Il Fisco non può essere arbitro di se stesso

il Fisco deve provare in tribunale di aver svolto le attività di liquidazione delle dichiarazioni e relativa riscossione a norma di Legge (Marco Ertman)

L’art. 36-bis del Dpr 600/73, in materia di imposte dirette, e l’articolo 54-bis del Dpr 633/72, per l’imposta sul valore aggiunto, prevedono entrambi che,

“quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione, ovvero dai controlli eseguiti dall’ufficio … emerge un’imposta o una maggiore imposta, l’esito della liquidazione è comunicato” al contribuente “per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali”.

Le norme in oggetto non disciplinano gli effetti di un’eventuale inosservanza dell’amministrazione finanziaria, talché da una lettura acritica del testo di legge parrebbe che l’omessa comunicazione degli esiti della liquidazione possa essere priva di conseguenze sul ruolo e la riscossione.

In tema è però intervenuto lo statuto del contribuente disponendo, a pena di nullità, che

“prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta.” (art. 6 L. 212/2000)

La giurisprudenza di merito è stata quindi pressoché costante nell’invalidare le cartelle esattoriali e le iscrizioni a ruolo in relazione alle quali l’Agenzia delle Entrate non sia stata in grado di provare la spedizione o la trasmissione dell’avviso bonario1 o di una richiesta di chiarimenti. Di recente la Corte di Cassazione ha tuttavia imposto un maggior rigore insegnando che non v’è alcun obbligo di contraddittorio tra preventivo fisco e contribuente laddove non sussistono incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione2.

La materia del contendere si sposta dunque sulla potestà di accertare l’esistenza, o meno, di tali incertezze e su quale sia il soggetto deputato all’esercizio di un simile potere-dovere. Sebbene l’Agenzia delle Entrate si sia tenacemente arrogata tale ruolo, la sentenza in commento chiarisce che una siffatta auto-referenziata attribuzione di potestà da parte dell’amministrazione finanziaria vanifica l’intenzione del legislatore che, con l’approvazione dello statuto del contribuente, ha voluto potenziare il contraddittorio preventivo a tutela del consociato e della buona fede nei rapporti tra Erario e contribuente.

La valutazione delle incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione dei redditi deve dunque essere sottratta agli organi dell’accertamento ed affidata ad elementi obiettivi oltre che al prudente giudizio delle commissioni tributarie.

 

12 maggio 2012

Marco Ertman

Nota di redazione: di tale argomento tratta la sentenza della C.T.P. di Roma n. 5/06/10 dep. 11/01/2010 da noi pubblicata in data odierna.

 

1 Sent. n. 7 del 12 gennaio 2011 della CTP di Ancona; sent. n. 264 del 13 ottobre 2010 della CTR di Napoli; sent. n. 85 del 27 agosto 2009 della CTP di Treviso; sent. n. 306 del 1° luglio 2008 della CTP di Cosenza; sent. n. 338 del 4 giugno 2008 della CTP di Napoli; sent. n. 52 del 10 marzo 2008 della CTR di Napoli; sent. n. 445 del 14 gennaio 2008 della CTP di Bari; sent. n. 299 del 19 dicembre 2007 della CTP di Milano; sent. n. 37 dell’8 maggio 2007 della CTR di Roma; sent. n. 60 del 17 aprile 2007 della CTP di Latina; sent. n. 16 del 6 marzo 2007 della CTR di Bari; sent. n. 220 del 28 novembre 2006 della CTP di Milano.

2 Cassazione Civile, Sent. n. 24048 del 16 novembre 2011; ord. n. 12997 del 14 giugno 201; Sent. n. 795 del 14 gennaio 2011.