anche le sentenze tributarie di secondo grando possono essere sospese in attesa del giudizio di Cassazione
Il fatto
Una società riceve in tempi diversi due accertamenti per gli anni 2002 e 2003, contenenti le medesime contestazioni circa l’errata applicazione (secondo l’Agenzia delle Entrate), del regime del margine.
La società interpone ricorso per l’anno 2002 che viene accolto dalla C.T.P.; la sentenza relativa viene confermata anche dalla C.T.R.. L’Agenzia non desiste e presenta appello per Cassazione, tutt’ora pendente.
L’esercizio 2003 segue la stessa sorte nel primo grado di giudizio, ma il successivo appello dell’Agenzia viene accolto dalla C.T.R.; questa volta tocca alla società ricorrere alla Cassazione.
La cartella esattoriale non si fa attendere ed è una cartella che getta nell’ambascia amministratori e soci: si tratta di un importo che sfiora € 850.000,00 da pagare nei sessanta giorni successivi.
Che fare, visto che i soldi non ci sono? Che Equitalia reclama una fidejussione bancaria per dilazionarla, peraltro impossibile da ottenere; che, in ogni caso, anche se il pagamento potesse essere dilazionato nel numero massimo delle rate consentito, queste risulterebbero di importo mensile di circa € 14.000,00 ciascuna, totalmente insostenibili da parte della società che vede sempre più incombente lo spettro del fallimento.
L’unico appiglio: l’articolo 373 del c.p.c.
L’articolo 373 del c.p.c. recita testualmente:
“Il ricorso per cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza. Tuttavia il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che la esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione.
L’istanza si propone con ricorso al giudice di pace, al tribunale in composizione monocratica o al presidente del collegio, il quale, con decreto in calce al ricorso, ordina la comparizione delle parti rispettivamente dinanzi a sé o al collegio in camera di consiglio. Copia del ricorso e del decreto sono notificate al procuratore dell’altra parte, ovvero alla parte stessa, se questa sia stata in giudizio senza ministero di difensore o non si sia costituita nel giudizio definito con la sentenza impugnata. Con lo stesso decreto, in caso di eccezionale urgenza può essere disposta provvisoriamente l’immediata sospensione dell’esecuzione.”
La disposizione è chiara, anche se non risulta raramente applicata al processo tributario, nonostante che l’articolo 1 del D.Lgs. 546/1992 disponga che i giudici tributari sono tenuti ad applicare le norme contenute in quest’ultimo decreto e, “per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile.”
Non ci sono norme del processo tributario che limitino l’applicazione dell’articolo 373 c.p.c., tuttavia l’articolo 49 del D.Lgs. 546/1992, dettando disposizioni generali per le impugnazioni, appare assai ambiguo. Infatti, richiama quelle del titolo III, capo I, del libro II del c.p.c., “escluso l’art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto.”
L’articolo 337 c.c.p. contiene il principio della esecutività di tutte le sentenze civili la cui efficacia non viene sospesa per effetto dell’impugnazione, salve le deroghe espressamente previste dagli articoli 283, 373, 401 e 407 c.p.c.
Da qui la possibile doppia lettura, perché non si capisce bene se il legislatore del processo tributario, con l’articolo 49 citato, abbia inteso escludere l’applicazione della sola regola contemplata dall’articolo 337 c.p.c., concernente l’esecutività della sentenza civile impugnata, ovvero anche delle relative deroghe (articoli 283 e 373 c.p.c.), ivi pure contemplate, che quell’esecutività presuppongono.
L’ordinanza della Corte Costituzionale
A far chiarezza è intervenuta la Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 217 del 17 giugno 2010, nella quale si afferma che “il comma 1 dell’art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992 non costituisce ostacolo normativo ad applicare al processo tributario l’inibitoria cautelare di cui all’art. 373 c.p.c.”
Quindi: il ricorso in Cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza, ma il giudice che l’ha emessa può, su istanza di parte e qualora dalla esecuzione possa derivare un danno grave ed irreparabile, disporne la sospensione a mente dell’art. 373 c.p.c.
La nostra società ha percorso questa strada, presentando ricorso alla C.T.R. di Bologna nel quale, oltre al danno grave ed irreparabile, ha messo in evidenza il “fumus”, enfatizzando anche il fatto che per le medesime contestazioni dell’Agenzia delle Entrate vi erano state, da parte delle Commissioni Tributarie adite, tre pronunce a favore del contribuente ed una contraria.
La C.T.R. di Bologna, sezione 12, con ordinanza n. 9 del 25 maggio 2011, depositata in segreteria il 10 giugno 2011, ha sospeso l’esecuzione della sentenza impugnata,
“-ritenuta l’applicabilità al caso di specie dell’art. 373, comma 1 c.p.c. sulla base della ordinanza della Corte Costituzionale…;
-considerato la coesistenza di più pronunce di giudici tributari favorevoli alla società…;
-considerato che l’istante ha richiamato i dati desunti dal bilancio relativo all’esercizio chiuso al 31 dicembre 2009, dai quali si desume una critica situazione aziendale…;
-atteso che il richiamato art. 373 c.p.c. non connette all’accoglimento dell’istanza sospensiva la prestazione di garanzia a carico della parte rimasta soccombente”.
Una ordinanza e successiva sentenza, quindi, molto importanti perché viene fatta chiarezza su un punto assai controverso della disciplina del contenzioso tributario, dando una mano a quei contribuenti chiamati a versare importi rilevantissimi prima che sia appurata definitivamente la loro responsabilità.
8 agosto 2011
Giampiero Della Nina