Recesso del socio di società di persone e responsabilità debitoria

Fino a quale momento risulta illimitatamente responsabile per i debiti sociali il socio illimitatamente responsabile che recede da una società di persone?

Con ordinanza del 3 agosto 2012, n. 14002, la Corte di Cassazione ha riaffermato, con riferimento ad un società in accomandita semplice, il seguente principio di diritto

“la perdita della qualità di socio nella società di persone (in conseguenza di recesso, esclusione, cessione della partecipazione) integrando modificazione dell’atto costitutivo della società (cfr. per la società in nome collettivo: art. 2295 c.c.), è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese a pena di inopponibilità ai terzi, a meno che si provi che questi ne fossero a conoscenza (art. 2300 c.c.)”.

 

Il ricorso

L’Agenzia delle entrate ricorreva per cassazione avverso la sentenza della CTR della Campania, che aveva accolto l’impugnazione del Curatore del fallimento di una società di persone avverso una cartella di pagamento per IVA, interessi ed accessori, per gli anni 1989-1992, relativa all’attività svolta dalla società ed emessa nei confronti di un socio accomandatario e coobbligato di tale Società (poi dichiarata fallita). La decisione impugnata confermava la sentenza del giudice di prime cure asserendo che

“a norma dell’art. 2382 c.c., il contribuente, a seguito del suo personale fallimento, era automaticamente decaduto dall’incarico ricoperto in ambito societario, circostanza che precludeva la nascita di alcun obbligo a suo carico”.

In particolare, l’Amministrazione finanziaria denunciava violazione e falsa applicazione dell’art. 2313 c.c., anche in relazione agli artt. 2288, 2290 e 2300 in riferimento all’art. 360, 1° c., n. 3 c.p.c.,e sottoponeva alla Corte il seguente quesito

“dica la Suprema Corte se l’art. 2313 c.c. che prevede la responsabilità illimitata e solidale del socio accomandatario per le obbligazioni sociali, possa applicarsi anche nell’ipotesi in cui si sia verificata una causa di esclusione di diritto ex art. 2288 c.c., allorché lo scioglimento del rapporto associativo non sia in concreto verificato (per avere il socio continuato ad operare nella qualità di amministratore) e lo stesso non sia stato, comunque, portato a conoscenza dei terzi mediante l’iscrizione nel registro delle imprese o con altro mezzo”.

 

La sentenza

sentenza corte di cassazioneLa Corte Suprema ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione, presentata dall’Agenzia delle entrate ed ha, pertanto, accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata.

La Corte spiega che, in virtù del disposto dell’art. 2315 c.c. “Norme applicabili”, secondo cui alla società in accomandita semplice si applicano le disposizioni relative alla società in nome collettivo se compatibili, la perdità della qualità di socio implica la modifica dell’atto costitutivo1 della società.

Gli amministratori, quindi, devono richiedere all’ufficio del registro delle imprese – nel termine di trenta giorni – l’iscrizione delle modificazioni dell’atto costitutivo e degli altri fatti relativi a quest’ultime che, finchè non sono iscritte, non sono opponibili ai terzi a meno che si provi che questi ne erano a conoscenza.

La Corte aggiunge che la responsabilità solidale e illimitata di tutti i soci per le obbligazioni sociali – nelle quali vanno ricomprese tutte le tipologie di obbligazioni non solo negoziali ma anche quelle che trovano la loro fonte nella legge, quale, nella specie, l’obbligazione di versamento dell’IVA prevista dell’art., 2291 c.c. ( per le società in nome collettivo) e l’art. 2213 c.c. (per le società in accomandita semplice) “opera, in assenza di espressa previsione derogativa, anche per i rapporti tributari, cosicché il socio, dopo l’iscrizione a ruolo a carico della società per un’imposta su di essa gravante, resta sottoposto all’esazione del debito (ancorché estraneo agli atti impositivi rivolti alla formazione del ruolo, cfr. Cass. n. 10093/03, 12022/06; 11228/2007)”

Pertanto, i giudici di legittimità ritengono condivisibile l’assunto esposto dall’Agenzia delle entrate nell’unico motivo dedotto nel proprio gravame.

 

Il recesso del socio – Brevi considerazioni

recesso del socio La Corte di Cassazione ritorna sulla problematica inerente agli effetti ai fini tributari del recesso del socio da una società di persone e, con l’ ordinanza in commento, ribadisce il proprio orientamento in materia (emergente da numerose sentenze Cassazione 1° febbraio 2006, n. 2215; Cassazione 25 febbraio 2002, n. 2812; 2 agosto 2002, n. 11569; 5 ottobre 1999, n. 11045) secondo cui il recesso del socio non è opponibile a terzi se la cessazione della qualità di socio non sia stata iscritta nel registro delle imprese a meno che si provi che i creditori sociali fossero informati del recesso o non lo fossero per loro colpa.

La decisione trova fondamento in due aspetti caratterizzanti le società di persone secondo la normativa vigente nel nostro ordinamento: la responsabilità illimitata del socio e la pubblicità dichiarativa.

La disciplina delle società in accomandita semplice è regolata dalla disposizioni contenute negli articoli da 2313 a 2324 c.c..

Come evidenziato in motivazione dalla Corte, a tale tipologia di società risultano altresì applicabili, in mancanza di disposizioni specifiche, le norme dettate per la società in nome collettivo per effetto del rinvio operato dall’articolo 2315 c.c..

L’art. 2313 c.c. prevede per le s.a.s. la responsabilità solidale ed illimitata dei soci accomandatari (e dei soci accomandanti nei limiti della quota conferita) pertanto gli eventuali creditori, come nel caso di società innome collettivo, sebbene obbligati ad escutere preventivamente il patrimonio sociale e solo se tale operazione risulti infruttuosa agire nei confronti dei singoli soci (articolo 2304 c.c.), essendo la s.a.s., comunque, una società organizzata su base personale possono pretendere il pagamento dei propri crediti dai i soci che rispondono dei debiti sociali.

Anche il socio uscente rimane, comunque, responsabile delle obbligazioni assunte fino al momento del recesso. Anche per tale ragione la legge prevede che perché quest’ultimo sia efficace nei confronti dei terzi debba essere oggetto di idonea pubblicità legale.

Solo così, infatti, diviene opponibile ai creditori sociali – che avendolo ignorato agiscono nei confronti del socio receduto – nel rispetto del generale principio dell’affidamento2.

Il recesso del socio dalla società determina, infatti, una sostanziale modifica della compagine sociale e dell’atto costitutivo, rientra pertanto tra le modificazioni per le quali è prevista l’iscrizione nel registro delle imprese da parte degli amministratori della società.

Nel caso in esame, la pubblicità legale, rivestendo valenza dichiarativa – poichè attraverso il registro delle imprese permette a chiunque abbia interesse di apprendere le più importanti notizie relative alle imprese iscritte – rende effettivo il recesso nei confronti dei terzi (inclusa l’Amministrazione finanziaria) che non ne fossero informati.

Già precedentemente, con sentenza n. 2215 del 1° febbraio 2006, la Corte di Cassazione aveva sostenuto che

“In forza della previsione di cui agli artt. 2267, 2290, 2300 c.c., infatti, il socio di s.n.c. che ceda la sua quota risponde, nei confronti dei terzi, delle obbligazioni sociali sorte fino al momento in cui la cessione sia stata registrata o fino al momento (anteriore) in cui il terzo sia venuto a conoscenza della cessione (Cass. 11045/99).

L’indicata pubblicità costituisce, dunque, fatto impeditivo di una responsabilità altrimenti normale, sicché essa deve essere allegata e provata (v., anche, la lettera dell’art. 2300 c.c., ultimo comma) dal socio che opponga la cessione al fine di escludere la propria responsabilità per le obbligazioni sociali, con la conseguenza che rientra nei poteri ufficiosi del Giudice valutare se siano state allegate e provate le condizioni di opponibilità ai terzi della cessione e, con esse, dell’irresponsabilità del socio”.

L’ordinanza in rassegna conferma un ulteriore aspetto della questione già affrontato nella citata sentenza del 2006: fra i terzi, ai quali non è opponibile il recesso del socio non iscritto nel registro delle imprese, sono da ricomprendersi tutti i creditori sociali e quindi anche l’Amministrazione finanziaria3 (a meno che fosse a conoscenza della citata modificazione) per le obbligazioni tributarie4 della società – che potrà pertanto agire nei confronti del socio receduto nei limiti della rispettiva responsabilità anche se sussidiaria – secondo le regole generali5 e, dunque:

“Il primo profilo del terzo motivo di ricorso è infondato, posto che il regime di cui agli artt. 2290 e 2300 c.c. appare di generale applicazione e non è dato riscontrare (nè la contribuente indica) alcuna disposizione di legge che ne circoscriva la portata al campo delle obbligazioni di origine negoziale, con esclusione di quelle che trovano la loro fonte nella legge.

D’altro canto, che le richiamate disposizioni operino anche in relazione alle obbligazioni verso l’Erario risulta specificamente riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte, laddove ha affermato che, qualora l’amministratore di società in nome collettivo non provveda tempestivamente alla richiesta di iscrizione nel registro delle imprese della modificazione dell’atto costitutivo rappresentata dal recesso del socio dalla società, il socio non può opporre, ai fini dell’applicazione dell’Irpef sul suo reddito di partecipazione, il recesso non iscritto e non comunicato, poiché egli ha il potere di sostituirsi all’amministratore inerte e, in ogni caso, è gravato, medio tempore, dell’onere di comunicare all’amministrazionel’intervenuto recesso (v. Cass. 2812/02, 11569/2002)”.

 

29 novembre 2012

Cinzia Bondì

 

NOTE

1Articolo 2316 c.c. – Atto costitutivo. L’atto costitutivo deve indicare i soci accomandatari e i soci accomandanti.

2Cfr. Cassazione, sent.n. 11045/1999.

3 Cfr. Cassazione, sent. n. 1592 del 5 febbraio 2001.

4 Cfr. Cassazione, n. 2812/ 2002.

5 L ‘Amministrazione Finanziaria deve fornire prova dell’infruttuoso esperimento del beneficium escussionis (cfr. cass. sent. n. 7000/2003).