La sottrazione fraudolenta è a prova di alienazione simulata: simulare la vendita di un immobile dopo aver ricevuto una cartella esattoriale è reato!

simulare l’alienazione di un immobile, per nascondere al Fisco il proprio patrimonio, è uno dei casi in cui scatta il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

E’ reato di sottrazione fraudolenta, ex art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, simulare l’alienazione di un immobile, dopo aver ricevuto la notifica di una cartella di pagamento, senza che influisca la circostanza che la finta vendita sia stata effettuata per agevolare il simulato acquirente per ottenere un finanziamento da parte di una banca.

E’ questo il principio affermato dalla Cassazione, nella sentenza n. 28567 del 17 luglio 2012.

 

Il fatto

Un contribuente, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte erariali iscritte a ruolo, scadute e non pagate, aveva alienato simulatamente a un terzo la proprietà di un suo immobile.

A sua difesa il contribuente attribuiva la vendita a mero titolo di amicizia, per consentire di ottenere un finanziamento bancario, forte della garanzie immobiliari.

 

La sentenza

Per la Cassazione le censure del contribuente “… si esauriscono nella prospettazione di una ricostruzione alternativa delle ragioni che avrebbero giustificato la simulata alienazione dell’appartamento, ritenuta del tutto inattendibile dai giudici di merito con motivazione esaustiva ed immune da vizi logici” e “ nella mera prospettazione della diversa causale che avrebbe giustificato la simulata alienazione, con la conseguente richiesta di un accertamento di merito sul punto, inammissibile in sede di legittimità”.

In ogni caso, in sede di merito, il contribuente non ha provato che l’immobile alienato sia stato utilizzato a scopo di garanzia da parte dell’amico.

Resta fermo, per la Cassazione, “… che, ai fini del perfezionamento del reato, non è richiesta la sussistenza di una procedura di riscossione in atto, trattandosi di reato di pericolo…”.

 

Brevi considerazioni

Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, inteso come stratagemma artificioso del contribuente, tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario, può assumere le più diversificate forme, potendo estrinsecarsi attraverso l’abuso di strumenti giuridici rientranti solo in apparenza nella fisiologia della vita aziendale o societaria (operazioni straordinarie, scissioni simulate, alienazioni).

La norma mira a sanzionare il compimento di attività fraudolente, non essendo più necessaria l’esistenza di una procedura esecutiva in atto o la previa effettuazione di accessi della polizia tributaria o la notificazione di atti di accertamento da parte degli uffici finanziari, né la verifica dell’inefficacia dell’esecuzione esattoriale.

Ricordiamo che il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è disciplinato dall’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000, attraverso il quale, salvo che il fatto costituisca più grave reato, punisce (con la reclusione da 6 mesi a 4 anni) colui il quale, al fine di sottrarsi al pagamento delle II.DD. o dell’IVA ovvero di interessi o sanzioni relative a dette imposte, di ammontare complessivo superiore a € 51.645 alieni simulatamente o compia altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni, idonei a rendere in tutto o i parte inefficace la procedura di riscossione.

Detta norma è stata rivisitata dalla cd. Manovra correttiva (D.L. N .78 del 31 maggio 2010), che ha inasprito la formulazione e aumentato le pene, prevedendo soglie di punibilità diverse, e nuove fattispecie delittuose.

La norma adesso risulta così formulata: “è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

Inoltre, l’art. 11 del D.Lgs.n.74/2000, viene arricchito di un secondo comma, che punisce, “con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente e superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

Per l’Amministrazione finanziaria – circolare n. 154/E del 4 agosto 2000 – punto 3.4. – il reato si perfeziona con “la semplice idoneità della condotta a rendere inefficace la procedura di riscossione, e non anche l’effettiva verificazione dell’evento

Il delitto contempla, quindi, una condotta esclusivamente commissiva, consistente nell’alienazione simulata di beni del proprio patrimonio o il compimento di altri atti fraudolenti sui beni propri o altrui preordinati al fine di pregiudicare l’efficacia della riscossione coattiva.

Sul piano giurisprudenziale, si veda la sentenza n. 19595 del 18 maggio 2011 (ud. del 9 febbraio 2011) della Corte di Cassazione, Sez. III, Penale, ove la Corte prende atto che le operazioni societarie sono state simulate o comunque fraudolente. “Inoltre …, il Collegio del riesame ha ritenuto che tali operazioni, delle quali è stata fornita una chiara descrizione, erano pienamente idonee a rendere in tutto o in parte inefficace la successiva procedura di riscossione coattiva dei crediti tributari vantati dallo Stato nei confronti delle ‘originarie’ società: in sintesi, a fronte dell’uscita dal patrimonio di beni immobili, altri cespiti mobiliari (con conseguente privazione di ogni capacità operativa e produttiva), nessun corrispettivo od incremento patrimoniale risultava conferito, in sinallagma, alle società cedenti, sia perchè le scissioni societarie erano avvenute senza corrispettivo, sia perchè i corrispettivi contrattualmente pattuiti per le cessioni dei rami di azienda, al settembre 2010, o non erano stati corrisposti o lo erano stati con ‘compensazioni volontarie’ e quindi con movimenti di denaro formali, se non fittizi”. Del pari viene ritenuta corretta la risposta del Tribunale del riesame alla deduzione della non configurabilità del reato per la mancanza di una procedura esecutiva in atto da parte dell’amministrazione finanziaria, essendo la stessa un elemento non necessario ad integrare la fattispecie, come da consolidata interpretazione giurisprudenziale (sin da Sez. 3, Cass. n. 17071/2006, De Nicolo, Rv. 234322).

Ed ancora va registrata la sentenza n. 35310 del 29 settembre 2011 (ud. del 7 giugno 2011) con cui la Corte di Cassazione ha affermato che integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte la prossimità temporale tra la consapevolezza dei debiti fiscali e la stipula di atti di cessione volti a sottrarre i beni del contribuente alle pretese dell’erario nonchè il permanere nella materiale disponibilità degli immobili tramite lo strumento della locazione finanziaria.

Successivamente, con sentenza n. 36290 del 6 ottobre 2011 (ud. del 18 maggio 2011) la Corte di Cassazione ha ribadito, “comunque, l’orientamento ormai consolidato di questa Corte secondo il quale, la fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, è diversa rispetto all’omologa fattispecie, oggi abrogata, di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 97, comma 6, (come modificato dalla L. n. 413 del 1991, art. 15, comma 4), in quanto – a fronte della identità sia dell’elemento soggettivo costituito dal fine di evasione ed integrante il dolo specifico, che della condotta materiale rappresentata dall’attività fraudolenta – la nuova fattispecie, da un lato, non richiede che l’amministrazione tributaria abbia già compiuto un’attività di verifica, accertamento o iscrizione a ruolo e, dall’altro, non richiede l’evento che, nella previgente previsione, era essenziale ai fini della configurabilità del reato, ossia la sussistenza di una procedura di riscossione in atto e la effettiva vanificazione della riscossione tributaria coattiva”. La fattispecie delittuosa, nell’attuale formulazione, costituisce reato “di pericolo” e non più “di danno” e l’esecuzione esattoriale, quindi, “non configura un presupposto della condotta illecita, ma è prevista solo come evenienza futura che la condotta tende (e deve essere idonea) a neutralizzare. Ai fini della perfezione del delitto, pertanto, è sufficiente la semplice idoneità della condotta a rendere inefficace (anche parzialmente) la procedura di riscossione – idoneità da apprezzare con giudizio ex ante – e non anche l’effettiva verificazione di tale evento (vedi Cass.: Sez. 3′, 9.4.2008, n. 14720; Sez. 5′, 26.2.2007, n. 7916 e Sez. n. 18.5.2006, n. 17071)”. L’interesse oggetto di tutela diretta da parte della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 11, del D.Lgs. n. 74 del 2000, “non è il diritto di credito del fisco: infatti, pur costituendo questo il fine ultimo perseguito dal legislatore, la sua lesione non costituisce elemento necessario della fattispecie, potendo configurarsi il reato anche qualora, in concreto, dopo il compimento degli atti fraudolenti richiesti dalla norma, avvenga il pagamento dell’imposta e dei relativi accessori”.

 

6 settembre 2012

Francesco Buetto