La tassazione dei beni sociali utilizzati dai soci: le possibili vie di uscita

Al fine di contrastare il fenomeno della concessione in uso dei beni dell’impresa da parte dei soci o dei familiari, sono state emanate nuove ipotesi di tassazione nei confronti della società e del socio/familiare nonché l’invio di una comunicazione che riepiloghi tutte le operazioni di concessione in godimento dei beni sociali a soci o familiari dell’imprenditore: analisi di alcune ipotesi per adeguarsi al meglio alla disciplina.

1. Tassazione dei beni in uso ai soci – Lineamenti della disciplina

Il D.L. n. 138/2011, al fine di contrastare il fenomeno della concessione in uso dei beni dell’impresa da parte dei soci o dei familiari, senza corrispettivo o per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato ha introdotto, al verificarsi di determinate condizioni, nuove ipotesi di tassazione nei confronti della società e del socio/familiare nonché l’invio di una comunicazione che riepiloghi tutte le operazioni di concessione in godimento dei beni sociali a soci o familiari dell’imprenditore.

In particolare, è stato introdotto:

  • l’assoggettamento a tassazione, in capo ai soggetti percipienti, della differenza tra il valore di mercato ed il corrispettivo annuo stabilito per la concessione in godimento di beni dell’impresa, ai soci o familiari dell’imprenditore. E’ stato quindi inserito, all’interno dell’art. 67 D.P.R. 917/1986, la lettera h-ter in base alla quale “costituiscono redditi diversi, la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo per la concessione in godimento dei beni impresa a soci o familiari dell’imprenditore”;

  • la non deducibilità dal reddito d’impresa dei costi relativi ai beni della società concessi in godimento a soci o familiari dell’imprenditore, per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato;

  • l’obbligo di effettuare una specifica comunicazione all’Anagrafe Tributaria, ad opera dell’impresa o dei soci o familiari, in cui elencare i beni concessi in godimento; i termini e le modalità di comunicazione sono state disciplinate da parte dell’Amministrazione Finanziaria con Provvedimento 16 novembre 2011, prot. n. 166485.

 

Per ciò che riguarda i soci, il provvedimento prevede un obbligo di comunicazione anche per i soci che detengono direttamente od indirettamente partecipazioni nell’impresa concedente, nonché:

  • i familiari dei soci;
  • soci e familiari dei soci di altre società del gruppo.

 

Appare quindi che l’obbligo di comunicazione riguardi una platea di soggetti più ampia rispetto a quelli che saranno concretamente assoggettati a tassazione.

Molti aspetti della disciplina restano ancora da chiarire, ad ogni buon conto rinviamo agli altri interventi già usciti. In questa sede esamineremo alcune vie di fuga per scongiurare l’applicazione della nuova disciplina.

 

 

2. Le prima via di fuga: uscire dal reddito di impresa

Il primo gruppo di soluzioni consiste nella fuoriuscita dal reddito di impresa. In questo caso, infatti, non trattandosi più di beni relativi ad una attività di impresa, la normativa non trova applicazione. Le strade percorribili sono:

  • l’assegnazione dei beni ai soci;
  • la trasformazione in società semplice;
  • il trasferimento della sede dell’amministrazione all’estero;
  • la disposizione delle partecipazioni in trust;
  • la trasformazione di società in trust.

 

2.1 L’assegnazione dei beni i soci

L’assegnazione dei beni ai soci è la prima strada che ci viene in mente ma è sicuramente la più onerosa. La fuoriuscita dei beni dal regime di impresa configura infatti il realizzo sia ai fini Iva che ai fini delle imposte dirette.

Sul punto è appena il caso di ricordare che l’art. 85 c. 2 del Tuir stabilisce che “si comprende inoltre tra i ricavi il valore normale dei beni di cui al comma 1 assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa”.

Sulla stessa scia, l’art. 86, c. 1, stabilisce che

“le plusvalenze dei beni relativi all’impresa, diversi da quelli indicati nel comma 1 dell’articolo 85 [quelli che generano ricavi], concorrono a formare il reddito:

c) se i beni vengono assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa”.

 

Per quanto concerne l’imposizione indiretta ed, in particolare, l’imposta sul valore aggiunto, è intervenuta più volte l’Amministrazione finanziaria da ultimo con la R.M. n. 191/E del 23 luglio 2009.

In linea generale, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, numero 6 del D.P.R. 633/1972 costituiscono cessioni di beni, e devono quindi essere assoggettate ad IVA,

“le assegnazioni fatte ai soci a qualsiasi titolo da società di ogni tipo e oggetto…”.

 

Tuttavia, con circolare n. 40 del 13 maggio 2002 e, successivamente, con risoluzione n. 194 del 17 giugno 2002 (che riguardava specificamente l’ipotesi di assegnazione al socio da parte di una società di beni immobili dalla stessa acquistati presso privati) l’Amministrazione finanziaria ha enunciato il principio secondo cui la disposizione sopra richiamata non si applica se l’assegnazione al socio ha ad oggetto beni per i quali non è stata detratta l’IVA all’atto dell’acquisto, e ciò anche se sugli stessi sono stati eseguiti interventi di manutenzione, riparazione, recupero, per i quali, invece, si è provveduto a detrarre la relativa imposta (sempreché i lavori di ampliamento non integrino la realizzazione di una nuova unità immobiliare né abbiano una consistenza tale da poter essere successivamente destinati a costituire una autonoma unità immobiliare).

In sostanza, l’assegnazione di beni al socio realizza un’ipotesi di destinazione a finalità estranee all’esercizio di impresa che deve essere ricondotta all’articolo 5, paragrafo 6 della VI Direttiva 77/388/CEE (ora articolo 16 della Direttiva 2006/112/CE), il quale – secondo l’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea (causa C-322/99 e C-323/99) – deve essere interpretato nel senso che un bene dell’impresa destinato all’uso privato dell’imprenditore o a finalità estranee all’impresa, non deve essere assoggettato ad IVA se tale bene non abbia consentito la deduzione dell’IVA in ragione del suo acquisto presso un soggetto privato.

Come conclude la R.M. 191/2009, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera d della Tariffa, parte prima, allegata al Testo Unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, alle assegnazione ai soci, associati o partecipanti non soggette all’imposta sul valore aggiunto trovano applicazione le stesse aliquote di cui alla lettera a del medesimo articolo. La lettera a fa riferimento all’art. 1 che menziona le classiche aliquote proporzionali.

 

2.2 La società semplice

Un’ulteriore via di fuga è rappresentata dalla trasformazione in società semplice. In questi casi il “passaggio” dei beni al nuovo soggetto che è scaturito dall’operazione stessa può dare luogo, ai fini Iva, all’ipotesi, soggetta a tassazione, di destinazione dei beni a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, qualora il nuovo soggetto non svolga attività d’impresa.

Si deve ricordare, infatti, come precisato dalla C.M. n. 112/E/1999, che

“l’assenza della qualifica imprenditoriale in capo alla società semplice, avente come oggetto esclusivo o principale la gestione di beni, comporta che le società commerciali che assumono tale configurazione civilistica anche ai fini fiscali attuano la cessazione dell’attività imprenditoriale e devono assoggettare i relativi trasferimenti ad Iva, a titolo di autoconsumo, ai sensi dell’art. 2, comma 2, n. 5), del D.P.R. n. 633 del 1972”.

Analoghe considerazioni valgono in relazione alla fiscalità diretta.

Sul punto si ricorda la Nota n. 28409 del 21 giugno 1996 della Dir.Reg. Emilia-Romagna dove è stato evidenziato come il venire meno della qualità di imprenditore, per effetto della trasformazione da società commerciale in società semplice, determina la realizzazione delle plusvalenze secondo le regole contenute nell’art. 54, c. 1, lett. d del Tuir [ora art. 86], e la loro attrazione a tassazione.

Sulla stessa scia si colloca anche la R.M. 150/2009 dove è stato chiarito che la scissione societaria di una società in nome collettivo a favore di una società semplice non è assistita dal principio di neutralità fiscale di cui all’attuale articolo 173 del Tuir, in quanto la norma presuppone l’appartenenza al “regime d’impresa” di tutti i soggetti coinvolti nell’operazione, atteso che, la “continuità dei valori fiscalmente riconosciuti”, assume un significato precipuo laddove il trasferimento dei beni avvenga nell’ambito del “mondo impresa”.

La scissione societaria deve, infatti, considerarsi un’operazione fiscalmente neutrale nel solo caso in cui sia la società scissa che la società beneficiaria svolgano attività d’impresa.

 

 

2.3 La società estera

La società estera rappresenta un’ulteriore via per uscire dal regime di impresa. Si deve ricordare, infatti, che le società estere sono tassate in Italia sulle diverse categorie reddituali come un privato.

Ebbene, se la società possiede in Italia solamente beni immobili o altri cespiti che non costituiscono di per sé azienda, la stessa non produrrà reddito di impresa in Italia in quanto manca la stabile organizzazione.

La creazione di una società estera può avvenire attraverso il trasferimento all’estero di una società italiana. Sul punto si segnala come l’art. 166 D.P.R. 917/1986 stabilisca che il trasferimento all’estero della residenza dei soggetti che esercitano imprese commerciali, che comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi, costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dell’azienda o del complesso aziendale, salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato.

L’art. 91, c. 1, D.L. 24.01.2012, n. 1, conv. con modificazioni, dalla L. 24.03.2012, n. 27 ha introdotto il comma 2-quater e 2-quinquies all’articolo 166 del Tuir stabilendo che, in recepimento della sentenza 29 novembre 2011, causa C-371-10, National Grid Indus BV, i soggetti che trasferiscono la residenza, ai fini delle imposte sui redditi, in Stati appartenenti all’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo1 possono richiedere la sospensione degli effetti del realizzo ivi previsto.

In sostanza, i plusvalori latenti non saranno più realizzati al momento del trasferimento all’estero della sede dell’amministrazione ma solo nella fase successiva della vendita.

 

2.4 Il trust

Un’ulteriore via percorribile è quella della disposizione delle partecipazioni in trust o della trasformazione della società in trust.

E’ appena il caso di ricordare che la struttura essenziale del trust vede la presenza di tre soggetti, non necessariamente persone diverse tra loro, ovvero:

  • il disponente (o “settlor”);

  • il “trustee”;

  • il beneficiario, o i beneficiari2.

 

L’effetto principale del trust è quello di segregare un dato patrimonio affinché lo stesso non possa più essere aggredito da terzi creditori, siano essi del disponente, del trustee o del/i beneficiario/i, salva la sussistenza di situazioni patologiche (i.e. la sottrazione da parte del disponente di massa patrimoniale ai propri creditori).

Generalmente il trust è istituito con finalità donatorie e successorie e il disponente, con l’istituzione del trust, mira a segregare e proteggere il proprio patrimonio e a gestire il passaggio generazionale in linea con le aspettative e le attitudini dei discendenti.

 

2.4.1 La disposizione delle partecipazioni in trust

La disposizione delle partecipazioni in un trust nazionale o internazionale risolve il problema della nuova disciplina in quanto il socio diviene il trustee; tuttavia, nel caso ipotizzato, si tratta di una proprietà ai fini della gestione e non anche ai fini del godimento. Egli non può fruire dei beni della società che verranno eventualmente utilizzati dal disponente o dai beneficiari del trust.

Queste considerazioni devono tuttavia essere coordinate con le indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate in sede di Telefisco 2012.

E’ stato chiesto come si deve comportare la società in presenza di:

  1. società fiduciaria socia e bene sociale concesso in godimento a persona fisica riferibile alla quota fiduciaria;

  2. Trust socio con godimento del bene al disponente.

 

L’Agenzia richiama il provvedimento n.166485 del 16/11/11 dell’Agenzia delle Entrate al punto 1.1, dove chiarisce che “I soggetti che esercitano attività di impresa, sia in forma individuale che collettiva, comunicano i dati anagrafici dei soci – comprese le persone fisiche che direttamente o indirettamente detengono partecipazioni nell’impresa concedente – o dei familiari dell’imprenditore che hanno ricevuto in godimento beni dell’impresa…”.

Si conclude che, nel caso prospettato, va comunicato come soggetto beneficiario il fiduciante ovvero il disponente, trattandosi nella sostanza di detenzione indiretta di quote.

Senza entrare nel merito del caso della fiduciaria dove le conclusioni sono peraltro condivisibili si evidenzia come nel caso del trust non si possa configurare una ipotesi di detenzione indiretta delle partecipazioni. Inoltre, la risposta fa riferimento alla comunicazione, altra cosa è invece l’ eventuale tassazione del valore normale della concessione in uso che non può che riguardare il socio.

La norma stabilisce, infatti, che “la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo concorre alla formazione del reddito imponibile del socio o familiare utilizzatore dell’imprenditore individuale ai sensi dell’art.67 co. 1, lettera h-ter), del Tuir”.

Come evidenziato, il riferimento è fatto quindi esclusivamente al socio che, in ipotesi di disposizione delle quote in trust è il trustee e non il disponente che, mediante l’atto, si è spossessato dei beni in esame.

 

 

2.4.2 La trasformazione di società in trust

Un’ulteriore ipotesi è rappresentata dalla trasformazione della società in trust. Prima della riforma del diritto societario di cui al D.lgs. 17.01.2003 n. 6, il codice civile disciplinava solamente alcune tipologie specifiche di trasformazioni (proprie delle società) negli articoli 2498 – 2500 del codice civile.

La citata riforma, invece, ha introdotto un istituto innovativo, quello della trasformazione eterogenea, che ha ampliato la base normativa ora regolata dagli articoli 2498 – 2500-novies del codice civile.

La trasformazione eterogenea (disciplinata dagli art. 2500 septies e octies del c.c.) consente la trasformazione da società di capitali in consorzi, società consortili, società cooperative, comunioni di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni e viceversa3.

Si tratta di una trasformazione in senso tecnico con conseguente continuità dei rapporti giuridici, sostanziali e processuali di cui all’art. 2498 c.c..

La dottrina maggioritaria sostiene che le ipotesi espressamente indicate dal legislatore nell’art. 2500-septies del c.c. non siano esaustive, ma che al contrario sia rimessa all’autonomia privata l’individuazione di ulteriori fattispecie di trasformazione eterogenea nel rispetto della ratio dell’istituto.

Inoltre, anche il Consiglio Nazionale del Notariato4 aderisce all’interpretazione data, riconoscendo l’ammissibilità della trasformazione eterogenea in tutta una serie di ambiti di applicazione non previsti dal codice civile.

In sostanza, nonostante non esiste un’espressa previsione normativa che disciplini la trasformazione di una società in un trust, la dottrina è concorde nel far rientrare la trasformazione in esame nell’alveo delle trasformazioni eterogenee.

Tuttavia, nel caso di trasformazione di una società di capitali in un trust non commerciale operano le disposizioni dell’art. 171 del Tuir secondo il quale i beni della società si considerano realizzati in base al valore normale, salvo che non siano confluiti nell’azienda o complesso aziendale dell’ente.

 

 

3. La seconda via di fuga: la scelta del socio giusto

Abbiamo avuto modo di illustrare come una prima soluzione per gestire il nuovo regime fiscale dei beni sociali utilizzati dai soci possa essere quella di fuoriuscire dal reddito di impresa. Le soluzioni, come illustrato, sono molteplici anche se non tutte indolori sotto il profilo fiscale. Una strada percorribile, un po’ più casereccia, può essere quella di attribuire il reddito a soggetti opportunamente scelti per minimizzare il carico fiscale.

 

3.1 Il socio con perdite fiscali

Può accadere che una persona fisica sia titolare di un reddito di impresa o di lavoro autonomo che esce in perdita. E’ noto, infatti, che le perdite di impresa in contabilità semplificata (quadro RG) o di lavoro autonomo (quadro RE) sono compensabili con redditi di diversa natura tra cui i redditi diversi. Alla luce di queste considerazioni si potrebbe valutare di far entrare nella compagine sociale una persona fisica con queste perdite in modo da attribuirgli il reddito diverso previsto dalla nuova lettera h ter senza aggravi impositivi.

Ovviamente, bisogna prestare la massima attenzione a due aspetti:

  • innanzitutto l’ingresso nella compagine sociale porta a conseguenze di tipo civilistico quali la partecipazione agli utili o poteri di controllo nella società5;

  • affermare che il bene è a sua disposizione significa poi indirettamente sostenere che egli deve anche avere una capacità di reddito adeguata per mantenere quei beni.

 

3.2 Il socio con aliquote Irpef modeste

Questa strada rappresenta una variante della precedente. Anche se non troviamo il tizio con le perdite compensabili, possiamo comunque selezionare quello con la tassazione irpef più modesta, magari per via di importanti oneri detraibili (spese di ristrutturazione, detrazioni per il risparmio energetico eccetera).

 

3.3 Il familiare del socio

Ricordiamo, infine, che al di là dell’ampliamento della platea dei soggetti interessati alla comunicazione, il dato normativo appare chiaro nell’indicare che il presupposto impositivo dell’art. 67 lettera h ter riguarda solamente i soci e i familiari dell’imprenditore individuale e non anche i familiari dei soci.

Si potrebbe quindi individuare i coniugi dei soci quali fruitori dei beni sociali;anche in questo caso si devono tuttavia valutare attentamente le conseguenze in termini di redditometro.

 

Vie di uscita: soluzioni a confronto

Soluzione

Fiscalità

Assegnazione dei beni ai soci

Realizzativa

Trasformazione in società semplice

Realizzativa

Trasferimento della sede dell’amministrazione all’estero

Neutra

disposizione delle partecipazioni in trust

Neutra relativamente ai beni ma l’atto dispositivo in trust sconta l’imposta di donazione

Trasformazione di società in trust

Realizzativa

 

5 aprile 2012

Ennio Vial

 

NOTE

1 Si fa riferimento agli Stati inclusi nella lista di cui al decreto emanato ai sensi dell’articolo 168-bis, comma 1, coi quali l’Italia abbia stipulato un accordo sulla reciproca assistenza in materia di riscossione dei crediti tributari comparabile a quella assicurata dalla direttiva 2010/24/UE del Consiglio, del 16 marzo 2010, in alternativa a quanto stabilito al comma 1.

2 Si precisa come i beneficiari del trust possano essere beneficiari del reddito e/o beneficiari del fondo in trust; uno stesso soggetto può appartenere ad entrambe le categorie.

I beneficiari del reddito sono quei soggetti a cui viene attribuito il reddito generato nel corso della vita del trust. I beneficiari finali del trust, invece, sono i soggetti ai quali viene attribuito il fondo in trust al termine della vita del trust.

3 Anche in assenza di una esplicita previsione normativa si ritiene ammissibile la trasformazione eterogenea di o in società di persone degli enti indicati.

4 Studio n. 32-2010/I “La trasformazione degli enti no profit”, di Antonio Ruotolo, approvato dalla Commissione Studi di Impresa il 15 aprile 2010.

5 E’ banale segnalare come un socio di una snc potrebbe far fallire tutti gli altri pur disponendo di una quota esigua.