Operazioni inesistenti ed onere della prova

Se il Fisco motiva l’accertamento per operazioni inesistenti, allora spetta al contribuente provare l’esistenza delle operazioni contestate.

Con la sentenza n. 18446 del 26 ottobre 2012 (ud. 11 luglio 2012) la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi di operazioni inesistenti.

 

Il fatto

sentenza nel processo tributarioCon sentenza n. 82/28/10, depositata il 21.05.10, la CTR del Lazio accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio Roma 3 -, avverso la sentenza di primo grado con cui era stato accolto il ricorso proposto dalla D.M.G. spa nei confronti dell’avviso di accertamento, emesso dall’amministrazione finanziaria ai fini IVA, IRPEG ed IRAP, per l’anno 2003.

La CTR riteneva, invero, che incombesse sulla contribuente l’onere di contestare il disconoscimento, da parte dell’Ufficio, di alcuni costi ritenuti indeducibili e l’esistenza di costi maggiori di quelli considerati, dovuto al fatto che diverse fatture – esaminate in sede di verifica fiscale – non riportavano gli elementi necessari a consentire ai verificatori di potere accertare l’effettivo servizio reso alla contribuente da società (F.M.S. srl e LCE srl) legate alla medesima da specifici accordi contrattuali.

Per di più, a parere del giudice d’appello, in molte fatture, relative all’anno 2003, erano riportati gli estremi del contratto stipulato con la F.M.S. Srl, società di gestione di taluni servizi affidatile dalla D.M.G. spa, riferito, però, all’anno 2002, senza che fosse allegato agli atti alcun altro titolo giustificativo delle operazioni fatturate.

 

La sentenza

La Corte, in apertura, osserva, innanzitutto, che,

“in ipotesi di fatture che l’amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti – secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte – qualora l’amministrazione stessa fornisca validi elementi, alla stregua del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (nel testo applicabile ratione temporis), per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, si sposterà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (cfr. Cass. 27341/05, 21953/07, 12802/11)”.

Ebbene,

“nel caso concreto, atteso il regime dell’onere della prova in merito all’inesistenza delle operazioni fatturate, come emergente dalla giurisprudenza richiamata, non sembra potersi considerare elemento, anche solo indiziariamente indicativo dell’inesistenza delle operazioni fatturate da F, la mancata previsione, nel contratto di prestazione di servizi, di una clausola di tacito rinnovo.

Del tutto apodittica e non decisiva, nella prospettiva considerata, appare, poi, l’asserzione – riferita alla fatturazione di LCE – che la società fornitrice avrebbe ‘fatturato servizi extracontrattuali’.

Ne consegue che, a fronte di tali generiche ed indimostrate allegazioni dell’Ufficio, ha certamente errato la CTR ad affermare che la società contribuente avesse l’onere di fornire elementi probatori per contestare il disconoscimento dei costi ritenuti indeducibili, operato dall’amministrazione”.

 

 

 

Operazioni inesistenti ed onere della prova – Brevi note

l'onere della prova per operazioni inesistentiLa sentenza è stata salutata da più parti come un cambio d’indirizzo operato dalla Corte di Cassazione in materia di operazioni inesistenti, che sposterebbe l’onere della prova sul contribuente.

Ma leggendo il testo integrale della sentenza non pensiamo che tale pronuncia segni un cambio di passo della Suprema Corte. Basta leggere l’incipit della decisione per verificare che la Corte continua a ritenere valido il principio consolidato secondo cui, qualora l’amministrazione finanziaria fornisca validi elementi per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, si sposta sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate.

E’ solo nel caso specifico sottoposto alla Corte che gli elementi indiziari offerti dall’ufficio non appaiono indicativi dell’inesistenza delle operazioni.

Come puntualmente rilevato dalla Suprema Corte nella recente ordinanza n. 27547 del 19 dicembre 2011 (ud. 13 ottobre 2011)1, l’orientamento giurisprudenziale che assegnava all’ufficio l’onere della prova è ormai superato, ad opera della stessa Cassazione che ha ormai da tempo2 affermato che qualora l’Amministrazione contesti al contribuente che alcune fatture sono state emesse per operazioni inesistenti, incombe sul contribuente stesso dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni.

In quest’ambito sicuramente assume rilevanza la sentenza spartiacque – la n. 21953 del 21 settembre 2007 (dep. il 19 ottobre 2007), dove la Corte ha affermato che il presunto contrasto interno – alcuni pronunciamenti che porrebbero il relativo onere a carico dell’Amministrazione, altre a carico del contribuente –

“appare molto meno radicale: le sentenze che vengono abitualmente citate a sostegno della teoria secondo cui l’onere della prova graverebbe sull’Amministrazione, in realtà non contengono affatto simile asserzione.

Ed invero poiché le operazioni passive denunciate dal contribuente sono fonte di credito a suo vantaggio (nell’ambito dell’Iva) di detrazione dall’imponibile (nell’ambito delle imposte sui redditi), appare logico concludere che spetta al contribuente fornire la prova dell’esistenza di fatti da cui scaturisce un suo diritto”.

 

Concludono i giudici di Cassazione:

“la giurisprudenza di questa Corte è unanime nell’affermazione secondo cui la correttezza formale della contabilità non può diventare un alibi per commettere ogni possibile violazione delle leggi fiscali. E dunque qualora l’Amministrazione fornisca validi elementi di prova per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni inesistenti, incombe sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni (sentenze n. 19109 del 29 settembre 20053; n. 4046 del 21 febbraio 2007 in quest’ultima sono state ritenute adeguate a suffragio delle tesi erariali le circostanze secondo cui non risultava la prova del pagamento della somma indicata in fattura; non risultava stipulato un contratto di appalto scritto, nonostante il valore ingente delle opere pari a circa 13 miliardi di lire; non era stata fornita la prova dell’esecuzione di alcun lavoro)”.

 

Se la fattura costituisce il dato di partenza non vi è dubbio che la convinzione della bontà della fattura viene meno tutte le volte in cui i verificatori – sulla base di tutta una serie di elementi a supporto – constatino la falsità: il pagamento per cassa, il fatto che il soggetto emittente non aveva personale per poter effettuare la prestazione, il fatto che l’emittente non ha presentato la propria dichiarazione o che l’abbia presentato con l’indicazione di un volume d’affari nettamente inferiore alla fattura emessa, la dimostrazione del ritorno del pagamento attraverso le indagini finanziarie, la portata utile del mezzo di trasporto in possessoche non trasportare la merce asseritamente venduta, costituiscono tutti elementi atti a supportare la pretesa

 
Riteniamo che sia difficile trovare oggi processi verbali di constatazione che dicano “la fattura è falsa”. Punto.

Proprio la sentenza di Cassazione n. 21953/2007 – in maniera chiara e netta – afferma che il contrasto giurisprudenziale di cui tutti hanno discusso, è più teorico che pratico.

In pratica, la presunta in astratto legittimità della fattura si supera ogni qual volta l’Amministrazione offra elementi anche indiziari – come quelli sopra indicati – che pongano in dubbio la documentazione prodotta dal contribuente.

Non si può non rilevare, oltretutto, che successivamente al pronunciamento n. 21953/2007, la Cassazione ha affermato che

“se l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni deve essere fornita dal contribuente mediante l’esibizione dei documenti contabili legittimanti, i quali non possono provenire da un soggetto inesistente (Case. n. 1727/2007, n.1950/2007, n. 1569/2007, n. 6341/2002, n.13605/2003); in mancanza di, tale prova legittimamente l’ufficio procede a recuperare l’imposta detratta (Cass. n.13662/2001)”.

 

Anche da ultimo, con sentenza n. 23626 dell’11 novembre 2011 (ud. del 5 ottobre 2011) la Corte di Cassazione, in ordine alle fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, richiama la propria precedente giurisprudenza che,

“dopo qualche iniziale incertezza, appare consolidatamente orientata a ritenere (cfr., tra le altre. Cass. nn. 12802/11, 2598/10, 9958/08, 2847/08, 1023/08, 26130/07, 21953/07, 1727/07) che – qualora l’Amministrazione contesti indebite detrazione di iva e deduzione di costi fatturati, fornendo elementi, anche semplicemente presuntivi purchè specifici (ad es. il carattere di mera ‘cartiera’ della società emittente), atti ad asseverare il riscontro di fatture emesse per operazioni inesistenti – è onere del contribuente, che rivendichi la legittimità della deduzione degli esborsi fatturati e quella della detrazione dell’iva correlativamente indicata, fornire la prova dell’effettiva esistenza delle operazioni”.

 

Tale criterio – sottolinea la Corte – è applicabile anche sotto il versante soggettivo, in relazione alle fatture

“emesse, cioè, da soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione (Cass. 3202/09, 29467/08); e ciò sia con riguardo alla detraibilità dell’iva correlativamente indicata sia con riguardo alla deducibilità, ai fini dell’imposizione diretta, degli esborsi fatturati”.

 

Esclusa la riconducibilità della fattispecie a quella dell’emissione di fattura recante indicazioni incomplete o inesatte (previste dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 41, c. 3) ed a quella di omissione dell’indicazione dei soggetti tra cui è effettuata l’operazione (prevista dal precedente art. 21, c. 2 n. 1) – è stato, in particolare, rilevato che,

“in ipotesi di emissione della fattura da parte di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione, viene a mancare lo stesso principale presupposto della detrazione dell’iva, costituita dall’effettuazione di un’operazione, giacchè questa (riferendosi il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, all’imposta relativa alle ‘operazioni effettuate’) deve ritenersi carente anche nel caso in cui i termini soggettivi dell’operazione non coincidano con quelli della fatturazione (v. Cass. nn. 23987/09, 5719/07)”.

 

Ciò comporta, sul piano della distribuzione dell’onere della prova, che,

“se l’Agenzia dimostri che l’operazione cui la fattura si riferisce è soggettivamente inesistente, compete al contribuente provare l’insussistenza di ipotesi penalmente rilevanti, in base alla regola, secondo cui, la ricorrenza dei presupposti di una deduzione, riducendo questa l’imponibile, va provata dal contribuente.

Con la precisazione che tale prova non è sufficientemente fornita attraverso la dimostrazione del conseguimento della merce o del servizio e la documentazione del relativo pagamento, trattandosi di circostanze non decisive in rapporto al thema probandum: la prima in quanto insita nella nozione di operazione soggettivamente inesistente secondo la definizione sopra richiamata; la seconda perchè relativa ad un dato di fatto che, di per sè, non garantisce l’estraneità del committente/cessionario ad ogni ipotesi criminosa (cfr. Cass. 17377/09)”.

 

Quindi, in presenza di elementi atti asseverare la ricorrenza di costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, la deducibilità è subordinata alla condizione che il contribuente ne dimostri non solo “l’effettiva sussistenza”, ma anche il preciso “ammontare” (“a conferma del fatto che l’interposizione scredita l’ordinaria efficacia probatoria della fattura“) ed, altresì, l’inerenza.

 

14 novembre 2012

Gianfranco Antico

 

NOTE

1”In tema di IVA, nel caso di contestazione di indebita detrazione di fatture, perchè relative ad operazioni inesistenti, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni IVA deve essere fornita dal contribuente con l’esibizione dei documenti contabili legittimanti, in mancanza della quale la detrazione va ritenuta indebita e, conseguentemente, l’ufficio può recuperare a tassazione l’imposta irritualmente detratta (Cass. n.27341/2005; n. 18710/2005; n. 11109/2003, n. 5717/2007, n. 6378/2006)”. Nel caso specifico, peraltro, l’impugnata sentenza ha fatto applicazione di tale principio, avendo esaminato le risultanze processuali, e verificato che il contribuente aveva “beneficiato di fatture per operazioni inesistenti”, stante che era emerso, sia che i pagamenti non trovavano “conferma e coincidenza tra le due contabilità”, sia “pure che la portata utile del mezzo di trasporto indicato non era tale da giustificare le quantità di merce che si assumeva essere state vendute e trasportate”.

2 Per un approfondimento della sentenza si rinvia ad ANTICO, Operazioni inesistenti: la prova dell’esistenza spetta al contribuente, in www.https://www.commercialistatelematico.com, 29/08/2006.

3 Per la Corte, acquisito in maniera incontrovertibile il “fatto storico” dell’emissione delle fatture per operazioni inesistenti (in senso assoluto, perché i relativi trasporti non erano stati mai effettuati) era, quanto meno, contraddittorio esimere la parte dal fornire la prova circa l’effettiva esistenza delle operazioni. “In caso di contestazioni relative a fatture per operazioni inesistenti, spetta, in effetti, al contribuente l’onere di dimostrare la legittimità e correttezza delle operazioni mediante esibizione dei relativi documenti contabili”.