Curatore del fallimento e custode dell'azienda: compensi separati

Il curatore fallimentare matura un compenso separato quando è nominato anche custode dell’azienda sottoposta a sequestro giudiziario. Così si è espressa la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 24959, del 25 novembre 2011.

La sentenza di Cassazione n. 24959, del 25/11/2011.

il compenso del curatore fallimentareIl curatore fallimentare deve essere pagato a parte quando è nominato custode dell’azienda sottoposta a sequestro giudiziario: il professionista, infatti, non può essere identificato con il fallimento di cui pure ha la rappresentanza processuale, quindi risulta necessaria una separata remunerazione per ogni attività svolta al di fuori delle funzioni che gli competono come amministratore del patrimonio del creditore sequestrante.

La Corte di Cassazione, con l’interessante pronuncia numero 24959, del 25 novembre 2011, ha sostenuto il seguente principio di diritto:

il curatore fallimentare deve essere pagato a parte quando è nominato custode dell’azienda sottoposta a sequestro giudiziario: il professionista, infatti, non può essere identificato con il Fallimento di cui pure ha la rappresentanza processuale, quindi, risulta necessaria una separata remunerazione per ogni attività svolta al di fuori delle funzioni che gli competono come amministratore del patrimonio del creditore sequestrante.

Con tale pronuncia, la Prima Sezione Civile ha riconosciuto la fondatezza delle pretese di una professionista che chiedeva ragione dell’indennità che le spettava quale custode di alcuni beni sottoposti a sequestro giudiziario disposto a istanza del fallimento.

Ma andiamo per ordine, partendo da quelli che sono stati i fatti di causa.

Si rammenta che il curatore è nominato con la sentenza di fallimento, o in caso di sostituzione o di revoca, con decreto del tribunale.

Inoltre, possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore:

  • avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti;
  • studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse abbiano i requisiti professionali richiesti dalla legge. In tale caso, all’atto dell’accettazione dell’incarico, deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura;
  • coloro che  abbiano   svolto   funzioni   di   amministrazione,   direzione   e controllo in società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di fallimento.

Non possono, invece, essere nominati curatori:

  • il coniuge;
  • i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito;
  • i creditori di questo;
  • chi ha concorso al dissesto dell’impresa durante i due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento;
  • chiunque si trovi in conflitto di interessi con il

Quanto all’accettazione dell’incarico di curatore del fallimento, l’art. 29 della L.Fall. specifica che il curatore, entro i due giorni successivi alla partecipazione della sua nomina, deve far pervenire al giudice delegato la propria accettazione. Se il curatore non osserva questo obbligo, il tribunale, in camera di consiglio, provvede d’urgenza alla nomina di altro curatore.

Mentre il successivo art. 30 riconosce la qualità di pubblico ufficiale al curatore, per quanto attiene all’esercizio delle sue funzioni.

Il fatto

Il Tribunale di Roma respingeva la richiesta della ricorrente, di professione ragioniera, di liquidazione dell’indennità dovutele per l’attività prestata quale custode dell’azienda Alfa S.p.a., sottoposta a sequestro giudiziario a istanza del fallimento, Beta S.r.l. di cui all’epoca del sequestro la medesima era curatrice.

E, tanto, poiché il giudice del merito aveva affermato che il diritto al compenso era escluso, posto che era stata nominata custode una delle parti in causa.

L’opposizione proposta dalla professionista contro il decreto, rivolta, ai sensi dell’art. 170 DPR n. 115/02 (T.U.G.S.), al Presidente del Tribunale, è stata rigettata dal giudice delegato per il merito, sulla precisione che l’attività di custode svolta dall’istante avrebbe dovuto essere valutata all’atto della liquidazione del compenso che le sarebbe spettato quale curatrice.

A questo punto, la professionista ricorreva ai Supremi Giudici.

CAUSE DEL RIGETTO NEL MERITO

Il Tribunale di Roma negava il diritto all’indennità per l’attività prestata quale custode: Þ perché il diritto al compenso sarebbe stato escluso dal fatto che la professionista era anche parte in causa, poiché nominata anche curatrice del fallimento
L’opposizione proposta contro il decreto del Tribunale, rivolta, ai sensi dell’art. 170 DPR n. 115/02 (T.U.G.S.) veniva rigettata: Þ perché l’attività di custode svolta dall’istante avrebbe dovuto essere valutata all’atto della liquidazione del compenso che le sarebbe spettato quale curatrice

Si rammenta che il Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n. 115, meglio noto come TUGS, acronimo di “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”, all’art. 170, (rubricato: Opposizione al decreto di pagamento) prevede che:

  1. avverso il decreto di pagamento emesso a favore dell’ausiliario del magistrato, del custode e delle imprese private cui è affidato l’incarico di demolizione e riduzione in pristino, il beneficiario e le parti processuali, compreso il pubblico ministero, possono proporre opposizione, entro venti giorni dall’avvenuta comunicazione, al presidente dell’ufficio giudiziario competente;
  2. il processo è quello speciale previsto per gli onorari di avvocato e l’ufficio giudiziario procede in composizione monocratica;
  3. il magistrato può, su istanza del beneficiario e delle parti processuali compreso il pubblico ministero e quando ricorrono gravi motivi, sospendere l’esecuzione provvisoria del decreto con ordinanza non impugnabile e può chiedere a chi ha provveduto alla liquidazione, o a chi li detiene, gli atti, i documenti e le informazioni necessari ai fini della decisione.

Il procedimento che si instaura a seguito dell’opposizione – per espressa previsione del comma 2 dell’art. 170 – è quello speciale regolato dall’art. 29 della n. 794/42, che si conclude con ordinanza non altrimenti impugnabile se non per ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost.

Le doglianze

La professionista, nella specie, affidava il proprio ricorso a due motivi; il secondo dei quali dichiarato assorbito.

In tale sede, quindi, ci soffermeremo ad analizzare solo le ragioni portate dalla ricorrente a sostegno del primo motivo e i rilievi formulati a riguardo dalla Corte.

La censura

In particolare, la ricorrente, con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 522 e 676 c.p.c., nonché vizio di motivazione, lamentava che il giudice del merito aveva escluso il suo diritto al compenso:

🠆 in quanto l’aveva identificata con una delle parti in causa, per aver ella rivestito la qualità di curatrice del fallimento richiedente il sequestro.

A tal proposito, osservava che il curatore fallimentare, quale organo tecnico che collabora con il giudice non può essere definito:

  • né un rappresentante dei creditori;
  • né, tantomeno, un rappresentante del fallito;
  • e non può essere assimilato all’organo di amministrazione della società.

Deduceva, inoltre, di aver esercitato l’attività di custode al di fuori dell’ambito della procedura concorsuale, essendo stata nominata: da un giudice terzo a titolo personale e non nella sua qualità di curatrice del fallimento della Beta

Sarebbe, pertanto, risultato del tutto ingiustificato ricomprendere il compenso dovutole per tale attività in quello che le sarebbe stato liquidato per l’opera prestata in favore del fallimento.

Motivo fondato

Ebbene, ad avviso della Cassazione, il motivo è risultato fondato, pertanto meritevole di accoglimento.

La decisione

In particolare, in riferimento al motivo esposto dalla professionista gli Ermellini hanno rilevato che l’art. 522, II comma c.p.c. stabilisce che:

  • nessun compenso può attribuirsi al custode se questi è una delle persone indicate nel I comma dell’art. 521 (il creditore, il suo coniuge, il debitore o una delle persone della sua famiglia con lui conviventi).

Inoltre, la citata disposizione, dettata in tema di custodia di beni mobili pignorati, è stata ritenuta applicabile anche alla parte che sia nominata custode di beni sottoposti a sequestro giudiziario, in ragione nel fatto che:

  • per un verso, risulterebbe incongruo attribuire un compenso al contendente vittorioso che abbia svolto l’attività di custodia, il quale, in definitiva, ha gestito il bene in favore di se stesso;
  • per l’altro, non si può riconoscere al contendente soccombente il compenso per un’attività resa necessaria da una sua pretesa, o da una sua resistenza in giudizio, che sono risultate prive di fondamento (Cass. 4870/97).

In sintesi, dal combinato disposto degli artt. 521 e 522 Codice di procedura civile si evince che non possono essere nominati custode e non hanno diritto al compenso:

  • il creditore o il suo coniuge senza il consenso del debitore;
  • il debitore o le persone della sua famiglia che convivono con lui senza il consenso del creditore

Inoltre, la giurisprudenza della Cassazione ha dato un’interpretazione estensiva delle citate disposizioni normative, affermando che non ha, altresì, diritto al compenso:

  • la parte sostanziale nominata custode di beni sottoposti a sequestro giudiziario.

Ma, attenzione, perché ad avviso dei Supremi Giudici, il principio appena enunciato non può estendersi al di là del suo significato letterale.

Quando si matura il diritto al compenso

Ne consegue che il creditore e il debitore, ovvero le parti sostanziali del giudizio, qualora nominati custodi del bene sequestrato non avranno diritto al compenso qualora si siano direttamente avvantaggiati dell’attività svolta o perché vi hanno dato essi stessi causa.

L’esclusione, tuttavia, non opera per il curatore, il quale per espressa disposizione legislativa (art. 31 L.F.) è un mero amministratore del patrimonio fallimentare, soggetto alla vigilanza (e in precedenza «alla direzione») del giudice delegato. Dunque, non parte sostanziale.

 

L’art. 31 (Gestione della procedura) chiarisce che:

“il curatore ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite.

Egli non può stare in giudizio senza l’autorizzazione del giudice delegato, salvo che in materia di contestazioni e di tardive dichiarazioni di crediti e di diritti di terzi sui beni acquisiti al fallimento, e salvo che nei procedimenti promossi per impugnare atti del giudice delegato o del tribunale e in ogni altro caso in cui non occorra ministero di difensore.

Il curatore non può assumere la veste di avvocato nei giudizi che riguardano il fallimento”.

Curatore organo ausiliare del Giudice

Il curatore, infatti,

  • non rappresenta né sostituisce i creditori o il fallito, ma assume la posizione di organo ausiliare dell’amministrazione della giustizia, ovvero di soggetto imparziale che opera nell’interesse generale, qualificabile come incaricato di pubbliche funzioni (art. 30 F.).

Inoltre:

  • tra il curatore e i creditori concorsuali difetta un rapporto di rappresentanza organica né il primo può ritenersi fornito di capacità processuale generale e autonoma rispetto alla massa.

Diritto a doppio compenso: uno per ognuno dei due incarichi definiti

Alla luce delle considerazione appena riportate, la Cassazione ha, quindi, negato che il curatore possa essere identificato con la parte (il Fallimento) di cui ha la rappresentanza processuale.

Pertanto qualora il curatore venga nominato custode dal giudice del sequestro, l’attività da lui svolta in virtù di tale qualità non può essere ricondotta nell’ambito delle funzioni che gli competono quale amministratore del patrimonio del creditore sequestrante e deve essere separatamente remunerata.

Curatore fallimentare nominato anche Custode
Principio Motivo
Al custode, quand’anche sia stato curatore del fallimento, spetta un separato compenso per tale incarico.

In altri termini:

·        l’indennità per l’incarico di custode non viene assorbita da quella prevista per avere il professionista svolto anche il ruolo di curatore del fallimento

In una simile ipotesi, non trova applicazione l’art. 522, II comma c.p.c., in quanto:

·        il curatore riveste il ruolo di organo ausiliare del giudice, e, come tale, è soggetto imparziale che non trae alcun vantaggio diretto dall’attività svolta;

·        il curatore, pertanto, non può essere indentificato con una delle parti in causa

Leggi anche: Il compenso del curatore deve essere proporzionato all’importanza del fallimento

16 marzo 2012

Antonio Gigliotti

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