Nuovo redditometro tra presunzione semplice e legale relativa, continua il dibattito…

l’introduzione del nuovo redditometro ha portato la dottrina a sostenere che si tratti di una presunzione semplice, mentre l’Agenzia delle Entrate e la giurisprudenza di legittimità prevalente non concordano con tale tesi

Premessa

In attesa della circolare esplicativa dell’Agenzia delle Entrate, che dovrà far luce sui molti punti d’ombra esaminati anche sulle pagine di questo quotidiano, mi pare opportuno svolgere qualche ulteriore riflessione in merito a quello che è, invero, l’elemento chiave di ogni disquisizione sin qui affrontata sul nuovo redditometro: la sua capacità probatoria.

 

La tesi della dottrina: presunzione semplice

È inoppugnabile che la maggior parte dei commentatori abbiano rilevato che il nuovo redditometro si fonderebbe su una presunzione semplice.

Ciò in quanto la nuova formulazione dell’articolo 38 del DPR 600/1973, post articolo 22 del DL 78/2010, a differenza del testo previgente, non contiene più alcun riferimento agli “elementi certi e precisi”, che in passato costituivano il fatto noto da cui far discendere la presunzione legale relativa che assisteva il vecchio strumento redditometrico. Inoltre, nel sistema previgente, vi era un riferimento espresso alla presunzione, laddove la norma stabiliva che gli incrementi patrimoniali si “presumevano” sostenuti nel quinquennio, mentre ora non vi è più traccia del riferimento al concetto di presunzione.

Da qui deriverebbe la portata di presunzione semplice del nuovo strumento redditometrico.

 

La volontà legislativa

La dottrina, tuttavia, deve fare i conti con la giurisprudenza, la prassi e soprattutto la volontà legislativa.

Prendendo le mosse da quest’ultima, al di là delle differenze testuali sopra evidenziate tra le due versioni dell’articolo 38 prima e dopo l’intervento del DL 78/2010, occorre compiere temporalmente un passo indietro per investigare meglio il contesto normativo. Se è vero che la nuova formulazione testuale dell’articolo 38, purtroppo, non fornisce alcuna chiara e lampante indicazione circa la portata probatoria della presunzione che assiste il nuovo redditometro, è pur vero che qualche ulteriore considerazione in proposito la si può desumere dalla relazione al Senato sul Disegno di legge N. 2228 relativo al DL 78/2010.

In tale relazione, relativamente all’articolo 22, viene affermato che le modifiche proposte prevedono, innanzitutto, che “la determinazione sintetica del reddito avviene mediante la presunzione che tutto quanto si è speso nel periodo d’imposta sia stato finanziato con redditi posseduti nel periodo medesimo, ferma restando ogni possibilità di provare che ciò non sia effettivamente avvenuto nel caso specifico…”.

In sostanza, nell’ipotesi di accertamento sintetico puro, mi pare evidente e pacifico che la presunzione non possa che essere di tipo legale e relativo, basandosi su dati certi, ovvero le spese sostenute. Ed in tal senso, anche la dottrina concorda sulla portata presuntiva anzidetta.

La predetta relazione al DDL, però, prosegue affermando che “alla detta presunzione si affianca, con pari efficacia, quella basata sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva individuato mediante l’analisi di campioni significativi di contribuenti …”.

Quella locuzione «con pari efficacia» sta evidentemente a significare che, per il legislatore, tanto l’accertamento sintetico puro, quanto quello che si fonda sul contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva, ovvero il redditometro, si fondano sulla stessa presunzione legale relativa, così, appunto, da aver la stessa efficacia. Su questo aspetto la relazione pare molto chiara e difficilmente sconfessabile.

 

La giurisprudenza

La Cassazione, del resto, a parte un paio di recenti pronunce (Cass. 23554/2012 e 13289/2011), che anche se rilevantissime rimangono comunque numericamente marginali rispetto alla mega-produzione decennale di segno contrario, ha sempre affermato che il redditometro integra una presunzione legale relativa, per cui, una volta riscontrata dall’Amministrazione Finanziaria la presenza degli elementi indicativi di capacità contributiva, null’altro quest’ultima è tenuta a dimostrare, “atteso che è la legge stessa a ricollegare al fatto certo di tale disponibilità l’esistenza di una capacità contributiva” (ex multis, Cass. 9549/2011, 3316/2009, 16284/2007, 20588/2005).

Con il nuovo redditometro, al di là delle spese Istat per cui non vi sia riscontro del «fatto base» che ne consente l’imputazione (alimenti, vestiario, elettrodomestici), laddove, invece, ne sia provata la sussistenza (immobili, auto, eccetera), mi pare che si verta nella stessa identica fattispecie accertativa del vecchio redditometro: parafrasando la Cassazione, è la legge stessa a ricollegare al fatto certo di tali disponibilità l’esistenza di una capacità contributiva, data, ora, dai valori presuntivi Istat, anziché come in passato, dai coefficienti moltiplicatori dei vecchi decreti ministeriali del 1992 e successivi.

 

La tesi del Fisco: presunzione legale relativa

Per quanto riguarda la prassi, infine, sebbene ovviamente l’Agenzia delle Entrate non si sia ancora dichiarata espressamente sul punto, dalle pagine della sua rivista telematica, nel 2011, veniva ribadito che “Al contribuente continua a essere riconosciuta, nell’ottica dell’inversione dell’onere della prova che caratterizza il principio della presunzione legale relativa, la possibilità di dimostrare che il reddito determinato sinteticamente sia comunque compatibile con il reddito dichiarato”.

Per il Fisco, quindi, anche il nuovo strumento continua ad essere assistito da una presunzione legale relativa.

In tal senso, peraltro, depongono le dichiarazioni del vicedirettore dell’Agenzia delle Entrate, Marco Di Capua, al recente convegno di studio sul nuovo redditometro, tenutosi presso la Scuola dell’Economia e delle Finanze “Ezio Vanoni”: in tale sede, infatti, il vicedirettore ha affermato che «anche in presenza di una presunzione relativa – come peraltro prevede la norma – la prova andrà fornita dal contribuente su dati effettivi, su spese che l’amministrazione finanziaria in molti casi già conosce e su redditi che sono stati dichiarati dallo stesso contribuente».

 

28 gennaio 2013

Alessandro Borgoglio