Estensione dell'accertamento ai conti dei soci

in una società con un ristretto numero di soci è probabile che eventuali ricavi nati da evasione fiscale vengano trasferiti in nero ai soci

Con sentenza n. 12624 del 20 luglio 2012 (ud. 21 dicembre 2011) la Corte di Cassazione ha legittimato l’estensione delle indagini finanziarie ai terzi, e in caso di ristretta base azionaria, la presunzione di distribuzione degli utili.

 

IL FATTO

La CTR della regione Toscana, accogliendo gli appelli proposti dall’amministrazione finanziaria, in riforma dell’impugnata sentenza, ha riconosciuto la legittimità degli avvisi di accertamento emessi nei confronti di una società, coi quali erano stati recuperati a tassazione i maggiori redditi – conseguiti dalla distribuzione di utili occulti realizzati e non contabilizzati dalla predetta società – in misura corrispondente a quella degli importi delle movimentazioni bancarie rilevate sui conti personali dei due soci.

La sentenza di appello ha ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento in rettifica impugnati statuendo che:

– dai movimenti dei conti bancari intestati ai due unici soci risultavano prelievi e versamenti di somme non giustificate dai redditi indicati nelle dichiarazioni e consistenti nei soli utili distribuiti dalla società;

– la giustificazione fornita dai soci che tali movimentazioni erano da imputarsi ad investimenti finanziari rinnovati nel tempo rimaneva smentita dalle risultanze del procedimento tributario definito nei confronti della società nel quale era stata accertata un’evasione fiscale.

 

La CTR fonda la decisione nei confronti dei soci persone fisiche sull’accertamento di movimentazioni bancarie per ingenti importi rilevate dai conti correnti intestati agli stessi contribuenti, incompatibili con le fonti di reddito dagli stessi dichiarate al Fisco e non altrimenti giustificate (in particolare non giustificate con la quota di utili distribuiti, nel periodo di imposta, dalla società).

 

I motivi delle decisione

La Corte, innanzitutto, prende atto dei più recenti e precedenti pronunciamenti dello stesso Collegio, ai quali si è inteso uniformare, che escludono il preteso vincolo di subordinazione probatoria della legittimità delle indagini su conti intestati a soggetti diversi dal contribuente (che relegherebbe l’utilità dell’indagine sui conti e depositi formalmente intestali a terzi alla mera quantificazione dell’evasione), affermando che “in tema di accertamento delle imposte, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, e il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, acquisendo dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi a tali commi, sulla base di elementi indiziari” (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 21.12.2007 n. 27032) o quando comunque “l’ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extra-contabile, a scopo di evasione fiscale” (cfr. Corte Cass. 5′ sez. 12.1.2009 n. 374).

La questione della prova dell’interposizione fittizia o fiduciaria nell’intestazione dei conti/depositi o comunque della prova della pertinenza delle movimentazioni bancarie ad operazioni commerciali o finanziarie riconducibili all’attività d’impresa svolta dalla società, viene in rilievo pertanto soltanto nella fase valutativa dell’accertamento, successiva alle indagini, in quanto diretta a dimostrare – anche mediante mera argomentazione logica fondata su presunzione semplice ex art. 2729 c.c.: arg. D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37 c. 3 – la “riferibilità” di detti movimenti alla produzione di ricavi societari non contabilizzati, e dunque a consentire l’applicazione delle ripetute presunzioni legali di accertamento del maggior reddito imponibile ove la società contribuente non sia stata in grado di dimostrare di aver tenuto conto degli importi rilevati nei conti/depositi nelle dichiarazioni presentate ovvero non ne giustifichi la omessa indicazione in quanto riferibili ad operazioni non imponibili.

L’utilizzo dei dati rilevati dalle movimentazione dei conti correnti bancari intestati ai singoli soci ed ai loro familiari ai fini dell’accertamento del maggior reddito imponibile e la conseguente applicazione della prova presuntiva è del tutto conforme ai precedenti giurisprudenziali della Corte che “hanno ritenuto la piena legittimità delle indagini bancarie estese ai conti bancari di terzi (come ad es. nel caso di congiunti della persona fisica amministratore e/o socio della società contribuente), reputando lo stretto rapporto familiare, o la ristretta composizione societaria, o ancora il particolare vincolo commerciale, elementi indiziari sufficienti a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti (cfr. Corte Cass. 5′ sez. n. 1728/1999, id. 17.6.2002 n. 8683, id. 12.9.2003 n. 13391 – con riferimento a società di capitali -, id. n. 6743/2007, id. 7.9.2007 n. 18868, id. 21.12.2007 n. 27032, id. 12.1.2009 n. 374, id. 30.12.2009 n. 27947, id. 4.8.2010 n. 18083 – con riferimento a società di persone -; id. 24.9.2010 n. 20199 – con riferimento a società di capitali -)”.

Dalla mera lettura delle norme “non è dato, peraltro, individuare una limitazione dell’attività di indagine, volta all’accertamento della evasione fiscale, ai soli conti correnti bancari e postali ed ai libretti di deposito intestati esclusivamente al soggetto contribuente, in quanto, come è stato efficacemente evidenziato – con riferimento all’accesso ai conti intestati al coniuge del contribuente -, una tale limitazione verrebbe illogicamente ad eludere lo scopo della stessa previsione normativa”.

Infatti “premesso che rappresenta un espediente normale l’intestazione a nome del coniuge di un conto corrente quando il contribuente sia soggetto a verifiche fiscali, non pare esservi dubbio che l’indagine sul conto corrente cointestato è senz’altro legittimata quando i coniugi sono co-dichiaranti; ma risulta del pari legittima siffatta indagine in ragione della connessione e della inerenza del conto intestato al coniuge al (conto intestato al) contribuente”.

La norma non trova applicazione con riguardo a conti bancari intestati esclusivamente a persone diverse, ancorchè legate al contribuente da vincoli familiari o commerciali, salvo che l’ufficio opponga e poi provi in sede giudiziale che l’intestazione a terzi è fittizia o comunque, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie annotate sui conti.

La più recente giurisprudenza di questa Corte non esonera l’Amministrazione finanziaria dalla necessità della prova presuntiva in ordine alla riferibilità alla società delle somme movimentate sui conti intestati ai terzi, ma afferma piuttosto che tale prova va rinvenuta nel requisito di serietà e gravità dell’elemento indiziario costituito dallo stretto legame parentale, che, unitamente ad altri elementi significativi desunti dalle circostanze del caso concreto, converge alla formazione della prova concludente della condotta evasiva (cfr. in termini Corte Cass. 5′ sez. n. 18083/2010 cit.).

La questione in diritto sottoposta all’esame della Corte va pertanto risolta, alla stregua del seguente principio di diritto: “l’Ufficio finanziario, nella fase delle indagini dirette all’accertamento della evasione di imposta da parte di una società di capitali, è legittimato a richiedere agli istituti bancari, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 7), e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 7), l’accesso ai conti e depositi bancari formalmente intestati ai soci anche non amministratori e – in caso di ristretta compagine sociale – anche ai conti/depositi intestati ai loro familiari, qualora sussistano anche soltanto ‘fondati sospetti’ che la società verificata abbia partecipato ad operazioni imponibili ‘soggettivamente’ inesistenti volte a evadere l’imposta sul valore aggiunto. Costituiscono ‘fondati sospetti’ l’avere intrattenuto ripetuti rapporti commerciali con società sfornite di personale adeguato, di beni aziendali ovvero comunque prive di adeguata struttura organizzativa di impresa – c.d. società fantasma – in relazione alle operazioni commerciali in concreto svolte“.

Inoltre, osserva la Corte, “nella sequenza accertativa dei maggiori ricavi della società e dei maggiori redditi dei soci non è ipotizzabile, conclusivamente, alcuna opposizione antinomica, venendo ad operare gli accertamenti su piani distinti: alla società si imputa l’occultamento di ricavi relativi ad operazioni commerciali non contabilizzate, per importi corrispondenti alle movimentazioni bancarie, non giustificate, rilevate sui conti dei soci, importi che, in considerazione della composizione azionaria estremamente ristretta della società di capitali ed in mancanza di altri fonti reddituali dichiarate, vengono attribuiti ad utili extrabilancio interamente distribuiti dalla medesima società; ai singoli soci viene, invece, imputato l’occultamento di maggiori redditi corrispondenti ai medesimi importi rilevati dai versamenti e dai prelievi risultanti dalle movimentazioni bancarie dei loro conti e considerati – in ragione dei medesimi elementi indiziari della stretta composizione azionaria e della assenza di altre fonti di reddito – derivanti da utili occulti distribuiti dalla società”.

 

9 agosto 2012

Francesco Buetto