Compravendita immobiliare: problematiche fiscali

spesso e volentieri il Fisco, ai fini del calcolo del valore normale dell’immobile, si riferisce alle quotazioni O.M.I., al valore attribuito all’immobile dalle perizie di stima redatte dagli istituti bancari all’atto della concessione del mutuo, o ancora agli annunci immobiliari da cui si desumono le quotazioni di mercato; non è detto che tale valore sia veritiero

In caso di compravendite immobiliari, va annullato l’avviso di accertamento che si basa sulla presunzione semplice costituita dalla differenza fra prezzo e importo del mutuo, se questa non è confermata dalle dichiarazioni rese dagli acquirenti.

Tale è la massima della sentenza n. 75/20/2011, emessa dalla CTR dell’Emilia-Romagna.

 

Premessa

In caso di compravendite immobiliari, va annullato l’avviso di accertamento che si basa sulla presunzione semplice costituita dalla differenza fra prezzo e importo del mutuo, se questa non è confermata dalle dichiarazioni rese dagli acquirenti.

E’ questa la massima della sentenza n. 75/20/2011, emessa dalla CTR dell’Emilia-Romagna, la quale ha affrontato una problematica, interessante quanto diffusa, attinente all’accertamento del valore degli immobili venduti, da parte dell’amministrazione, sulla scorta dell’importo dei mutui fondiari concessi dalle banche.

Tale sentenza, a ben vedere, appare perfettamente in linea con quello che è l’orientamento che più volte è stato espresso in materia, da parte della giurisprudenza di merito, e di recente anche dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (sentenza n. 96/8/2011).

 

La vicenda

Fatto

Nella specie, l’Agenzia delle Entrate di Guastalla appellava una sentenza della CTP di Reggio Emilia che accoglieva, previa loro riunione, i ricorsi presentati da una S.n.c. contro gli avvisi accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate per rettificare le dichiarazioni della Società ai fini IVA e IRAP relative agli anni 2003 – 2004 e 2005.

 

Motivi d’appello

L’Ufficio proponeva due motivi di impugnazione:

  • la carenza di motivazione della sentenza impugnata e falsa applicazione dell’art. 39 del DPR n° 600/1973 e dell’art. 54 del DPR 633/1972;

  • l’utilizzabilità dei dati acquisiti irritualmente “per la superiore esigenza di realizzare la giusta imposizione”.

 

In particolare, in relazione al primo motivo l’Agenzia rilevava che:

  • l’accertamento era fondato sui dati dell’Osservatorio immobiliare;

  • sulle valutazioni dei prezzi di altri immobili situati nella stessa zona;

  • sul confronto fra il prezzo dichiarato a rogito e l’importo del mutuo, dati disponibili per effetto della registrazione degli atti, anche prescindendo dagli accertamenti bancari.

 

Inoltre, per alcuni atti, l’accertamento era supportato anche dalle testimonianze degli acquirenti che avevano escluso l’esistenza di spese per la ristrutturazione o il completamento degli immobili acquistati.

Quanto al secondo motivo, invece, l’Ufficio riteneva che la teoria dell’invalidità delle prove acquisite in forma non rituale era applicabile solo agli atti amministrativi in senso stretto, mentre per gli accertamenti tributari tali principi erano superati dalla tutela di altri valori giuridicamente rilevanti.

Spesso e volentieri il Fisco, ai fini del calcolo del valore normale dell’immobile, si riferisce alle quotazioni O.m.i., al valore attribuito all’immobile dalle perizie di stima redatte dagli istituti bancari all’atto della concessione del mutuo, o ancora agli annunci immobiliari da cui si desumono le quotazioni di mercato.

 

Motivi della decisione

Argomentazioni della CTR

La CTR dell’Emilia Romagna, in primis, ha esaminato la questione inerente la validità dei dati acquisiti non attraverso la procedura di indagini finanziarie, ma mediante questionari, chiarendo che in materia tributaria non vige il principio della inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita, come invece è sancito nel Codice di procedura penale (Cassazione, sentenza n. 4987/2003). Pertanto, sono validi e utilizzabili i dati finanziari acquisiti anche attraverso i questionari.

 

Mera presunzione semplice

Tuttavia, nel caso in esame, per come accertato dalla CTR i risultati delle indagini hanno fatto emergere uno scostamento tra prezzo indicato in fattura e mutuo erogato dalla banca che configura una presunzione semplice dell’esistenza di una differenza fra il prezzo effettivamente pagato e quello indicato in fattura; non esistendo una norma che assegni a tale scostamento il valore di presunzione legale di un prezzo diverso da quello indicato in fattura.

 

Esigenze degli acquirenti

Inoltre, le indagini effettuate presso gli acquirenti hanno giustificato il maggior importo del mutuo con esigenze proprie degli acquirenti costituite dalla sostituzione degli infissi standard con altri di qualità superiore, oppure con l’esigenza di ammobiliare l’appartamento oppure infine con l’esigenza di installare un impianto di condizionamento.

 

Pertanto, la presunzione semplice costituita dalla differenza fra prezzo ed importo del mutuo non ha trovato conferma nelle dichiarazioni rese da parte degli acquirenti.

 

Principio di diritto

Circostanza, questa, che ha portato la CTR a giungere alla seguente conclusione:

  • quando la presunzione semplice costituita dalla differenza fra prezzo e importo del mutuo non è confermata dalle dichiarazioni rese dagli acquirenti, non esiste valida prova dell’evasione e l’accertamento deve essere annullato; viceversa, quando l’elemento indiziario costituito dal divario è corroborata dalle dichiarazioni dell’acquirente che confermano il maggior prezzo esiste la prova dell’evasione fiscale a sostegno dei valori accertati”.

 

In buona sostanza, la semplice differenza tra il mutuo erogato e il valore di vendita dichiarato non è da sola sufficiente a provare la sottofatturazione dell’immobile, occorrendo altre prove e indizi tali da far sussistere le presunzioni «gravi, precise e concordanti».

 

Già la CTR della Lombardia, con la sentenza n° 96/8/2011, aveva avuto modo di chiarire che il valore del mutuo contratto per l’acquisto di un immobile, superiore al prezzo di compravendita, e il maggior valore degli immobili dedotto dal Fisco sulla base dei valori dell’Osservatorio del mercato immobiliare (O.m.i.), non rappresentano elementi di per se stessi sufficienti alla rettifica della dichiarazione dell’impresa venditrice, se non vi sono altre prove.

Ma l’O.m.i., stando sempre ai giudici di merito, non può ritenersi utilizzabile neanche per rettificare il valore dei terreni edificabili (CTP Milano, sentenza n. 269/12/2009).

 

Rilevanza della pronuncia

A ben vedere, la sentenza in commento – che è intervenuta in merito agli automatismi relativi alle rettifiche di valore nella compravendita degli immobili – appare di particolare importanza, in quanto censura (per l’ennesima volta) quella che è una prassi oramai consolidata presso molti Uffici finanziari, ossia l’accertamento di maggiori ricavi ed IVA in capo all’impresa venditrice, qualora la somma richiesta dall’acquirente si riveli, in concreto, superiore a quella di vendita dell’immobile.

 

Uffici che così operando, dimostrano di non volersi affatto adeguare ad un quadro normativo del tutto diverso rispetto al passato e per il quale il valore di compravendita inferiore a quello determinato attraverso la banca dati O.m.i. non rappresenta più una presunzione grave, precisa e concordante, idonea a sorreggere la rettifica di maggior valore di un immobile che sia stato oggetto di una compravendita.

 

Abrogazioni delle presunzioni

E, tanto, in forza dell’abrogazione delle presunzioni a suo tempo previste dal D.L. 223/2006 (c.d. “Visco – Bersani”) sulla vendita di immobili (valore O.m.i. e valore del mutuo di acquisto).

A questo punto, non resta che aspettare che sia la Cassazione a pronunciarsi dopo l’abolizione del valore di presunzione legale all’O.m.i..

 

5 dicembre 2011

Antonio Gigliotti