gli atti di accertamento fiscale compresi gli strumenti deflattivi del contenzioso.
Recita testualmente la C.M. n.29/2011:
“ il diritto al rimborso di cui trattasi consegue a tutte le ipotesi in cui il rilievo divenga definitivo, e quindi anche nelle ipotesi di accertamento resosi definitivo per mancata impugnazione nei termini o per acquiescenza, nonché nei casi di accertamento con adesione o conciliazione giudiziale”.
Con la circolare n. 35/E del 20 settembre 2012 emanata dall’Agenzia delle Entrate in ordine ai quesiti posti nel corso del Modulo di aggiornamento professionale (MAP) del 31 maggio 2012, si occupa, al punto 1.4. della rettifica dell’imputazione temporale dei componenti positivi di reddito, facendo così seguito alle indicazioni fornite in ordine ai componenti negativi con la circolare n.23 del 4 maggio 2010.
Infatti, in merito all’errata competenza, la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 23 del 4 maggio 2010 si riferisce ai componenti negativi di reddito, senza fornire chiarimenti sull’errata competenza dei componenti “positivi” di reddito, che presenta invece la stessa tipologia di rilievo di quelli negativi.
Nella risposta al quesito la circolare rileva, anzitutto, che il contribuente non può essere lasciato arbitro della scelta del periodo cui imputare i componenti negativi di reddito, stanti i principi contenuti nell’articolo 109 del TUIR e gli innegabili riflessi che ciò comporterebbe sulla determinazione del reddito imponibile.
Tuttavia, nell’ipotesi in cui nella determinazione della base imponibile delle imposte sui redditi l’ufficio accertatore abbia imputato, per competenza, un componente negativo di reddito ad un periodo d’imposta diverso da quello nel quale era stato dedotto dal contribuente, e ciò abbia comportato un fenomeno di doppia imposizione, allo stesso contribuente deve essere concessa la possibilità di recuperare la deduzione (cfr. circolare 23/E del 4 maggio 2010 e circolare 31/E del 2 agosto 2012).
Precisato ciò, il documento di prassi estende i principi contenuti nella citata circolare 23/E del 2010
“anche alla ipotesi di non corretta imputazione temporale di componenti positivi, ripresi a tassazione dall’ufficio accertatore in un periodo di imposta successivo rispetto a quello in cui gli stessi componenti hanno già concorso alla determinazione del reddito. Ciò in quanto anche in tale ipotesi si realizza un fenomeno di doppia imposizione che deve essere evitato”.
19 febbraio 2013
Francesco Buetto