L'impresa che chiude troppe esercizi in perdita è sospetta

Una sentenza di Cassazione che illustra perchè la società che chiude in perdita sistemica è sospetta agli occhi del Fisco (sentenza massimata da Ignazio Buscema)

società in perditaLa circostanza che un’impresa commerciale dichiari per più anni di seguito rilevanti perdite, nonchè un’ampia divaricazione tra costi e ricavi, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sè sufficiente a giustificare da parte dell’erario una rettifica della dichiarazione, ai sensi del D.P.R. n. 600, art. 39, a meno che il contribuente non dimostri concretamente l’effettiva sussistenza delle perdite dichiarate; questo ha stabilito la Cassazione nella recentissima sent. n. 21810 del 05/12/2012.

In tali casi è consentito all’Ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente.

Infatti, ricorre l’ipotesi di “contabilità inattendibile per comportamenti economicamente ingiustificati” ogniqualvolta si rilevino esiti antieconomici , non ragionevoli e contrari ai canoni imprenditoriali.

In particolare, costituiscono anomalie gravi quelle nel rapporto tra ricavi e oneri del personale, ovvero tra ricavi e immobilizzazioni; inoltre l’art. 39, lett. d, cit. non impedisce che scritture regolarmente tenute siano contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di dati di settore, collegabili (D.L. n. 331, art. 62 sexies) a gravi incongruenze tra ricavi dichiarati, dimensioni e giro d’affari dell’azienda, di modo che, in base a un processo logico induttivo, si possa dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata.

Dunque, una volta riscontrati indici di ricchezza idonei a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, il provvedimento di rettifica è di per sè legittimo, non essendo necessario che sia stato preceduto dal riscontro analitico della congruenza e della verosimiglianza di singoli elementi reddituali.

Il giudice di merito ha dato conto dell’esistenza d’indubbi indici (rilevante volume d’affari; consistenza degli acquisti; perdite di bilancio non giustificate; incongruenza tra perdite, oneri per il personale impiegato ed energie produttive dell’amministratore unico; indice di rotazione molto basso e incompatibile con il settore “profumeria” legato alla mutevoli tendenze della moda; percentuale di ricarico non coerente ai dati merceologici di settore) rivelatori di maggiore capacità contributiva rispetto a quella risultante dalla documentazione contabile e fiscale. Sicchè spettava al contribuente l’onere di offrire prova contraria.

 

12 dicembre 2012

Ignazio Buscema

 

Cass. civ. Sez. V, Sent., 05-12-2012, n. 21810

Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

01. Con sentenza del 27 giugno 2007, la CTR – Lombardia ha rigettato l’appello proposto dalla Soc. Silvermoon Profumerie, confermando l’avviso di accertamento per maggiori ricavi induttivamente rilevati nell’anno d’imposta 2001 ai fini di IVA, IRAP e IRPEG. 02. Ha motivato la decisione ritenendo: a) che la situazione reddituale costantemente dichiarata in perdita per cinque esercizi continuativi era incompatibile con l’ottimo andamento aziendale, rilevato in sede di accertamento e confermato dalla consistenza degli acquisti di beni destinati alla rivendita e dagli oneri sostenuti per il personale dipendente; b) che, a fronte del rilevante volume d’affari rilevato, erano ingiustificate le percentuali di ricarico inferiori a quelle di settore, tali da determinare presunte perdite di bilancio; c) che l’accertamento D.P.R. n. 600, ex art. 39, lett. d), era legittimo in presenza di comportamenti contrari ai canoni dell’economia e in assenza di spiegazioni verosimili di scelte non in linea con i criteri di gestione economica della propria attività.

03. Propone ricorso per cassazione, affidato a unico mezzo, la contribuente; il Ministero dell’economia e delle finanze non spiega attività difensiva, mentre l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

 

Motivi della decisione

04. Preliminarmente, si rileva la carenza di legittimazione processuale dell’altro soggetto evocato dinanzi a questa Corte, il Ministero dell’economia e delle finanze, che non è stato parte nel giudizio di secondo grado ed è oramai estraneo al contenzioso tributario dopo la creazione delle agenzie fiscali. La chiamata ministeriale in cassazione è, dunque, i-nammissibile e il ricorso della contribuente va esaminato unicamente riguardo all’Agenzia delle entrate, che è la sola a essere legittimamente intimata.

05. Con l’unico mezzo, denunciando violazione della D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, la contribuente interroga questa Corte chiedendo “…se è legittimo ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e D.L. n. 331 del 1993, art. 62 bis, il ricorso da parte dell’Agenzia delle entrate all’accertamento di carattere induttivo quando le scritture contabili dell’impresa soggetta a controllo sono corrette e non contestate e quando gli elementi di presunzione sono, tra di loro, contraddittori”.

06. In sintesi, nel contestare il ragionamento dell’Ufficio siccome recepito dalla CTR, lamenta che, senza ispezione e accesso, la percentuale media di ricarico del 34,49% fosse stata arbitrariamente innalzata al 55%, pur in assenza di contestazioni dei dati contabili e in presenza d’indicatori quanto meno equivoci. Sostiene, pertanto, che l’Ufficio avrebbe dovuto procedere ad accertamento analitico, verifi-cando le fatture d’acquisto e il libro inventario per riscontrare se i prodotti acquistati e commercializzati fossero o meno (per “brand”, tipologia e vetustà) di primissima fascia e valutare l’andamento al ribasso del ricarico nei due anni d’imposta successivi.

07. Il ricorso va disatteso. La circostanza che, come nella specie, una impresa commerciale dichiari per più anni di seguito rilevanti perdite, nonchè un’ampia divaricazione tra costi e ricavi, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sè sufficiente a giustificare da parte dell’erario una rettifica della dichiarazione, ai sensi del D.P.R. n. 600, art. 39, a meno che il contribuente non dimostri concretamente l’effettiva sussistenza delle perdite dichiarate (C. 21536/07).

08. In tali casi è consentito all’Ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (C. 6337/02, 1711/07, 26130/07). Infatti, ricorre l’ipotesi di “contabilità inattendibile per comportamenti economicamente ingiustificati” ogniqualvolta si rilevino esiti antieconomici (C. 26635/08), non ragionevoli (C. 23635/08) e contrari ai canoni imprenditoriali (C. 18875/07).

09. In particolare, costituiscono anomalie gravi (C. 11645/01) quelle nel rapporto tra ricavi e oneri del personale, ovvero tra ricavi e immobilizzazioni; inoltre l’art. 39, lett. d), cit. non impedisce che scritture regolarmente tenute siano contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di dati di settore, collegabili (D.L. n. 331, art. 62 sexies) a gravi incongruenze tra ricavi dichiarati, dimensioni e giro d’affari dell’azienda, di modo che, in base a un processo logico induttivo, si possa dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata (C. 26919/06).

10. Dunque, una volta riscontrati indici di ricchezza idonei a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, il provvedimento di rettifica è di per sè legittimo, non essendo necessario che sia stato preceduto dal riscontro analitico della congruenza e della verosimiglianza di singoli elementi reddituali (C. 24532/07).

11. Tanto premesso in tesi generale, il percorso logico-giuridico tenuto dal giudice d’appello nella fattispecie appare sostanzialmente sovrapponibile ai principi di diritto sopra enunciati e consolidamente affermati nella giurisprudenza di legittimità;

pertanto, la sentenza d’appello non è incorsa nella violazione di legge denunciata in ricorso.

12. Invero, con insindacabile accertamento di fatto, il giudice di merito ha dato conto dell’esistenza d’indubbi indici (rilevante volume d’affari; consistenza degli acquisti; perdite di bilancio non giustificate; incongruenza tra perdite, oneri per il personale impiegato ed energie produttive dell’amministratore unico; indice di rotazione molto basso e incompatibile con il settore “profumeria” legato alla mutevoli tendenze della moda; percentuale di ricarico non coerente ai dati merceologici di settore) rivelatori di maggiore capacità contributiva rispetto a quella risultante dalla documentazione contabile e fiscale. Sicchè spettava al contribuente l’onere di offrire prova contraria. Nè è possibile in sede di legittimità procedere a una generale rivisitazione probatoria della vertenza, che è compito precipuo del giudice di merito, il cui giudizio è contestabile in cassazione solo per vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), nella specie neppure denunciato.

13. Il rigetto del ricorso nei confronti dell’Agenzia delle entrate comporta la condanna della contribuente alle spese del presente giudizio di legittimità (v. SU 17405/12); nessuna statuizione sul punto va emessa riguardo alla parte ministeriale non costituita.

 

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze e lo rigetta nei confronti dell’Agenzia delle entrate; condanna la parte ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, a favore dall’Agenzia costituita, in Euro 4.300 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.