Redditi diversi: norma in odore di incostituzionalità?

una critica all’impostazione attuale dell’art. 67 TUIR che “tassa” in maniera distorsiva le plusvalenze da cessione di beni immobili ricevuti per successione

L’articolo 67 del nuovo Testo Unico Imposte sui redditi (D.P.R. 917/1986) recita testualmente:

1. Sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente:

(omissis)

b) le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, nonché, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione…”.

 

In estrema sintesi questa norma stabilisce che la cessione di un fabbricato ricevuto per successione, ricorrendo determinate condizioni, non costituisce reddito di sorta, mentre la cessione di un terreno anch’esso ricevuto in eredità, se al momento della cessione è suscettibile di utilizzazione edificatoria, produce, in ogni caso, una plusvalenza tassabile.

 

Tale plusvalenza si determina ai sensi del successivo art. 68, c. 2: “Il costo dei terreni suscettibili d’utilizzazione edificatoria di cui alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 67 è costituito dal prezzo di acquisto aumentato di ogni altro costo inerente, rivalutato in base alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati nonché dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili. Per i terreni acquistati per effetto di successione o donazione si assume come prezzo di acquisto il valore dichiarato nelle relative denunce ed atti registrati, od in seguito definito e liquidato, aumentato di ogni altro costo successivo inerente, nonché dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili e di successione.”

Può quindi accadere che il figlio che riceve in eredità, ad esempio, un immobile del valore di 800.000 € non paga un centesimo, mentre paga decine di migliaia di euro quello che ha ricevuto un terreno di valore irrisorio, ceduto come area fabbricabile, dopo molti anni di possesso, per 100.000 €.

La ratio di questa plateale disparità di trattamento potrebbe forse essere ricercata nel fatto che al momento della intestazione ereditaria i due contribuenti hanno corrisposto imposte di successione di importo diverso (una maggiore imposta per l’eredità più ricca), esaurendo così ogni debito nei confronti dell’Erario. E’ necessario quindi, prendere in considerazione quest’ultima imposta.

Nel tempo, l’imposta sulle successioni è stata oggetto di numerose modifiche da parte del legislatore, ma noi ci limiteremo a prendere in considerazione soltanto quelle intervenute dopo il 2000, che riteniamo sufficienti ad illustrare quanto vogliamo dimostrare.

Fino al 24 ottobre del 2001 il valore globale netto dell’asse ereditario fra parenti di primo grado (limitiamoci soltanto a prendere in considerazione questa ipotesi), era esente da tassazione fino a 350 milioni di lire (€ 180.759.91); oltre questo importo si applicavano aliquote d’imposta che aumentavano progressivamente all’aumentare del valore dell’eredità (3-7-10-15-22-27%).

A partire dal 25 ottobre 2001, l’imposta sulle successioni fu abolita (legge 18 ottobre 2001 n. 383).

Dal 3 ottobre 2006, fu di nuovo ripristinata, ma la franchigia intassabile fu elevata ad € 1.000.000 per l’eredità fra parenti di primo grado. Il valore ereditato che eccedente 1.000.000 di euro, viene oggi tassato al 4%.

Quindi, a parte il periodo di totale esenzione da tassazione, l’imposta di successione ha sempre beneficiato di franchigie più o meno importanti e, in ogni caso, aliquote molto più vantaggiose rispetto a quelle previste per l’Irpef.

Non si riesce a capire quindi il motivo per cui un valore immobiliare costituito da un fabbricato non sia tassabile, mentre se costituito da un terreno edificabile lo sia.

Si deve pertanto concludere che l’articolo 67, trattando in maniera difforme la cessione di un fabbricato ereditato rispetto alla cessione di un terreno del pari ereditato, si pone in aperto conflitto con l’articolo 53 della nostra Costituzione, per il quale “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.”

E’ lesivo inoltre dell’art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge … È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Un principio cardine che comporta un generale obbligo di osservanza delle leggi anche da parte di coloro che le creano o vi danno esecuzione, allo scopo di evitare di trattare, immotivatamente, situazioni analoghe in modo difforme.

Concludendo: equità vorrebbe che anche ai terreni ricevuti in eredità e successivamente divenuti edificabili, fosse applicata, al momento della cessione, la medesima franchigia riconosciuta agli altri immobili e sulla eventuale eccedenza fossero applicate le stesse aliquote previste dall’imposta sulle successioni.

 

12 settembre 2011

Giampiero Della Nina