attenzione: il contribuente persona fisica che porta in detrazione documenti falsi per ridurre il carico IRPEF commette reato di frode fiscale!
Commette il reato di frode fiscale chi indica di aver sostenuto spese mediche, per le quali spetta la detrazione del 19%, documentandole con fatture o documenti equipollenti materialmente falsi. A tale conclusione è recentemente pervenuta la III sez. penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 46875, depositata il 19 dicembre 2011, con la quale il massimo giudice di legittimità, indipendentemente dal fatto che si tratti di falso materiale o ideologico, ha ritenuto che – a determinare l’ipotesi di reato e la conseguente frode fiscale commessa mediante altri artifici – è la natura dello strumento usato dal privato, in quanto idoneo a trarre più facilmente in inganno l’amministrazione finanziaria.
L’interessante pronunciamento accoglie la tesi (sostenuta dalla pubblica accusa) della configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta mediante fatture e altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 del D. Lgs. n. 74/2000) nell’ipotesi di atti sia ideologicamente che materialmente falsi: com’è noto, infatti, nel primo caso il falso (ideologico) aggredisce il contenuto di veridicità di un documento materialmente integro (per cui esso non sarebbe esteriormente percepibile), mentre il falso materiale investe la forma esteriore dell’atto (alterazione di un preesistente documento genuino mediante cancellazione, modifica o aggiunta di alcune parti costitutive) e sarebbe riconoscibile attraverso segni esterni. L’ordinanza del Tribunale nei confronti della quale si è incardinato il giudizio di legittimità, invece, affermava che la fattispecie di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000 è configurabile solo nell’ipotesi di fatture ideologicamente false, mentre la fatturazione di documentazione materialmente falsa deve essere inquadrata nella fattispecie di cui all’art. 3 del medesimo decreto (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) ovvero in quella di dichiarazione infedele di cui all’art. 4.
Le conclusioni della Corte si sono preliminarmente basate su altra recente sentenza (n. 9673/2011, la quale richiama anche la n. 12284 del 2007) con la quale, con specifico riferimento alla questione di diritto controversa, era stato affermato che essa “integra il reato di cui all’art. 2, comma primo, del D. Lgs. n. 70 del 2000, e non già la diversa fattispecie di cui all’art. 3, ai fini dell’indicazione di elementi passivi fittizi di fatture false non solo sotto il profilo ideologico, in riferimento alle operazioni inesistenti ivi indicate, ma anche sotto il profilo materiale, perché apparentemente emesse da ditta in realtà inesistente”. In particolare la Cassazione ha ritenuto che gli elementi qualificanti la definizione di “fatture e altri documenti” contenuta nell’art. 1 del citato decreto legislativo sono rinvenibili:
a) nell’inesistenza dell’operazione economica, sia essa oggettiva o soggettiva, totale o parziale;
b) nella natura del documento che la certifica, che deve essere costituito da una fattura o altro documento avente rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie.
Sicché, conclude l’organo giudicante, l’elemento essenziale che qualifica tale fattispecie criminosa e che la distingue da quella di cui all’art. 3 del medesimo decreto (riguardante, come rammentato, la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) è l’efficacia probatoria, in base alle norme tributarie, del documento utilizzato per la dichiarazione fraudolenta
In altre parole, chiarisce ancora la Cassazione, “nella struttura del reato così delineata non trova alcuna ragione di essere la distinzione tra falsità materiale e falsità ideologica, derivante dagli artt. 476 e ss. del codice penale, che è finalizzata ad inquadrare le possibili ipotesi di falsificazione di atti da parte del pubblico ufficiale o del privato in apposite fattispecie criminose. A ben vedere le fatture o altri documenti per operazioni totalmente inesistenti di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 74/2000, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, nella maggior parte dei casi dovrebbero essere ricondotti alla nozione di falso materiale e non a quella di falso ideologico secondo la distinzione che emerge dai citati articoli del codice penale (la emissione di fatture per operazioni inesistenti non si distingue sul piano logico e fattuale dalla formazione da parte del pubblico ufficiale di un atto falso (art. 476 c.p.) o di una scrittura privata falsa da parte del privato (art. 485 c.p.))”.
La sentenza in commento è assolutamente “in linea” con la relazione governativa che accompagna(va) il D. Lgs. n. 74/2000, la quale sottolinea come la disposizione di cui all’art. 2sia applicabile anche ai contribuenti che non sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili, ma che egualmente rendono la dichiarazione fiscale e che, pertanto, rientrano a pieno titolo fra i destinatari della previsione punitiva. Diversamente, invece, si esprime l’art. 3, ove la norma incriminatrice stabilisce che il reato possa essere posto in essere soltanto dai contribuenti obbligati alla tenuta della contabilità (per falsa rappresentazione della stessa), oltre ad essere sottoposto alla soglia di imposta evasa che ne determina l’esistenza o meno.
In buona sostanza, possono commettere il reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 anche i soggetti non obbligati alla tenuta dei libri contabili, cioè i contribuenti diversi da quelli titolari di reddito di lavoro autonomo e d’impresa. La linea dura della Procura, quindi, interamente condivisa dal massimo giudice di legittimità, si rivolge questa volta (anche) alle persone fisiche che indicano nella propria dichiarazione una spesa medica in tutto o in parte fittizia (ideologicamente o materialmente), avvalendosi di un documento fiscalmente rilevante (la parcella dello specialista o della casa di cura), che ne dia contezza e detenendolo ai fini probatori per l’eventuale esibizione, in caso di richiesta, all’amministrazione finanziaria.
In conclusione, ai fini della configurabilità della dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 2 del D. Lgs. n. 74/2000, occorre che il documento utilizzato per la dichiarazione di elementi passivi fittizi “corrisponda, sia pure apparentemente, ai requisiti precisati dall’art. 21, secondo comma, del DPR n. 633/1972 a proposito del contenuto della fattura ovvero, se si tratta di altro documento contabile, sia equipollente, in relazione al suo contenuto, alla fattura secondo le norme tributarie, a nulla rilevando che detta fattura o documento siano frutto di falsità cosiddetta ideologica o materiale”.
23 aprile 2012
Valeria Fusconi