Definizione delle liti pendenti e contributi previdenziali I.N.P.S.

le implicazioni previdenziali dell’utilizzo dello strumento offerto per definire in via agevolata le liti pendenti: il contribuente va incontro a maggiori costi?

L’art. 39, c. 12, del decreto legge n. 98/2011, convertito dalla legge n. 111/2011,ha reintrodotto la possibilità di definire le liti fiscali pendenti alla data del 1° maggio 2011, a condizione che non superino il valore di € 20.000 e che si tratti di liti in cui è parte l’Agenzia delle entrate1.

L’istituto non è nuovo; infatti risulta applicato, con criteri leggermente diversi, in passato quando venne introdotto con l’art. 16 della legge n. 289/2002, norma questa che si applica, ove compatibile, anche per la nuova definizione in quanto espressamente richiamata dal citato art. 39.

Ma, l’attuale disciplina, come la precedente, nulla ha previsto in relazione ai contributi previdenziali che pure possono formare oggetto di lite fiscale definibile; si tratta, in particolare, delle seguenti tipologie di contributi:

IVS commercianti,

IVS artigiani,

contributi dei liberi professionisti iscritti alla gestione separata ex art. 2 della legge n. 335/1995.

E’ noto che per tali contributi l’Agenzia delle entrate svolge, fin dal 1999, una attività di controllo per conto dell’INPS, effettuando accertamenti formali e sostanziali sui dati denunciati dai contribuenti e richiedendo il pagamento dei contributi omessi e/o evasi da trasmettere successivamente all’INPS2.

Tali contributi, quindi, possono essere accertati insieme ai maggiori imponibili sui quali sono calcolati: è questo, il caso, ad esempio, dell’accertamento sulla base degli studi di settore o, comunque, di altre tipologie di accertamento che riguardano redditi di impresa e redditi di lavoro autonomo, cui consegue un maggior contributo previdenziale dovuto all’INPS.

L’introduzione della definizione delle liti fiscali pendenti suscita allora, in presenza di tali contributi3, almeno un paio di questioni che non sempre possono essere affrontate e risolte senza interventi ufficiali dell’Agenzia delle entrate.

1° questione: determinazione dell’importo della lite

La prima questione riguarda la determinazione dell’ammontare della lite: se tale ammontare deve o non comprendere anche l’ammontare degli eventuali maggior contributi accertati; una volta ottenuta la risposta a tale questione, risulterà poi agevole determinare l’importo dovuto per la definizione.

Si veda il seguente esempio numerico relativo ad un accertamento di reddito di impresa:

descrizione

senza contributi

con contributi

Maggior IRPEF

Maggiori ADDIZIONALI

Maggior IRAP

Maggior IVA

Maggiori CONTRIBUTI IVS

8.000

500

1.500

8.000

0

8.000

500

1.500

8.000

2.500

totale

18.000

20.500

La questione, quindi, è se occorre fare riferimento all’importo di 18.000, in tal caso la definizione sarebbe possibile, o a quello di 20.500, con impossibilità di accedere alla definizione in quanto lite di importo superiore al limite massimo previsto.

Al riguardo, il citato art. 39 prevede che alla definizione si applicano, salvo specifiche disposizioni introdotte con la nuova disciplina, le norme dell’art. 16 della legge n. 289/2002; il comma 3, lett. c), del citato art. 16 prevede quando segue:

per valore della lite, da assumere a base del calcolo per la definizione, l’importo dell’imposta che ha formato oggetto di contestazione in primo grado, al netto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni collegate al tributo, anche se irrogate con separato provvedimento; in caso di liti relative alla irrogazione di sanzioni non collegate al tributo, delle stesse si tiene conto ai fini del valore della lite; il valore della lite è determinato con riferimento a ciascun atto introduttivo del giudizio, indipendentemente dal numero di soggetti interessati e dai tributi in esso indicati.

La norma è sostanzialmente simile a quella contenuta nell’art. 12, c. 5, del D.Lgs. n. 546/1992, nella parte in cui, trattando del’obbligo dell’assistenza tecnica nel processo tributario, afferma che “per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e degli eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato”.

Peraltro, in occasione del precedente condono, con la circolare 21 febbraio 2003, n. 12/E, paragrafo 11.1.3, venne chiarito che, mentre esiste una disciplina unitaria dei tributi e contributi per quanto riguarda le fasi dell’accertamento, liquidazione e riscossione, non esiste, invece, una disciplina unitaria nella fase del contenzioso.

Conseguentemente, in relazione al precedente condono, la citata circolare continuava precisando che

Le liti in cui è parte l’Agenzia delle entrate pertanto non concernono i predetti contributi e premi dovuti agli enti previdenziali.

Ciò comporta che ai fini della determinazione del valore della lite fiscale definibile ai sensi dell’articolo 16 non vanno considerati i maggiori contributi e che la definizione non produce effetti in ordine agli stessi.

Sulla base di tali indicazioni, quindi, pare evidente che l’importo da prendere a riferimento è quello che tiene conto delle sole imposte e non anche dei contributi (l’importo di € 18.000 nell’esempio proposto avanti); ed è su tale ammontare che va parametrato l’importo dovuto per la definizione.

Se questa, dunque, è la regola di carattere generale, va rilevato che nella pratica le situazioni possono essere più complicate; basti pensare al caso in cui l’accertamento si limiti a ridurre una perdita d’esercizio, al caso in cui sussiste un giudicato interno, ecc.

A tal fine, in passato l’Agenzia delle entrate ha fornito una serie di chiarimenti che possono risultare utili anche nell’applicare la nuova disciplina, in particolare quando l’accertamento riguarda la rettifica di perdite di esercizio riportabili.

Valore della lite in caso di rettifica di perdite

La questione ha formato oggetto della circolare 21 febbraio 2003, n. 12/E, paragrafo 11.4.1, della circolare 21 marzo 2003, n. 17/E paragrafo 1.11 e della circolare 28 aprile 2003, n. 22/E, par. 12.8, le quali evidenziano una serie completa di fattispecie realizzabili.

Secondo tali chiarimenti, in linea di massima occorre determinare l’imposta virtuale della perdita riportabile, il che consente il pieno utilizzo della perdita negli esercizi successivi (c.d. affrancamento della perdita).

Così, ad esempio, nel caso di un accertamento mediante il quale l’Ufficio annulla la perdita di impresa di euro 50.000, il valore della lite sarà rappresentato dall’IRES calcolata su tale importo; pertanto, il valore della lite sarà pari a 13.750 se l’IRES applicabile è del 27,5%.

Ove nello stesso accertamento, l’ufficio abbia annullato la perdita e determinato un imponibile, ai fini dell’ammontare della lite si deve determinare la sommatoria fra l’imposta risultante dall’accertamento e l’imposta virtuale determinata sulla perdita.

2° questione: sorte dei contributi accertati dopo la definizione

Se la risposta alla prima questione è stata abbastanza agevole, almeno per i casi generali, salvo verificare, di volta in volta i singoli casi specifici, con la seconda questione la faccenda si complica in quanto non è mai stato chiarito cosa succede dei contributi previdenziali risultanti dall’avviso di accertamento oggetto della definizione delle lite pendente.

Né al riguardo risulta mai fornito un qualche chiarimento dall’INPS, le cui circolari in materia di ultimo condono (n. 88 del 16 maggio 2003 e n. 63 del 9 aprile 2004) hanno sempre riguardato altre tipologie di condoni (integrativa semplice, ecc. ).

Pertanto, due sono le possibilità che possono verificarsi:

la prima secondo cui, pur avendo definito l’accertamento, l’INPS prosegue nel perseguire il contribuente,

la seconda secondo cui, avendo definito l’accertamento, nulla più è dovuto a titolo di contributo.

Nel primo caso, la definizione potrebbe assimilarsi ad una sorta di acquiescenza e, quindi, sarebbe l’INPS a dover perseguire il contribuente per il recupero dei contributi calcolati sul reddito originariamente accertato, anche in considerazione del fatto che la circolare 21 febbraio 2003, n. 12/E, paragrafo 11.1.3, precisava che “ le controversie riguardanti tali contributi devono essere instaurate nei confronti degli enti previdenziali.”

Potrebbe avvalorare tale tesi una interpretazione fornita dall’Agenzia delle entrate relativa alla definizione di un accertamento con il quale l’Ufficio aveva rettificato la valutazione di partecipazioni.

Così, in merito appunto al trattamento di svalutazioni su partecipazioni, la circolare 12 maggio 2003, n. 28/E, par. 6.2., precisa che, una volta effettuata la definizione della lite, “Il valore fiscale della partecipazione rilevante per i futuri eventi è quello rettificato”, dando quindi valore all’importo accertato.

In pratica, poiché l’Agenzia dice che si deve fare riferimento al valore accertato anche dopo la definizione della lite pendente, il passo successivo dovrebbe essere quello di ritenere in qualche modo consolidato anche il maggior reddito accertato, con l’effetto che si renderebbero dovuti i relativi maggiori contributi.

L’automatismo di una simile interpretazione, però, è di fatto smentito dal successivo punto 6.3 della medesima circolare dove, in relazione alla definizione della lite relativa a maggiori ammortamenti dedotti, l’Agenzia precisa che “la definizione della lite non produce effetti vincolanti per il contribuente sui periodi di imposta successivi”, con ciò escludendo che si debba obbligatoriamente far riferimento al valore accertato.

Nel secondo caso, invece, poiché la definizione della lite non interviene a stabilire un nuovo imponibile, diverso da quello dichiarato, ma si limita a prendere a base le maggiori imposte accertate, può ipotizzarsi che l’effetto della definizione sull’accertamento sia sostanzialmente simile ad un suo annullamento, il che evidentemente annulla anche il maggior contributo inizialmente accertato.

Potrebbero avvalorare tale tesi i numerosi chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate relativamente alla definizione di accertamenti con rettifiche di perdite riportabili.

Ad esempio, la circolare 21 marzo 2003, n.17/E, paragrafo 1.11, in relazione ad una fattispecie simile, precisa che “Per effetto dell’affrancamento in applicazione dell’articolo 16, le perdite rilevano ai fini della determinazione dei redditi dei periodi d’imposta successivi e comportano il venir meno degli effetti della rettifica in contestazione nei periodi d’imposta successivi a quello per cui si effettua la chiusura della lite.”

In tal modo, quindi, una volta operata la definizione della lite fiscale pendente, la rettifica sulla perdita è come se venisse annullata e, pertanto, l’originaria perdita dichiarata dal contribuente può essere regolarmente scomputata dal reddito degli esercizi successivi.

Tra le due possibilità, evidentemente la seconda (tesi dell’annullamento dell’accertamento) è sicuramente quella che più si avvicina alla reale situazione che viene a crearsi; la definizione, infatti, si basa ed interviene, come nel caso del condono automatico, solo ed esclusivamente sulle maggiori imposte, non attribuendo alcuna rilevanza ai maggiori imponibili originariamente accertati.

E’ evidente, però, che una conferma al riguardo non sarebbe male e darebbe serenità a quanti si ritrovano in simili situazioni.

5 settembre 2011

Vito Dulcamare

1 Per un approfondimento sul funzionamento di tale istituto, ved. Antonio Terlizzi, Vademecum sulla chiusura delle liti minori, in www.https://www.commercialistatelematico.com 8 agosto 2011

2 Il potere dell’ufficio non si estende, però, fino all’iscrizione a ruolo; questa deve sempre essere effettuata dall’INPS.

3 E’ evidente che ove risulta una contestazione di soli contributi previdenziali, questa non costituisce lite fiscale, e pertanto non può essere definita, essendo attribuita alla competenza del giudice ordinario e non a quella delle commissioni tributarie.