Commercialisti: confisca per equivalente e concorso nel reato

Quando partecipa all’attività illecita, i beni del commercialista sono passibili di confisca per equivalente, per l’illecito risparmio d’imposta ottenuto dai clienti. Di più. Il professionista rischia di rispondere di concorso nel reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’art. 8 del D.Lgs. 74/2000, con il ruolo di istigatore, anche se non si realizza l’evasione fiscale avuta di mira.
E’ quanto emerge dalla sentenza numero 13982 del 12 aprile 2012, dalla Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione.

Fatto

Il Giudice per le indagini preliminare presso il Tribunale di Monza emetteva decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, nei confronti (tra gli altri) di un commercialista, indagato per i reati di cui agli artt. 2, 3, 4 e 8 del D.Lgs. n. 74/2000, sino alla concorrenza della somma di più di 1mln di euro.

La misura cautelare veniva successivamente confermata dal Tribunale del Riesame (di seguito solo T.d.R.) della medesima città lombarda.

 

Le accuse

Secondo l’accusa, l’uomo:

 aveva annotato fatture per operazioni inesistenti, inserendole poi nelle dichiarazioni dei redditi dei vari clienti;

nelle dichiarazioni fiscali relative ai propri redditi per gli anni 2006 e 2007, il professionista, al fine di evadere le imposte sui redditi e l’IVA, aveva indicato elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo. Ciò, in concorso con la moglie che aveva messo a disposizione dell’uomo il proprio conto corrente onde farvi confluire i pagamenti in nero ricevuti dai clienti e altre somme di denaro di proprietà del marito.

 

Il rigetto

Avverso l’ordinanza del Riesame, la difesa del professionista ha proposto ricorso in Cassazione, formulando tre motivi, tutti dichiarati infondati.

Il Giudice di vertice ha quindi rigettato l’atto, con condanna del commercialista al pagamento delle spese di lite.

 

Legittimità del sequestro preventivo

Dopo una breve premessa sui presupposti che legittimino il ricorso in Cassazione, avverso l’ordinanza di sequestro preventivo e probatorio, e i poteri esercitabili dal giudicante in sede di riesame del provvedimento cautelare, gli Ermellini hanno principiato il ragionamento che li ha condotti alla decisione finale, sostenendo che si è da tempo affermato il principio secondo il quale:

 è legittimo il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, di somme di denaro che avrebbero dovuto essere impiegate per il pagamento delle imposte dovute (nella fattispecie, IVA), in quanto la confisca di tali somme è consentita “anche in relazione al profitto del reato”

 

Si rammenta che, nell’ambito dei reati tributari, il profitto è rappresentato dal denaro a titolo di mancato versamento, ovvero di rimborso, qualora, per esempio, nella dichiarazione fraudolenta sia esposto un credito, in tutto o in parte, inesistente. In entrambi i casi, laddove il contribuente condannato abbia disponibilità in denaro anche presso un intermediario finanziario, il provvedimento più logico resta la relativa confisca per un importo pari al profitto conseguito.

Se invece tali disponibilità dovessero mancare, la confisca potrà riguardare beni mobili ed immobili riconducibili all’autore dell’illecito.

 

“Principio solidaristico”

Peraltro,

“nella fase cautelare, in caso di illecito plurisoggettivo, si deve applicare il principio solidaristico che implica: l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e, pertanto, una volta che sia stata perduta l’individualità del profitto illecito, la sua confisca, e quindi il sequestro preventivo finalizzato ad essa, possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato”.

L’invocato principio solidaristico, che giustifica la confisca anche dei beni del professionista, negli anni, è stato più volte richiamato dalla giurisprudenza della Cassazione.

Più di recente, la Sesta Sezione penale, con una sentenza del 28 ottobre 2011, si è pronunciata circa la legittimità del decreto di sequestro preventivo emesso dal

G.I.P. nei confronti, tra gli altri, di un commercialista, in relazione a due imputazioni provvisorie di concorso in corruzione in atti giudiziari, relativamente a due ricorsi dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Pesaro, proposti da due società delle cui scritture contabili il professionista era depositario.

Il provvedimento aveva avuto ad oggetto beni, denaro, provviste e/o utilità ed era stato finalizzato alla confisca per equivalente, fino alla concorrenza dell’importo pari a 20.963.864 euro, corrispondente al profitto dei reati, coincidente con gli importi d’imposta evasa e sanzioni contestati dall’amministrazione finanziaria, oggetto dei giudizi avanti il giudice tributario.

Il Tribunale del Riesame confermava la misura, affermando che la confisca ex art. 322 – ter c.p. ha natura sanzionatoria, sicché tutti i concorrenti nel reato, compreso quindi il commercialista, erano corresponsabili della realizzazione del profitto, indipendentemente dalle quote di sua eventuale ripartizione: il profitto del reato risultava configurabile prescindendo dal contenuto giuridico delle sentenze, una volta accertata la partecipazione di giudice corrotto alla sua deliberazione.

Il professionista, dal canto suo, ricorreva in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 322 ter c.p., in relazione al ritenuto vincolo di solidarietà, perché avrebbe dovuto essere individuata la quota di profitto concretamente attribuibile a ciascun concorrente, con conseguente limitazione soggettiva del sequestro, nella specie trattandosi di risparmio fiscale esclusivo del cliente.

Il Supremo Collegio ha dichiarato la suddetta censura infondata, sostenendo che

“nella fase cautelare, nel caso di illecito plurisoggettivo, deve applicarsi il principio solidaristico che implica l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e, pertanto, una volta perduta l’individualità storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, ma l’espropriazione non può essere duplicata o, comunque, eccedere nel ‘quantum’ l’ammontare complessivo dello stesso (SU sent. 26654/2008; Sez.5, sent. 13277/2011; Sez.5, sent. 10810/2010), in         particolare          ogni                    qualvolta        non                    sia        possibile     individuare                     già specificamente la quota del singolo apporto rispetto al profitto (Sez.6, sent. 18536/2009; Sez.6, sent. 30966/2007 […]”.

In conclusione, la Corte, anche in tale frangente, ha rigettato il ricorso del commercialista, condannandolo pure al pagamento delle spese processuali.

 

Possibile concorso nel reato

Ma gli Ermellini, nelle motivazioni della sentenza numero 13982 del 12 aprile, dicono di più.

“In riferimento alla responsabilità del professionista per i reati tributari posti in essere in concorso con i propri clienti – si legge in sentenza -, è ben possibile il concorso nell’art. 8 del d.lgs n. 74 del 2000, che sanziona la condotta di emissione di fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire a terzi l’evasione, ed è ben possibile che il concorso nella fattispecie possa essere ascritto al consulente-professionista (nel caso qui in esame il commercialista) in base all’art. 110 c.p., con il ruolo di istigatore,non ostandovi né il disposto di cui all’art. 9 del medesimo d.lgs. né l’eventualità che non venga realizzato l’obiettivo di evasione fiscale avuto di mira (e quindi che non si sia verificato alcun danno erariale)”.

 

il professionista rischia il concorso nel reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, qualora venga accertato che il medesimo ha coperto il ruolo di istigatore.

Insomma, argomentazioni che non hanno lasciato scampo al professionista, il quale ha visto confermare, oramai in via definitiva, la misura cautelare del sequestro finalizzato alla confisca, disposta dal G.I.P..

Dunque, sul fronte penale, il professionista può rispondere in concorso con il proprio cliente, se quest’ultimo abbia utilizzato e/o emesso fatture per operazioni inesistenti. Ovviamente, occorre dimostrare che:

  • il commercialista era consapevole della falsità dei documenti;
  • abbia offerto il proprio contributo alla realizzazione del reato;
  • abbia “istigato” il contribuente a commettere l’evasione.

Sussistendo tali condizioni, risponderà anch’egli per concorso nei reati di cui agli artt. 2 e 8 del D.Lgs. n. 74/2000.

Altra ipotesi nella quale si potrebbe configurare il concorso del professionista nell’illecito tributario è quella in cui lo stesso si adoperi, in pendenza di un procedimento giudiziario o amministrativo – tributario, per la spoliazione dei beni dal patrimonio del proprio assistito.

 

La confisca per equivalente

L’istituto della confisca per equivalente è regolato dall’articolo 1, comma 143, della Legge 244/2007, il quale prevede che:

“nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale”.

 

L’art. 1, c. 143, della L. n. 244 del 24 dicembre 2007 ha esteso, a partire dal 1° gennaio 2008, l’istituto della confisca per equivalente anche alla maggior parte dei reati tributari, e, in particolare, alle fattispecie previste dagli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10 – bis, 10 – ter, 10 – quater e 11 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

Nel diritto penale italiano la confisca (ossia, l’acquisizione coattiva, senza indennizzo, di beni o dell’intero patrimonio di chi ha commesso un reato, quale conseguenza di questo) è una misura di sicurezza patrimoniale che tende a prevenire la commissione di nuovi reati mediante l’espropriazione a favore della

P.A. di cose che, provenendo da fatti illeciti penali o in altra guisa collegandosi alla loro esecuzione, manterrebbero viva l’idea e l’attrattiva del reato.

Oggetto di tale misura sono le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e quelle che ne sono il prodotto o il profitto. In nessun caso, la confisca può pregiudicare gli interessi legittimi di persone estranee al reato, perciò non sono confiscabili le cose che appartengono a terzi o siano ad essi lecitamente pervenute anche dopo la commissione del reato.

In particolare, la confisca per equivalente è il provvedimento ablativo disposto su somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo, al prodotto e al profitto del reato, previsto per talune fattispecie criminose allorquando sia intervenuta condanna e sia impossibile identificare fisicamente le cose che ne costituiscono effettivamente il prezzo, il prodotto o il profitto.

L’istituto mira a impedire che l’impiego economico dei beni di provenienza delittuosa possa consentire al colpevole di garantirsi il vantaggio che era oggetto specifico del disegno criminoso.

Ai sensi dell’articolo 322-ter del codice penale la confisca per equivalente può essere disposta:

“in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo”.

 

La sanzione introdotta dal legislatore anche nell’ordinamento tributario mira, quindi, a colpire il vantaggio economico derivante dall’evasione fiscale.

In altre parole, il ricorso alla confisca per equivalente priva l’evasore del vantaggio economico ottenuto dalla commissione del reato.

Tanto per intenderci, il contribuente incriminato ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000, rubricato “Occultamento o distruzione occultamento o distruzione di documenti contabili”, non può essere destinatario di provvedimenti ablatori per equivalente. Il motivo dell’esclusione risiede nella natura stessa dell’illecito in parola, che si caratterizza per l’assenza di un profitto. Nell’indicato comportamento criminoso è, infatti, assai complessa la valutazione economica del profitto che da esso il contribuente ha potuto trarre.

 

Presupposti

Tra i presupposti richiesti per l’adozione del     provvedimento del sequestro per equivalente, in relazione alla commissione di reati tributari, si segnalano:

  1. mancato rinvenimento dei beni costituenti il profitto del reato (da intendersi quale vantaggio economico), per cui si procede nella sfera giuridica patrimoniale del soggetto condannato, pur avendo la certezza della loro esistenza;
  2. non appartenenza dei beni a terzi estranei al reato. Tali sono i soggetti che non hanno partecipato, in alcun modo, alla condotta criminosa, con una qualsiasi attività di concorso.

 

Per esempio, la semplice intestazione di un bene utilizzato per realizzare il reato non è sufficiente per configurare la estraneità, se vi sono elementi che consentono di ritenere che l’intestazione sia del tutto fittizia e che nella realtà sia l’autore dell’illecito ad averne la sostanziale disponibilità.

In particolare, relativamente al concetto di appartenenza all’autore dell’illecito o ai compartecipi nel reato, è opportuno chiarire che esso non deve essere limitato al diritto di proprietà del bene suscettibile di confisca, ma è estendibile a ogni diritto di garanzia sul bene stesso.

 

 

Sequestro preventivo finalizzato alla confisca

Per concludere si evidenzia che, ai sensi dell’art. 321 del codice penale (Oggetto del sequestro preventivo):

“quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari. Il giudice può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita laconfisca”.

 

Presupposti

Nel disporre il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, il giudice deve accertare il collegamento tra il bene e il profitto.

In altre parole, ai fini dell’applicazione di tale misura cautelare reale non può ritenersi sufficiente la mera attribuzione ipotetica del reato a taluno, essendo al contrario necessario verificare il c.d. “fumus commissi delicti”, ossia la fondatezza delle condotte criminose legittimanti l’intervento cautelare.

Tale controllo non deve risolversi in un mero controllo formale e cartolare, ma al contrario deve essere concreto e condotto secondo il parametro del “fumus” del reato ipotizzato, anche con riferimento all’eventuale difetto dell’elemento soggettivo.

 

Misura cautelare reale del sequestro preventivo funzionale alla di confisca per equivalente (art. 321 c.p.)

Valutazione in concreto della sussistenza di condotte criminose legittimanti la misura.

 

Nel diritto processuale penale, le misure cautelari sono adottate dalla autorità giudiziaria, sia nel corso delle indagini preliminari che nella fase processuale. Esse hanno l’effetto di limitare o la libertà personale o la disponibilità di beni, onde evitare che il tempo necessario alla conclusione del processo comprometta l’esplicazione della attività giudiziaria penale, pregiudicandone lo svolgimento e il risultato. Le misure cautelari si suddividono in:

  • misure cautelari personali che comprendono (coercitive o interdittive);
  • misure cautelari reali.

 

29 ottobre 2012

Antonio Gigliotti

Scarica il documento