Strumenti presuntivi e dichiarazioni di terzi: effetto combinato quando il Fisco può utilizzare le dichiarazioni dell’ex coniuge

un complesso caso di contenzioso basato sui parametri che vengono rafforzati dal materiale e dalle dichiarazioni fornite dall’ex coniuge

Con sentenza n. 14055 del 27 giugno 2011 (ud. del 24 maggio 2011) la Corte di Cassazione ha affermato che le dichiarazioni rese dall’ex coniuge, in presenza di peculiari circostanze e nel concorso di elementi ulteriori di prova idonei a renderli particolarmente attendibili, possono rivestire i caratteri delle presunzioni – generalmente ammesse nel processo tributario -, nonostante il divieto di prova testimoniale, dando valenza agli strumenti presuntivi (parametri e studi di settore).

 

Fatto

Con sentenza n. 85/05, depositata il 6.7.05, la CTR della Toscana rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Pistoia – avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso proposto da T.F. – medico veterinario – nei confronti degli avvisi di accertamento analitico – induttivi, coi quali era stato elevato il reddito dichiarate dal medesimo, ai fini IRPEF ed IVA, per gli anni 1995, 1996 e 1997.

La CTR riteneva, invero, che le dichiarazioni dei terzi – nella specie, la moglie del contribuente – fossero del tutto prive di rilevanza nel processo tributario. Rilevava, inoltre, che non erano state contestate dall’amministrazione le scritture contabili del contribuente, e constatava, infine, che il gravame dell’Ufficio era destituito di fondamento, per non avere l’amministrazione disposto ulteriori e più approfonditi accertamenti, volti a suffragare la rettifica delle dichiarazioni del contribuente.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’A.F., lamentando che il giudice di appello avrebbe erroneamente escluso la rilevanza, quanto meno sul piano indiziario, delle dichiarazioni dei terzo (la moglie del contribuente), peraltro supportate da copiosa documentazione, e si duole del fatto che sia stato posto a suo carico l’onere di effettuare ulteriori, più approfonditi, accertamenti, diretti a suffragare la rettifica delle dichiarazioni del contribuente.

Del tutto inconferente, poi, si paleserebbe – ad avviso dell’amministrazione – il riferimento, operato dall’impugnata sentenza, alla mancata contestazione, da parte dell’Ufficio, delle scritture contabili del contribuente, essendo del tutto evidente che la contestazione di dette scritture, sul piano dell’attendibilità sostanziale, costituisce il presupposto stesso del ricorso all’accertamento induttivo ex art. 54 del D.P.R. n. 633/72.

 

Diritto

Il ricorso è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione e, quindi, accolto.

Vertendosi, nella specie, in materia di accertamento analitico – induttivo – “è possibile per l’amministrazione utilizzare, ai fini della rettifica delle dichiarazioni del contribuente, la procedura di accertamento tributario standardizzato, mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore. Orbene – in via di principio – detta procedura costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dal mero scostamento del reddito dichiarato rispetto agli ‘standards’ in sé considerati. Ed invero, questi ultimi -sia con riferimento all’imposizione diretta, sia con riferimento all’IVA – legittimano, quando i valori ivi esposti superano il dichiarato dal contribuente, il ricorso all’accertamento analitico – presuntivo, ai sensi dell’art. 54 del D.P.R. n. 633/72, ponendosi in tal caso, detti ‘standards’, come uno strumento di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività, che si affianca agli altri strumenti previsti dalle norme suindicate”.

I suddetti parametri standardizzati devono necessariamente “essere personalizzati con riferimento ai dati relativi all’attività in concreto svolta dal contribuente, sulla scorta degli elementi forniti da quest’ultimo in esito al contraddittorio, che va attivato obbligatoriamente con il medesimo, pena la nullità dell’accertamento analitico- presuntivo effettuato dall’amministrazione finanziaria. La motivazione dell’atto impositivo non può, pertanto, esaurirsi nel rilievo dello scostamento tra reddito dichiarato e parametri di riferimento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello ‘standard’ prescelto, nonché con l’indicazione delle ragioni per le quali sono state disattese, dall’Ufficio, le contestazioni sollevate dal contribuente”.

Sul contribuente, peraltro, “incombe l’onere di muovere rilievi specifici ai coefficienti parametrici applicati, nonché di provare – sia in sede amministrativa, che dinanzi al giudice tributario di merito – la sussistenza delle condizioni, anche con riferimento alla specifica realtà dell’attività economica esercitata, che giustifichino l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui è applicabile lo “standard” prescelto dall’amministrazione finanziaria (cfr., in tal senso, Cass. 12558/10)”.

In definitiva, dunque, “il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità dell’atto di accertamento fondato sui suddetti parametri, é tenuto a valutare, in primis, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio, e solo una volta ritenuto che si sia formata una valida prova presuntiva, ai sensi degli artt. 2727 e ss. c.c., dovrà dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, gravato da tale onere specifico (Cass. 9784/10)”.

Quindi, la Corte ritiene che, nel caso concreto, la CTR della Toscana non abbia fatto corretta applicazione delle norme concernenti l’utilizzazione degli “standards” elaborati a supporto dell’accertamento analitico – presuntivo, ex art. 2697 c.c., in tema di onere della prova.

Ed invero – premesso che è del tutto incontroverso tra le parti che il T. sia stato posto in condizioni di fornire all’amministrazione le proprie ragioni giustificative – va rilevato che il giudice di appello ha, del tutto ingiustificatamente, escluso il valore presuntivo dei parametri applicati dall’Ufficio, attribuendo all’amministrazione di non avere disposto ‘accertamenti più approfonditi per acquisire gli elementi certi per suffragare le rettifiche delle dichiarazioni del contribuente’. Ebbene, è di tutta evidenza, ad avviso della Corte, l’erronea applicazione della normativa suindicata operata dalla CTR, posto che – una volta applicati i parametri presuntivi, personalizzati in relazione alla specifica situazione del contribuente, ed avere soppesato e disatteso le contestazioni proposte da quest’ultimo in sede amministrativa – il potere impositivo dell’Ufficio non può ritenersi condizionato da alcun altro incombente. Per converso – come dianzi rilevato – incombe sul contribuente, il quale intenda ulteriormente contestare l’accertamento, promuovere il riesame dell’atto in sede giurisdizionale, sulla base di specifiche allegazioni e fornendo un’ulteriore controprova alle presunzioni desunte dai parametri applicati dall’amministrazione. Nel giudizio tributario di merito il contribuente non è, per vero, vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo, e dispone della più ampia facoltà di prova, perfino qualora non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa (Cass.S.U. 26635/09)”.

Nel caso concreto, “la CTR non avrebbe dovuto fare carico all’Ufficio di ulteriori incombenti non previsti dalla legge, ma si sarebbe dovuta limitare a prendere atto della mancata allegazione di ulteriori elementi di prova da parte del contribuente. E tale carenza probatoria – ad avviso della Corte – appare, nella specie, viepiù significativa, ove si consideri che la stessa sentenza dà atto che gli avvisi di accertamento erano, per contro, supportati da ‘copiosa documentazione’, nonché dalle dichiarazioni della moglie separata del T., la quale aveva fornito all’amministrazione un nutrito elenco di clienti del marito, nonché una documentazione informale ed extracontabile dalla quale si desumeva la mancata fatturazione della maggior parte delle prestazioni eseguite dal contribuente, medico veterinario)”.

Con specifico riferimento, poi, al valore probatorio delle dichiarazioni della moglie separata del contribuente, negato dalla sentenza di secondo grado, osserva la Corte che, “nel processo tributario, le dichiarazioni del terzo – acquisite dalla Polizia Tributaria o, come è accaduto nella specie, dalla stessa amministrazione, e recepite, poi, nell’avviso di accertamento -hanno, quanto meno, valore indiziario, concorrendo a formare il convincimento del giudice, unitamente a tutti gli altri elementi di prova acquisiti agli atti. Tuttavia, tali dichiarazioni – in presenza di peculiari circostanze ed, in particolare, nel concorso di elementi ulteriori di prova idonei a renderli particolarmente attendibili – possono rivestire i caratteri della presunzioni (generalmente ammesse nel processo tributario, nonostante il divieto di prova testimoniale) gravi, precise e concordanti, ai sensi dell’Cass. 9402/07)” .

Nel caso concreto le dichiarazioni della moglie del T. rivestono un carattere fortemente presuntivo, “essendo corredate – come rileva la stessa decisione di appello – da ‘copiosa documentazione’, idonea a conferire alle stesse particolare attendibilità e verosimiglianza (nutrito elenco dei clienti del T., agenda del medesimo ed appunti del veterinario chiamato a sostituirlo nel periodo di ferie, dai quali si desumeva l’omessa fatturazione della maggior parte delle prestazioni, quantificazione delle spese di famiglia ed ingenti versamenti sul c/c bancario dei coniugi, attestanti un reddito decisamente superiore a quello dichiarato)”.

Del tutto inconferente è, infine, l’affermazione, effettuata dal giudice di appello, in ordine alla mancata contestazione delle scritture contabili del T., da parte dell’amministrazione finanziaria.

 

La nostra analisi ragionata

Gli studi di settore, anche se caratterizzati da una minore approssimazione probabilistica rispetto ai parametri, rappresentano la predisposizione di indici rilevatori di una possibile anomalia del comportamento fiscale, evidenziata dallo scostamento delle dichiarazioni dei contribuenti relative all’ammontare dei ricavi o dei compensi rispetto a quello che l’elaborazione statistica stabilisce essere il livello “normale” in relazione alla specifica attività svolta dal dichiarante.

Lo scostamento non deve essere “qualsiasi“, ma testimoniare una “grave incongruenza” (come espressamente prevede il D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, c. 3, e come deve interpretarsi, in una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, la L. n. 146 del 1998, art. 10, c. 1, nel quale pur essendo presente un diretto richiamo alla norma precedentemente citata, non compare in maniera espressa il requisito della gravità dello scostamento): tanto legittima l’avvio di una procedura finalizzata all’accertamento nel cui quadro i segnali emergenti dallo studio di settore (o dai parametri) devono essere “corretti“, in contraddittorio col contribuente, in modo da “fotografare” la specifica realtà economica della singola impresa la cui dichiarazione dell’ammontare dei ricavi abbia dimostrato una significativa “incoerenza” con la “normale redditività” delle imprese omogenee considerate nello studio di settore applicato.

Ancora una volta, quindi, è il contraddittorio – previsto espressamente dalla L. n. 146 del 1998, art. 10, come modificato dalla L. n. 301 del 2004, art. 1, c. 409, lett. b, e comunque già affermato come indefettibile, a prescindere dall’espressa previsione, dalla giurisprudenza, in ossequio al principio del giusto procedimento amministrativo (v. Cass. n. 17229/2006), e dalla prassi amministrativa – l’elemento determinante per adeguare alla concreta realtà economica del singolo contribuente l’ipotesi dello studio di settore.

Altrimenti lo studio di settore si trasformerebbe da mezzo di accertamento in mezzo di determinazione del reddito, con un’illegittima compressione dei diritti emergenti dagli artt. 3, 24 e 53 Cost.: se appare ammissibile la predisposizione di mezzi di contrasto all’evasione fiscale che rendano più agile e, quindi, più efficace l’azione dell’Ufficio, come indubbiamente sono i sistemi di accertamento per standard (parametri e studi di settore), il limite della utilizzabilità degli stessi sta, da un lato, nell’impossibilità di far conseguire, alla eventuale incongruenza tra standard e ricavi dichiarati, un automatismo dell’accertamento, che eluderebbe lo scopo precipuo dell’attività accertativa che è quello di giungere alla determinazione del reddito effettivo del contribuente in coerenza col principio di cui all’art. 53 Cost.; dall’altro, nel riconoscimento della partecipazione del contribuente alla fase di formazione dell’atto di accertamento mediante un contraddittorio preventivo, che consente di adeguare il risultato dello standard alla concreta realtà economica del destinatario dell’accertamento, concedendo a quest’ultimo, nella eventuale fase processuale, la più ampia facoltà di prova (anche per presunzioni), che sarà, unitamente agli elementi forniti dall’Ufficio, liberamente valutata dal giudice adito.

L’accertamento per standard appare un sistema unitario col quale il legislatore, nel quadro di un medesimo disegno funzionale ad agevolare l’attività accertatrice nel perseguire l’evasione fiscale, ha individuato strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività di determinate attività catalogate per settori omogenei. Tali strumenti, rilevando, rispetto ai redditi dichiarati, eventuali significative incongruenze, legittimano l’avvio delle procedure di accertamento a carico del contribuente con invito a quest’ultimo, nel rispetto delle regole del giusto procedimento e del principio di cooperazione tra amministrazione finanziaria e contribuente, a fornire, in contraddittorio, i propri chiarimenti e gli elementi giustificativi del rilevato scostamento o dell’inapplicabilità nella specie dello standard.

L’accertamento sulla base dell’applicazione dei parametri e degli studi di settore è legittimo soltanto qualora le risultanze di tali strumenti presuntivi siano corroborate da altri elementi sui quali sia avvenuto il contraddittorio con il contribuente e che l’Ufficio abbia desunto dall’attività d’impresa o di lavoro autonomo (Cass. SS.UU. n.26635/2009).

E nel caso specifico l’atto di accertamento era corroborato da copiosa documentazione prodotta dalla ex moglie, unitamente alle stesse dichiarazioni acquisite agli atti.

Sotto quest’ultimo versante, è noto che (cfr. da ultimo Cass. sentenza n. 12763/2011) la Corte di Cassazione ha ritenuto che il divieto di assunzione di talune fonti di prova (giuramento e prova testimoniale) non implica l’inutilizzabilità delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione (ovvero rese in favore del contribuente) nella fase procedimentale e rese da soggetti terzi rispetto al rapporto giuridico d’imposta dovendosi attribuire alle medesime valenza di elementi indiziari che, qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, possono assumere natura di presunzione anche ove desumibili dall’utilizzo come fonte di atti di un giudizio civile o penale.

La “natura e la valenza di elementi indiziari, nel processo tributario, del contenuto delle dichiarazioni” dette, inoltre, “non muta” sia che la “acquisizione delle dichiarazioni di terzi sia realizzata in via diretta in fase di verifica” sia nel caso in cui si utilizzino “come fonte gli atti di un giudizio civile o penale“.

Il giudice tributario, infatti (Cass., trib., 14 maggio 2010 n. 11785), “nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione … del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.)“, deve (“in ogni caso“) verificare la “rilevanza” di quel “materiale” (anche di quello penale) nello “ambito specifico” (tributario) “in cui esso è destinato ad operare“.

La prova testimoniale esclusa è esclusivamente quella che si forma in sede processuale, restando possibile la formalizzazione di dichiarazioni verbali rese agli organi operanti, le quali pur non essendo prove immediatamente fruibili hanno valenza indiziaria.

Se è vero che il valore probatorio delle verbalizzazioni è comunque rimesso al libero apprezzamento del giudice, il quale, di volta in volta, potrà o non potrà tenerne conto, quali ulteriori elementi a sostegno degli altri, già comunque acquisiti, nel caso specifico sono serviti ad avvalorare lo strumento presuntivo standardizzato, spostando sul contribuente l’onere della prova, senza che questi sia riuscito a fornire elementi diversi tali da ribaltare la sua posizione.

 

2 agosto 2011

Gianfranco Antico