In questa ultima parte analizziamo le problematiche della riforma delle Commissioni Tributarie che rischiano la paralisi lavorativa.
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Ti suggeriamo di consultare i nostri recenti approfondimenti in tema di: Riforma della Giustizia Tributaria e Processo Tributario.
Le Commissioni Tributarie non devono essere paralizzate
Le Commissioni tributarie non devono fare cassa ma risolvere con competenza, equilibrio e serenità, senza pregiudizi, le controversie che insorgono tra il fisco ed i contribuenti, non solo nel rispetto delle norme ma anche sulla corretta interpretazione giuridica delle stesse.
Il concetto di cui sopra è logico e naturale, in quanto un organo giurisdizionale (e tali sono le Commissioni tributarie) non solo deve essere, ma anche ‘apparire’, terzo ed imparzialenella definizione delle controversie tributarie e non ci deve essere alcun sospetto che le sentenze debbano tendere a fare cassa, nell’unico interesse del fisco, che è una delle parti in causa.
Eppure, questi elementari e chiari concetti, oggi, sono stati totalmente messi in discussione con la recente manovra economica che, tra le varie disposizioni, vuole riordinare (peraltro parzialmente) la giustizia tributaria.
La suddetta riforma mette seriamente in pericolo i principi di autonomia ed indipendenza della Magistratura tributaria e ne travolge l’attuale assetto in modo irrazionale ed incostituzionale.
In definitiva, la suddetta manovra vuole rafforzare le cause di incompatibilità dei giudici tributari nonché incrementare notevolmente la presenza nelle Commissioni tributarie regionali di giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili ovvero tra gli Avvocati dello Stato a riposo (art. 39 D.L. n. 98/2011).
Di conseguenza, il legislatore, al fine di assicurare una maggiore efficienza del sistema della giustizia tributaria, garantendo altresì imparzialità (!) e terzietà (!) del corpo giudicante, ha disposto che rientrano tra le cause assolute di incompatibilità ai sensi dell’art. 8 D.Lgs n. 545 del 31 dicembre 1992:
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le iscrizioni in albi professionali, elenchi e ruoli indicati nell’art. 12 del D.Lgs n. 546 del 31 dicembre 1992, nonché il personale dipendente di cui al succitato art. 12; ciò indipendentemente dalla preventiva indagine sull’attività esercitata in materia fiscale (con possibili future eccezioni di incostituzionalità per irragionevolezza della norma, ai sensi dell’art. 3 della Costituzione);
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l’esercizio in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione, della consulenza tributaria, della tenuta delle scritture contabili e della redazione dei bilanci, nonché l’attività di consulenza, assistenza o di rappresentanza, a qualsiasi titolo e anche nelle controversie di carattere tributario, di contribuenti singoli o associazioni di contribuenti, di società di riscossione dei tributi o di altri enti impositori;
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i rapporti di coniugio, di convivenza (con quali prove?), di parentela fino al terzo grado o di affinità in primo grado di coloro che sono iscritti in albi professionali (vedi n. 1) ed esercitano le attività individuate al n. 2 nelle Regioni dove hanno sede le Commissioni tributarie provinciali (per i giudici di primo grado) e le Commissioni tributarie regionali (per i giudici di appello).
I giudici tributari che alla data del 06-07-2011 versano nelle condizioni di incompatibilità devono comunicare la cessazione delle cause di incompatibilità entro il 31 dicembre 2011 al Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, nonché alla Direzione della giustizia tributaria del Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze.
In caso di mancata rimozione nel termine predetto delle cause di incompatibilità, i giudici tributari decadono automaticamente, con paralisi assoluta delle Commissioni tributarie.
Infine, per completare il riordino (parziale) della giustizia tributaria, il legislatore ha previsto:
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un concorso per 960 posti presso le Commissioni tributarie, riservato, però, ai soli magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili, in servizio o a riposo, ed agli avvocati e procuratori dello Stato a riposo; tutti i suddetti soggetti, però, non devono prestare già servizio presso le predette Commissioni tributarie;
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i compensi corrisposti ai membri delle Commissioni tributarie entro il periodo d’imposta successivo a quello di riferimento si intendono concorrere alla formazione del reddito imponibile, ai sensi dell’art. 11 del T.U.I.R. (DPR n. 917 del 22 dicembre 1986), e non saranno più tassati separatamente.
A questo punto, l’opera di smantellamento e paralisi delle Commissioni tributarie è stato completato, così come di seguito esposto.
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Tutti i professionisti iscritti agli Albi vengono categoricamente esclusi, con grave perdita delle professionalità giuridiche ed economiche necessarie per decidere, con equilibrio e competenza, delicate e complesse questioni fiscali (con possibili vizi di incostituzionalità già segnalati).
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Rischiano tutti gli altri componenti che hanno coniugi, conviventi, affini e parenti nella Regione (o Province e Regioni confinanti).
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I compensi, già miseri (euro 25 a sentenza depositata!), si riducono ulteriormente, perché non più assoggettati a tassazione separata; il compenso medio mensile dei giudici delle CTP è pari a 655 euro; molto inferiore l’importo medio mensile percepito nelle CTR, pari a 284 euro.
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Entrano a far parte delle Commissioni tributarie gli avvocati dello Stato a riposo, oltre ai magistrati contabili; in questo caso, invece, il legislatore ignora i conflitti di interesse, in quanto agli avvocati dello Stato, in particolare, è affidata la difesa dell’Agenzia delle entrate.
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Continuano a far parte delle Commissioni tributarie i magistrati militari che, di certo, non hanno una competenza professionale in campo fiscale superiore a quella degli avvocati e dei dottori commercialisti che, invece, il legislatore ha voluto espellere senza alcuna motivata giustificazione.
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Possono far parte delle Commissioni tributarie gli ispettori tributari di cui alla Legge n. 146 del 24 aprile 1980 (ciò a seguito dell’abrogazione della lettera f dell’art. 8 D.Lgs. n. 546 cit.); per assurdo, quindi, i super-ispettori del fisco possono diventare giudici tributari, ignorando il legislatore totalmente i criteri di terzietà ed imparzialità.
Infatti, gli ispettori tributari sono alle dirette dipendenze del Ministero dell’economia e delle finanze (art. 9 L. n. 146 cit.) e potevano persino eseguire, in via straordinaria, verifiche fiscali (art. 9, c. 1, lett. b e c, cit.); in questo caso, anche l’apparenza della terzietà ed imparzialità va a farsi benedire.
In sostanza, la riserva di posti a favore di soggetti incardinati nell’Amministrazione, come gli avvocati dello Stato e gli ispettori del Fisco, appanna l’immagine del giudice tributario anche solo sotto il profilo dell’apparenza, in quanto rischia di sembrare agli occhi dei contribuenti condizionato nelle sue decisioni.
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In definitiva, con le attuali modifiche, potremmo avere collegi giudicanti composti da (elencazione non esaustiva):
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Magistrati militari;
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Magistrati contabili;
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Avvocati dello Stato a riposo;
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Ispettori tributari;
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Casalinghe con la laurea in giurisprudenza o in economia e commercio conseguita da almeno due anni;
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Ufficiali della Guardia di Finanza cessati dalla posizione di servizio permanente effettivo prestato per almeno dieci anni;
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Pensionati;
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Imprenditori;
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Agenti di assicurazioni;
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Commercianti;
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Artigiani;
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Docenti scolastici;
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Magistrati onorari;
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Giudici di pace.
Bisogna tener conto che, attualmente, la composizione delle C.T. è del 23,9% di magistrati togati e del 76,1% di giudici non togati.
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Infine, nelle Commissioni tributarie regionali i posti da conferire saranno attribuiti in modo da assicurare progressivamente la presenza in tali Commissioni di due terzi dei giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari e contabili ovvero gli avvocati dello Stato a riposo.
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Di conseguenza, su un totale di 3.731 giudici tributari al 31-12-2010, circa 3.000 giudici sono a rischio di decadenza, con la possibilità (se non certezza) di una totale paralisi della giustizia tributaria per molti anni (anche perché i 960 posti a concorso sono insufficienti a compensare le perdite). Oltretutto, in base a quanto previsto dal Decreto Ministeriale dell’11 aprile 2008, l’organico dei giudici tributari dovrebbe essere pari a 4.668.
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La paralisi delle Commissioni tributarie coincide, peraltro, con l’entrata in vigore, dall’01-10-2011, delle norme sugli accertamenti esecutivi, dove la posizione del fisco è di fatto prevalente rispetto alla posizione del contribuente, stante le inevitabili difficoltà che esso incontrerà a causa dell’impossibilità di vedere trattata l’istanza di sospensione nel breve termine di 180 giorni previsto dalla norma, a seguito della conversione in legge del Decreto Sviluppo n. 70 del 13-05-2011 (vedi lett. ‘’I’’).
La giustizia civile è affidata in gran parte a professionisti per i quali vige la sola incompatibilità di tipo territoriale.
Non si vede perché per il giudice tributario debbano valere regole diverse e più severe di quelle di qualsiasi altra magistratura.
Col rischio che in futuro la giustizia tributaria sia amministrata da chi di ‘’professione’’ fa la casalinga, in quanto laureata in giurisprudenza o in economia ha tutti i titoli per fare il giudice tributario (art. 4, c. 1, lett.i, D.Lgs. n. 545 cit.).
Oggi, invece, serve una giurisdizione tributaria terza ed imparziale, che sappia risolvere e rasserenare le situazioni fiscali più complesse e spigolose, con competenza ed equilibrio.
Appunto per questo è da criticare e contestare in toto l’attuale intervento legislativo, peraltro adottato con la forma del decreto legge senza che ci siano le condizioni di necessità ed urgenza (art. 77 c. 2 Cost.).
E’ auspicabile, invece, che il legislatore, nell’ambito della generale riforma fiscale, con legge delega riformi totalmente la giustizia tributaria (non un semplice parziale ed ingiustificato riordino) prevedendo i seguenti, necessari principi:
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dipendenza dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e non più dal Ministero dell’economia e delle finanze, che è una delle parti in causa;
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parità assoluta tra le parti in causa, senza limitazioni nella fase istruttoria, con la possibilità di citare i testimoni e fare i giuramenti;
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possibilità di chiedere le sospensive e le conciliazioni anche in grado di appello e di Cassazione;
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di conseguenza, tenuto conto che il processo tributario diventa un ‘’vero’’ processo (come quello civile, penale ed amministrativo), necessità di reclutare giudici tributari a tempo pieno, con competenza qualificata, pagati dignitosamente anche per le sospensive (dato che è previsto il pagamento di un contributo unificato), senza alcun collegamento funzionale col Ministero dell’economia e delle finanze.
In definitiva, le suddette disposizioni di riordino mettono seriamente a rischio i principi di autonomia ed indipendenza della Giustizia tributaria, che sono principi assoluti, non subordinati alla materia su cui il giudice è chiamato a pronunciarsi.
Oltretutto, i tempi sono maturi per il definitivo riconoscimento costituzionale della Magistratura tributaria, che opera esclusivamente nell’interesse dello Stato e del cittadino contribuente.
In Germania, la giurisdizione tributaria è costituzionalmente riconosciuta e garantita alla stregua di quella civile, penale o amministrativa.
Per le questioni fiscali è prevista la competenza di una sezione della magistratura ordinaria con specifiche competenze professionali in grado di garantire la tutela giurisdizionale in materia fiscale.
In particolare, tentato senza buon fine il rimedio amministrativo, il contribuente può rivolgersi ai Tribunali tributari di primo e secondo grado con l’eventuale ultimo grado affidato alla suprema Bundesverfassungsgericht.
Riforma della giustizia e Riforma del Processo Tributario
In questi mesi, si sta discutendo molto della riforma della giustizia e della riforma fiscale.
A tal proposito, è opportuno segnalare la necessità di riformare totalmente il processo tributario che, oggi gestito dal Ministero dell’economia e delle finanze, cioè una delle parti in causa, non consente una piena ed efficace tutela del contribuente.
Nel progetto di riforma del processo tributario, secondo me, è opportuno tenere conto dei seguenti suggerimenti, che peraltro ho individuato nel mio progetto di legge pubblicato sul mio sito (www.studiotributariovillani.it):
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Gestione del processo tributario da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri (o del Ministero della Giustizia) e non più da parte del Ministero dell’economia e delle finanze;
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Ammissibilità della prova testimoniale e del giuramento;
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Termini perentori per la costituzione degli uffici;
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Sospensione degli atti anche in grado d’appello;
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Possibilità di conciliazione giudiziale anche in grado d’appello;
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Competenza delle Commissioni Tributarie anche per il risarcimento dei danni;
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Impugnazione dell’autotutela sia espressa sia tacita;
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Selezione di giudici professionalmente competenti e ben retribuiti, non come oggi che non vengono pagati per le ordinanze di sospensiva ed ai quali vengono corrisposte solo euro 25 a sentenza depositata, indipendentemente dal valore della causa.
In definitiva, secondo me, la riforma del processo tributario deve realizzare il principio del giusto processo, previsto dall’art. 111 della Costituzione, in modo che il contribuente sia posto sullo stesso piano processuale del fisco, senza alcuna limitazione nell’esercizio della difesa.
Infine, nella materia tributaria, bisogna prevedere un unico processo dove discutere e decidere le questioni fiscali, quelle penali (senza più il c.d. ‘’doppio binario’’) e persino quelle civili, in tema, per esempio, di risarcimento danni, in modo che il contribuente non debba impazzire nell’attesa della definizione delle varie cause oggi previste.
Considerazioni Conclusive
Con questo scritto, anche se in maniera non approfondita e non esaustiva, ho voluto dimostrare le varie difficoltà processuali che il contribuente ed il professionista che lo assiste incontrano nel processo tributario.
E’ giusto combattere l’evasione fiscale e rendere particolarmente incisive le azioni di recupero e riscossione delle imposte e tasse evase; al tempo stesso, però, bisogna consentire al contribuente di potersi difendere nel migliore dei modi, senza limitazioni o condizionamenti, anche perché la Costituzione tutela il diritto di difesa (art. 24, c. 2, ‘’La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo’’), in un processo dove le parti devono essere poste su un piano di perfetta parità davanti ad un giudice ‘’terzo ed imparziale’’ (art. 111, c. 2, cit.).
Con le ultime manovre economiche estive, invece, il legislatore vuole costringere il contribuente a pagare o patteggiare, rendendo estremamente difficoltoso e costoso il ricorso alla giustizia tributaria, peraltro, in futuro, gestita da giudici non professionali, a tempo parziale, poco remunerati e, cosa alquanto grave, gestiti (anche economicamente) dal Ministero dell’economia e delle finanze, che è una delle parti in causa.
Inoltre, alcuni giudici tributari sono alle dirette dipendenze del Ministero dell’economia e delle finanze (come i super-ispettori del fisco) o hanno difeso l’Amministrazione finanziaria (come gli avvocati dello Stato a riposo) o possono non avere alcuna cognizione giuridica e tecnica delle complesse problematiche fiscali (come, per esempio, le casalinghe con la laurea in giurisprudenza o in economia e commercio conseguita da almeno due anni!).
La giustizia tributaria è una cosa seria, dove i contribuenti onesti rischiano il fallimento se non sono messi nelle condizioni processuali di potersi efficacemente difendere, senza l’unica prospettiva di pagare o patteggiare a qualsiasi condizione.
Uno Stato di diritto, come il nostro, dalle sane tradizioni giuridiche non può più permettere una situazione del genere con l’alibi di dover far cassa a tutti i costi, penalizzando soprattutto i contribuenti onesti, che hanno scrupolosamente rispettato le leggi fiscali (spesso incomprensibili, confusionarie e contraddittorie) e che vogliono difendersi da cavillose e capziose interpretazioni del fisco (pensiamo, per esempio, alle controversie in tema di crediti d’imposta occupazione ed investimenti) o vogliono contrastare assurdi accertamenti basati su generiche e fumose presunzioni.
Oggi, il fisco ha tutti i mezzi giuridici e processuali per fare verifiche, accertamenti (studi di settore, redditometro, indagini bancarie, con inversione dell’onere a carico del contribuente) nonché ruoli e cartelle esattoriali (che sono atti pubblici ex art. 2699 del codice civile), anche tutelati dai privilegi.
Di conseguenza, il contribuente non deve subire limitazioni o condizionamenti per contrastare la potenza di fuoco del fisco, perché la battaglia processuale, già impari, diventa persa in partenza, con l’unica possibilità di pagare e patteggiare, salvo, dopo, fallire o chiudere le attività e licenziare.
Ecco perché è importante, in vista della generale riforma fiscale, riscrivere il processo tributario ma in modo serio e completo, non come è stato fatto sino ad oggi in modo superficiale e parziale.
E’ certamente vero che senza imposte non esiste lo Stato e senza lo Stato non esiste il diritto di proprietà.
Tutto ciò, però, non significa che l’imposta serva a distruggere la proprietà o debba essere prelevata a scapito della giustizia e dei diritti costituzionalmente garantiti.
Il diritto del contribuente alla giusta imposta è, in conclusione, il diritto al rispetto della disciplina costituzionale del fenomeno fiscale consistente nell’insieme dei principi di giusta imposta, individuati sinteticamente negli artt. 2, 3 e 53 della Costituzione ed in tutti i numerosi ulteriori articoli della nostra Carta in cui tali principi trovano sviluppo ed attuazione, in sintonia, peraltro, col diritto di difesa dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale(anche all’apparenza), ai sensi degli artt. 24 e 111 della Costituzione.
In definitiva, deve terminare la costante manovra di ‘’deprocessualizzazione’’ della materia tributaria messa in atto dal legislatore per far cassa a tutti i costi, calpestando il diritto di difesa del contribuente.
Se la gente evade, oggi come in passato, è principalmente perché:
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il carico fiscale è eccessivo;
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le norme tributarie sono troppe, scritte male ed ingestibili;
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perché la legislazione fiscale cambia in continuazione, ignorando (anzi calpestando) lo Statuto del contribuente, come oggi è avvenuto con le ultime manovre estive sopra citate.
In luogo di stolide ed inappaganti guerre agli evasori, buone solo a creare e diffondere invidia sociale, sarebbe bene attuare subito la riforma fiscale, con la necessaria ed urgente riforma del processo tributario.
1 novembre 2011
Maurizio Villani