Definizione delle liti pendenti: gli effetti e le conseguenze della sospensione dei termini

dopo i recenti chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate, quali sono gli effetti (ed i rischi) per il contribuente che ha definito una lite fiscale di durata ultradecennale?

Ai sensi dell’art. 39, comma 12, lettera c), del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella Legge 15 luglio 2011, n. 111, le liti fiscali suscettibili di definizione a norma del medesimo articolo sono sospese ex lege dal 6 luglio 2011 al 30 giugno 2012.

Con intento deflativo, la Manovra 2011 introduce una nuova definizione delle liti fiscali, sulla base del famoso condono – ex L. 289/2002 – richiamandone alcuni tratti, in particolare l’art. 16 il quale prevede che: “la sospensione dei giudizi non opera qualora il contribuente abbia presentato istanza di trattazione”.

Dalla lettura della norma, appare chiaro che si tratta di una sospensione automatica dei processi potenzialmente definibili:

  • le liti fiscali che possono essere definite sono sospese fino al 30 giugno 2012;

  • relativamente alle stesse liti sono altresì sospesi sino al 30.giugno 2012 “i termini per la proposizione di ricorsi, appelli, controdeduzioni, ricorsi per Cassazione, controricorsi in riassunzione, compresi i termini per la costituzione in giudizio”.

Questo significa che ogni attività processuale è entrata in una fase di “inattività”, in quanto la sospensione de quo, operando ex lege, è rilevabile d’ufficio dal giudice, al netto di qualsivoglia impulso di parte.

A differenza della precedente versione del “condono” (sulla base del quale vengono richiamate alcune norme “applicabili”), – come quella contenuta nell’art. 16 che imponeva al contribuente di dichiarare espressamente in giudizio, di voler aderire al condono, anche qualora entro il termine di sospensione fosse stata già fissata, ad istanza di parte, una pubblica udienza per la trattazione della lite (in modo tale da poter scegliere la convenienza o meno dell’istituto), la Manovra 2011 non lascia spazio ad interpretazioni diverse, precludendo questa possibilità, anche nel caso in cui il contribuente manifestasse la volontà di proseguire il giudizio, in quanto l’evento “sospensione” del processo è, oggi, inderogabile e stabilito dalla legge (“le liti sono sospese fino al 30 giugno”).

Tuttavia, è importante rilevare quanto precisato in materia dalla circolare n. 48/E del 24.10.2011, in cui è precisato che: “la sospensione dei giudizi non equivale a sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato, rimanendo salva la facoltà della Commissione tributaria provinciale di disporre la sospensione cautelare degli effetti dell’atto, ai sensi dell’art. 47 del D. Lgs. 546/92”.

Ricordiamo, infatti, che nel processo tributario, la parte attiva/inattiva è sempre il contribuente che si assume la responsabilità di una eventuale richiesta di riassunzione o sospensione dell’atto, a discapito della definitività della pretesa erariale.

Il profilo oscuro sotteso alla disciplina in esame, appunto, resta la possibilità – intesa come libera scelta (ad eccesso di zelo), stando al tenore della norma – o meno che vi sia, a seguito del decorso dei sei mesi di sospensione stabiliti ex lege, di riassumere, ad istanza di parte o meno, il processo.

Ebbene, occorre precisare che i casi di sospensione del processo tributario – espressamente previsti dall’art. 39 del D. Lgs. 546/92, ovvero “querela di falso o stato o capacità delle persone o capacità di stare in giudizio” – restano a presidio della successiva norma di riassunzione del processo sospeso, su istanza di parte, attraverso il dato normativo dell’art. 43 del D. Lgs. 546/92, il quale prevede, al comma 1, che: “ dopo che è cessata la causa che ha determinato la sospensione il processo continua se entro sei mesi da tale data viene presentata da una delle parti istanza di trattazione al presidente di sezione della commissione, che provvede a norma dell’art. 30”.

Altresì, nei casi di inerzia della parte legittimata all’azione di riassunzione ricorre l’effetto invalidante stabilito dalla norma di cui all’art. 45 : “il processo si estingue nei casi in cui le parti alle quali spetta di proseguire, riassumere i integrare il giudizio non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo”.

Alla luce di tanto, sembra palesemente lesivo l’effetto relativo al mancato adempimento della parte, che a seguito della sospensione ex lege, stabilita dall’art. 39 cit., non inneschi un’istanza di riassunzione del processo, in pendenza dei requisiti di cui alla normativa in materia di definizione delle liti pendenti.

Nessun documento di prassi specifica, a tal proposito, il comportamento da tenere al fine di vedersi garantiti i propri diritti di difesa, in linea con i principi costituzionali posti alla base delle norme tributarie.

I giudici ormai viaggiano in una giungla normativa, incorrendo facilmente in errori grossolani che causano gravi illegittimità nei confronti dei contribuenti, che non possono far fede sulle norme appena entrate in vigore.

Tuttavia, seguendo un’interpretazione letterale della norma, in base alla diversa accezione dell’istituto della sospensione dei termini – come disciplinata dal codice del processo tributario – rispetto a quella specificata dalla Manovra, nessuna istanza di riassunzione deve essere fatta dal contribuente, a seguito dei sei mesi di sospensione operati ex officio dal giudice in base alla legge, perché siamo al di fuori dei casi tassativamente previsti dall’art. 39 D.Lgs. n. 546/92.

 

09.10.2012

Maurizio Villani

Francesca Giorgia Romana Sannicandro