La stretta sulle "società di comodo" e sui beni utilizzati dai soci (seconda parte)

in questa seconda parte approfondiamo il problema dei beni sociali dati in uso ai soci: quali saranno le implicazioni reddituali per la società?

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5. I beni “goduti” dai soci o familiari

La “stretta” sulle società di comodo operata con l’emendamento presentato dal Governo in sede di conversione in legge del D.L. n. 138 del 2011 è finalizzata anche a potenziare l’attività di accertamento effettuata dall’Agenzia delle entrate utilizzando il metodo sintetico. E’ stato, al riguardo, ulteriormente stabilito che, qualora la società (anche se non di comodo) o l’impresa individuale conceda dei beni in godimento, rispettivamente, ai soci o ai familiari dell’imprenditore:

  • la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo previsto per la detta concessione concorre alla formazione del reddito complessivo del socio o familiare quale reddito diverso. Si ritiene che il “valore di mercato” coincida con il valore normale di cui all’art. 9 del TUIR;

  • i costi relativi ai beni concessi ai soci o ai familiari per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato del diritto di godimento “non sono in ogni caso ammessi in deduzione dal reddito imponibile”. Una norma analoga a quella in esame è prevista, ai fini dell’IVA, nell’art. 4, comma 5, del DPR n. 633 del 1972, in base al quale non è detraibile l’IVA pagata per l’acquisto di beni (immobili, unità da diporto, aeromobili e complessi sportivi o ricreativi) che vengono messi a disposizione dei soci gratuitamente o a fronte di un corrispettivo inferiore al valore normale. Si tratta di ipotesi diverse dall’autoconsumo familiare o dall’assegnazione dei beni ai soci, perché i beni stessi non fuoriescono dal regime d’impresa;

  • l’impresa concedente ovvero il socio o il familiare dell’imprenditore devono comunicare all’Agenzia delle entrate i dati relativi ai beni concessi in godimento, al fine di garantire l’attività di controllo;

  • l’Agenzia delle entrate procede a controllare sistematicamente le posizione delle persone fisiche che hanno utilizzato i beni concessi in godimento.

Dall’insieme di tali previsioni normative si attende un gettito stimato, a regime, in circa 50,4 milioni di euro annui. Tale gettito riguarderà l’IRPEF dovuta dai soci o familiari, l’IRES dovuta dalle società di capitali e l’IRAP dovuta dalle imprese individuali e dalle società di persone (in quanto per le società di capitali la determinazione dell’imposta regionale è “sganciata” dalle regole IRES).

Tali disposizioni si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione, cioè, in caso di periodo coincidente con l’anno solare, dal 2012. In sede di determinazione degli acconti per tale anno si assume, quale imposta del periodo precedente, quella che si sarebbe determinata facendo concorrere la detta differenza al reddito del socio o familiare ovvero non deducendo il costo dal reddito della società o dell’imprenditore.

Le modifiche normative riguardano la generalità delle imprese, quindi sia le società di comodo che quelle pienamente operative nonché le imprese individuali. Le società non operative costituiscono, però, il principale strumento utilizzato per “occultare” i beni la cui disponibilità assume rilevanza ai fini dell’accertamento sintetico nei riguardi delle persone fisiche che ne traggono utilità.

La finalità dell’intervento è, quindi, quella di scoraggiare il detto “occultamento”, anche mediante il nuovo obbligo comunicativo previsto, che si aggiunge ai controlli e alle verifiche che continueranno ad essere effettuati “sul campo”: in tal modo sarà, appunto, agevolata l’applicazione dell’accertamento sintetico. Così come con le norme precedentemente illustrate si è inteso scoraggiare ulteriormente l’utilizzo degli “schermi societari”.

Non sono state, però, prese in considerazione le società semplici e quelle non residenti prive di stabile organizzazione in Italia (nonché gli enti non commerciali che non svolgono un’attività d’impresa), poiché viene sempre fatto riferimento ai beni della “impresa”: in tal modo sfuggono, quindi, al “monitoraggio” i beni concessi da tali società in godimento ai propri soci. E’ stato, ad esempio, osservato1 che le società estere, anche ubicate in Paesi white list (quali Olanda e Lussemburgo), che vengono spesso adottate come schermo per i patrimoni più ingenti “dovrebbero dunque sfuggire in toto alla stretta della manovra, salvo ipotizzare (aspetto assai dubbio, su cui servirebbe un chiarimento da parte delle Entrate) che la concessione in uso ai soci ricada nella fattispecie di prestazioni di servizi infragruppo, pure rilevanti per l’applicazione delle regole CFC”. La nuova disciplina si applica, invece, anche in questo caso, se la società è considerata residente in Italia per effetto della presunzione di “esterovestizione” di cui all’art. 73, comma 5-bis, del TUIR.

Si ritiene che la norma debba essere estesa anche alle dette società ed enti, al fine di evitare facili elusioni della stessa.

E’ stato anche previsto che l’Agenzia tenga conto, ai fini della ricostruzione sintetica del reddito, di “qualsiasi forma di finanziamento o capitalizzazione effettuata nei confronti della società” (che potrebbe essere, in questo caso, anche una società semplice). Tale previsione appare pleonastica, considerato che si tratta di una facoltà che già gli uffici possono esercitare in sede di accertamento sintetico del reddito complessivo, ma si ritiene che sia stata inserita per ottenere un effetto-annuncio finalizzato a scoraggiare sia l’effettuazione di finanziamenti destinati all’acquisizione di beni concessi poi in godimento agli stessi soci finanziatori sia aumenti di capitale di importo almeno pari alle perdite fiscali, effettuati per sfuggire al monitoraggio delle imprese in perdita.

Il testo normativo, scritto in tempi molto brevi, contiene delle ripetizioni (la previsione della tassazione quale reddito diverso della differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo è contenuta in due diversi commi) e delle formulazioni che fanno sorgere dubbi interpretativi.

 

5.1. I dubbi interpretativi

Per soci si dovrebbero intendere anche quelli indiretti, ai quali i beni sono concessi in godimento da una società controllata da quella cui partecipano, al fine di non vanificare la finalità della norma. I familiari dell’imprenditore individuale sono, invece, ai sensi dell’art. 5, ultimo comma, del TUIR, il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado.

Il generico riferimento al “godimento” dei beni sembrerebbe attrarre nell’ambito di applicazione della nuova normativa anche i casi di utilizzo non continuativo dei beni. Il “godimento” deve avvenire a fini personali o della propria famiglia e, qualora il socio rivesta anche la qualifica di dipendente o amministratore, dovrebbe restare applicabile il principio della tassazione convenzionale dei fringe benefit.

Poiché la norma menziona la “differenza” tra il valore di mercato e il corrispettivo, la stessa può coincidere, in assenza di quest’ultimo, con l’intero valore; sarebbe, d’altra parte, poco logico considerare irrilevanti, ai fini reddituali, i casi di assenza del corrispettivo ed assoggettare, invece, ad imposizione quelli nei quali è presente un corrispettivo irrisorio. Tale conclusione è confermata dalla relazione tecnica, nella quale è precisato che si ha riguardo alle ipotesi di concessione dei beni “senza corrispettivo ovvero con un corrispettivo inferiore a quello che sarebbe ritraibile secondo una libera contrattazione tra parti contrapposte e consapevoli” e nella risposta all’interrogazione n. 5-05309 del 15 settembre 2011, nella quale è stato affermato che sono disciplinati anche i casi di beni concessi senza corrispettivo.

Si ricorda che i costi relativi ai beni concessi gratuitamente in godimento ai soci o ai familiari sono già indeducibili in sede di determinazione del reddito d’impresa, in quanto carenti del requisito dell’inerenza, cioè del nesso funzionale che deve collegare i componenti negativi allo svolgimento della specifica attività dell’impresa. La novità consiste, quindi, nella previsione della rilevanza impositiva in capo al socio o familiare.

Qualora il socio o il familiare si impegni a versare un corrispettivo “annuo” (che sembrerebbe corretto ragguagliare se la disponibilità del bene si è protratta per un tempo diverso) pari al valore di mercato del diritto di godimento del bene il costo è deducibile, in quanto specificamente inerente ad un componente positivo che concorre a formare il reddito d’impresa: tale conclusione appare confermata dalla norma in esame, perchè la indeducibilità è prevista soltanto se il corrispettivo è inferiore al valore normale. In taluni casi, peraltro, i costi potrebbero risultare indeducibili (ad esempio quelli relativi agli immobili-patrimonio) o deducibili solo in parte (si pensi al caso delle autovetture). Non si ritiene necessario che il corrispettivo sia effettivamente pagato entro la fine dell’anno, in quanto lo stesso concorre comunque per competenza alla formazione del reddito dell’impresa.

In presenza di un corrispettivo inferiore al valore del diritto di godimento del bene l’ufficio avrebbe potuto eventualmente accertare un maggior componente di reddito in capo all’impresa, applicando il principio, affermato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo il quale è possibile sindacare la congruità dei componenti di reddito risultanti dalla contabilità e dalle dichiarazioni, in presenza di comportamenti antieconomici dei contribuenti. Con la nuova disciplina si è inteso, evidentemente, eliminare dubbi e contestazioni al riguardo e stabilire, in luogo della imponibilità della differenza tra il corrispettivo e il valore normale, la indeducibilità “in ogni caso” (cioè a prescindere dalle già menzionate limitazioni previste dalle singole disposizioni normative) dell’intero ammontare dei costi sostenuti dalla società. Tale indeducibilità potrebbe dare luogo, in presenza di una società di persone o di una impresa familiare, ad una duplicazione impositiva, perché la stessa si traduce, per il socio o familiare, in un aumento del reddito “di partecipazione”, che si aggiungerebbe alla tassazione quale reddito diverso della detta “differenza”.

In base alla lettera della norma sembrerebbe che la indeducibilità riguardi sempre l’intero ammontare dei costi, a prescindere dall’entità del corrispettivo previsto. Sarebbe, però, più logico che la stessa riguardi soltanto la parte dei costi proporzionalmente corrispondente al valore normale “eccedente” rispetto al corrispettivo.

Per quanto concerne l’individuazione dei costi indeducibili, può trattarsi di quote di ammortamento, canoni di locazione, anche finanziaria, spese di manutenzione, tasse di possesso ecc.

Le modalità e i termini per l’effettuazione della comunicazione dovranno essere stabiliti con un provvedimento del direttore dell’Agenzia. In tale sede dovrà essere chiarito se la stessa vada effettuata soltanto in presenza di corrispettivi inferiori al valore normale (come farebbe pensare il tenore letterale della norma) ovvero in ogni caso, al fine di fare emergere la disponibilità di beni (e le spese sostenute per acquisirla) che possono assumere rilievo ai fini dell’accertamento sintetico.

In caso di omissione o infedeltà della comunicazione è dovuta, in solido tra l’impresa e il beneficiario, una sanzione pari al 30 per cento della differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo. Se, però, il costo non è stato dedotto dall’impresa e la detta differenza ha concorso a formare il reddito del socio o familiare, la sanzione è ridotta ad un importo tra 258 e 2.065 euro.

 

29 settembre 2011

Gianfranco Ferranti

1 Da L. Gaiani, “Società estere di tutto comodo”, in Il Sole 24 Ore del 13 settembre 2011, pag. 16.