Fatture false: a chi spetta la prova?

Per contestare l’inesistenza di un’operazione spetta al Fisco provare, seppur solo in modo sommario, che l’operazione commerciale documentata dalla fattura in realtà non è stata mai posta in essere.

sentenza corte di cassazioneLa sentenza n. 1110 del 17.01.2013 (ud. 08.11.2012) della Corte di Cassazione con cui i massimi giudici hanno ritenuto che in materia di FOI (fattura operazioni inesistenti) l’onere della prova

“incombe all’Amministrazione finanziaria la quale adduca la falsità del documento (e quindi l’esistenza di un maggior imponibile) (da ultimo Cass. n.3268/2012, cui adde Cass. n.21317/2009)”,

sembra lasciare prevedere un cambio d’indirizzo.

Per la Corte, sia in tema di accertamento delle imposte sui redditi che di Iva, spetta agli uffici “provare – seppur solo su base presuntiva – che l’operazione commerciale, documentata dalla fattura, in realtà non è stata mai posta in essere”.

 

Reato di operazioni inesistenti e onere della prova 

Con sentenza n. 8211 dell’11 aprile 2011 (ud. del 10 marzo 2011) la Corte di Cassazione ha confermato la linea della Corte di Cassazione in materia di onere della prova nell’ambito delle operazioni inesistenti

(“in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora sia contestata la deducibilità dei costi documentati da fatture relative ad operazioni asseritamene inesistenti, l’onere di fornire la prova che l’operazione rappresentata dalla fattura non è stata mai posta in essere incombe all’Amministrazione finanziaria la quale adduca la falsità del documento (e quindi l’esistenza di un maggior imponibile), e può essere adempiuto, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, non ostandovi il divieto della doppia presunzione, il quale attiene esclusivamente alla correlazione tra una presunzione semplice con altra presunzione semplice, e non può quindi ritenersi violato nel caso in cui da un fatto noto si risalga ad un fatto ignorato, che a sua volta costituisce la base di una presunzione legale” (Corte cass. 5′ sez. 18.01.2008 n. 1023; id. 5′ sez. 28.04.2010 n. 10157)

e

“null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perchè proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo” (Corte cass. 5′ sez. 16.01.2009 n. 951);

principio, peraltro confermato ancora con l’ordinanza n. 23533 del 20 dicembre 2012 (ud. 19 settembre 2012) dove la Corte di Cassazione ha posto in capo al contribuente l’onere della prova

(“In materia IVA, la fattura è documento idoneo a provare un costo dell’impresa; nell’ipotesi di fatture che l’amministrazione ritenga relative ad operazioni in tutto o in parte inesistenti, non spetta al contribuente provarne l’effettività, ma all’Amministrazione stessa dedurre argomenti idonei a palesare l’inesistenza o la diversa e minore entità dell’operazione oggetto della fattura.

Tuttavia, qualora l’amministrazione fornisca sufficienti elementi per sostenere l’affermazione che alcune fatture riflettono operazioni in tutto o in parte fittizie, l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza e consistenza di tali operazioni si sposta sul contribuente (Cass. 31.03.2008, n. 8247).

Tuttavia l’A. F., per disattendere la contabilità del contribuente, deve indicare qualche elemento, anche indiziario, che infici la contabilità e non può limitarsi a una generale ed apodittica non accettazione della documentazione del contribuente, essendo suo onere quello di indicare specificamente gli elementi, anche indiziali, sui quali si fonda la contestazione (Cass. n. 21953/2007; Cass. n. 1727/2007)”.

Osserva la Corte che

“ai fini della prova dell’esistenza di un’operazione non è sufficiente produrre la relativa fattura in quanto l’emissione della fattura può prescindere dall’effettiva stipulazione della cessione; perciò il contribuente, a fronte della contestazione dell’Amministrazione circa l’inesistenza di un’operazione, ha l’onere di dimostrare la effettività del contratto e non può limitarsi a dar prova dell’emissione della fattura. (Cass. 27 ottobre 2010 n. 21949).

Va, infatti, ribadito che la fattura commerciale non è prova documentale circa l’esistenza dell’operazione), infatti la fattura commerciale, per la sua formazione unilaterale e la sua inerenza a un rapporto già formato tra le parti, ha natura di atto partecipativo e non di prova documentale”.

Anche negli anni passati, con la sentenza n. 21707 del 22 ottobre 2010 (ud. del 12 luglio 2010) la Corte di Cassazione ha affermato che è principio consolidato

“che la prova dell’effettiva esistenza dell’operazione non può essere tratta dalla sola esibizione delle fatture, atteso che il meccanismo elusivo consistente nel contabilizzare operazioni inesistenti presuppone, per definizione, l’approntamento di tale documentazione formale (Cass. n. 21953/2007)”,

e che la prova dell’effettività delle operazioni non può essere vinta dal contribuente mediante la mera esibizione delle fatture non prova niente (Cass. sentenza n. 21303/2008 secondo cui

“detta prova non può, peraltro, essere costituita dalla sola esibizione dei mezzi di pagamento, che normalmente vengono utilizzati fittiziamente, e che, pertanto, rappresentano un mero elemento indiziario, la cui presenza (o assenza) deve essere valutata nel contesto di tutte le altre risultanze processuali”)

 

Conclusioni

Sicuramente occorre attendere ulteriori pronunce ma è certo che la stessa Corte di Giustizia dell’Unione europea incomincia a dare segnali diversi, più rigidi nei confronti del Fisco, in particolare in materia di operazioni soggettivamente inesistenti dove, ai fini del coinvolgimento dell’utilizzatore, pretende il dolo. Si passa quindi dal “non poteva non sapere” all’imputazione specifica da parte dell’Amministrazione finanziaria che deve dimostrare che l’utilizzatore “sapeva”.

 

18 febbraio 2013

Roberta De Marchi