Anomalie sul bilancio: la banca non restituisce il saldo di conto corrente

Il caso reale del blocco di un’operazione bancaria per mancato rispetto da parte del cliente della normativa antiriciclaggio.

Anomalie in bilancio e normativa antiriciclaggio

anomalie in bilancio e congelamento del conto corrente societario per la normativa antiriciclaggio

Il bilancio di esercizio di una società e la sua corretta determinazione delle poste di bilancio, ricopre un ruolo fondamentale anche ai fini della restituzione alla medesima società delle somme di denaro depositate sul conto corrente da parte di una banca.

Infatti l’interessante ordinanza del Tribunale di Prato n. 635 del 16 marzo 2011 (composizione collegiale)1, ha stabilito che la mancata indicazione nel bilancio di liquidazione di una società di una consistente somma di denaro depositata sul conto corrente bancario societario, costituisce una grave anomalia che legittima e obbliga la banca presso il quale è acceso il conto corrente a rifiutare al liquidatore la restituzione dell’importo in questione in ottemperanza agli obblighi imposti dalla normativa di prevenzione del riciclaggio.

Nello specifico caso, il liquidatore di una Srl, nella quale precedentemente era unico socio amministratore, a seguito della cancellazione della società dal Registro delle Imprese, chiedeva ad una banca la restituzione della somma di euro 235.000 depositata su di un conto corrente intestato alla società.

La banca dopo essere entrata in possesso del bilancio finale di liquidazione, faceva opposizione alla restituzione della somma in giacenza sul rapporto di conto corrente contestando l’esistenza di rilevanti anomalie che, visti gli obblighi imposti dal D.Lgs. 231/2007 in materia di antiriciclaggio, le imponevano di astenersi dal compiere l’operazione richiesta.

La lettura dell’ordinanza evidenzia da parte dei giudici la correttezza dell’operato della banca, il quale risulta essere ispirato da diverse incongruenze nonché da consistenti elementi di sospetto che l’operazione in questione presentava; infatti il bilancio di liquidazione della società non evidenziava alcun valore delle somme esistenti sul c/c societario e riportava in corrispondenza di tutte le voci dell’attivo e del passivo, e conseguentemente del capitale finale di liquidazione, l’importo di 0 euro.

La società ricorrente a sostegno della sua pretesa ha argomentato che la mancata indicazione nell’attivo di bilancio delle somme in questione era imputabile al fatto che tali somme erano di fatto già “impegnate” in quanto destinate ad essere utilizzate per estinguere un finanziamento precedentemente contratto dalla società.

Il collegio giudicante ha evidenziato la scarsa credibilità dell’argomentazione appena riportata visto che l’importo del finanziamento da restituire era notevolmente più elevato delle somme depositate in c/c, per cui se queste fossero state effettivamente impiegate ad estinzione di detto finanziamento sarebbe comunque residuata un’ingente posta debitoria che avrebbe dovuto essere indicata in contabilità ed invece, come rilevato, anche le passività del bilancio di liquidazione erano pari a 0 euro.

Alle evidenti anomalie appena descritte si aggiungevano altri profili di incongruenza tra i quali il fatto che il liquidatore nel richiedere alla banca la restituzione delle somme depositate in c/c ne aveva chiesto il trasferimento su un proprio conto privato acceso presso un istituto di credito estero facendo di conseguenza venir meno il proposito di estinzione del finanziamento, tanto più se si considera che il liquidatore aveva acquistato la totalità delle quote della Srl appena prima di procedere alla chiusura della società.

Infine a tutto ciò si aggiungeva l’atteggiamento processuale sospetto tenuto dal liquidatore che in sede di reclamo, a parziale modifica della versione dedotta in primo grado, sosteneva che solo una parte delle somme richieste alla banca sarebbero servite per estinguere il finanziamento e l’altra sarebbe stata utilizzata per finanziare una nuova attività di impresa.

Appare evidente che con specifico riferimento al contenuto della terza direttiva antiriciclaggio (D.Lgs n.231/2007) e alla sua pratica applicazione, il legislatore ha voluto porre a carico di alcuni soggetti, tra i quali gli operatori bancari e finanziari, obblighi che si aggiungono a quelli di semplice identificazione degli esecutori e/o ordinanti una certa operazione prima applicabili nella vigenza della legge 197/1991

 

Adeguata verifica della clientela

Infatti il D.Lgs n.231/2007 rispetto al precedente dettato normativo sulla materia, ha introdotto l’obbligo della c.d. “adeguata verifica della clientela” che, come chiaramente evidenziato nell’art. 18 del decreto in questione, si sostanzia nel:

  1. identificare il cliente e verificare la sua identità sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente;
  2. individuare e verificare l’identità del titolare effettivo delle transazioni;
  3. raccogliere informazioni sullo scopo e sulla natura del rapporto continuativo o della prestazione professionale;
  4. monitorare il rapporto e la prestazione professionale, in modo da verificare che le transazioni concluse siano compatibili con la conoscenza che si ha del proprio cliente, delle sue attività commerciali e del suo profilo di rischio tenuto sempre conto dell’origine dei fondi.

 

Gli obblighi descritti minuziosamente nel decreto rappresentano naturalmente solo una base di partenza per avviare quel processo di adeguata verifica della clientela non precludendo ulteriori controlli, verifiche ed approfondimenti da porre in essere a seconda della complessità e rischiosità dell’operazione o a seconda delle caratteristiche del soggetto analizzato.

L’operato posto in essere dalla banca che nel caso in questione si è astenuta dall’eseguire l’operazione impartita dal liquidatore della società poi ricorrente in giudizio, risulta assolutamente corretto anche in virtù di quanto disposto dal D.Lgs 231/2007 in tema di “obbligo di astensione” che si sostanzia, a norma dell’art. 23, nel dovere per tutti i soggetti destinatari della normativa di astenersi dall’eseguire l’operazione quando non sono in grado di espletare le attività di adeguata verifica della clientela (ad esempio, perché il cliente non fornisce le informazioni a tal fine necessarie) ovvero sospettano che una determinata operazione sia correlata a fenomeni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.

Più precisamente, in tali ultimi casi, gli enti e le persone soggette agli obblighi previsti dalla normativa sull’antiriciclaggio, prima di effettuare la segnalazione di operazione sospetta all’UIF (Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia), si astengono dall’eseguire l’operazione per consentire all’UIF di esercitare il potere di sospensione dell’operazione (per un massimo di cinque giorni lavorativi secondo quanto previsto dall’articolo 6, comma 7, lett. c, del decreto medesimo); allorché però l’astensione non è possibile (poiché sussiste un obbligo normativo di ricevere l’atto, l’operazione per sua natura non può essere rinviata, o vi è il rischio di ostacolare le indagini), sussiste comunque l’obbligo di immediata segnalazione di operazione sospetta.

Di seguito si riporta il testo integrale della sentenza appena commentata per consentire al lettore una più approfondita analisi del caso.

 

 


REPUBBLICA ITALIANA

TRIBUNALE DI PRATO

Riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei seguenti magistrati

 

Dott. Francesco Antonio Genovese – Presidente

Dott.ssa Maria Novella Legnaioli – Giudice

Dott. Marco Cecchi – Giudice rel.

 

ha emanato la seguente ordinanza fuori udienza nella causa iscritta al n° 635/2011 R.G.

 

Promossa da:

D … (in proprio e quale socio unico, amministratore e liquidatore della … S.r.l., cancellata dal registro delle imprese)

 

Contro:

C…

Con oggetto: reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c.

Il collegio, sciogliendo la riserva formulata a verbale d’udienza del 16.3.2011;

 

RILEVATO CHE

il reclamo avanzato da parte del sig. Danilo … è infondato e deve pertanto essere respinto; occorre anzitutto rilevare come non possa considerarsi suscettibile di accoglimento l’argomentazione di parte reclamante secondo cui il giudice di prime cure, avendo respinto il provvedimento ex art. 700 c.p.c. richiesto dal sig. … ritenendo insussistente il periculum in mora, avrebbe per ciò stesso ritenuto invece fondato nel merito il ricorso medesimo; in proposito appare condivisibile l’assunto argomentativo di parte resistente alla cui stregua, avendo il giudice constatato l’assenza del periculum in mora, non ha ritenuto necessario procedere ad alcuna ulteriore valutazione concernente il profilo del fumus (giacché comunque il ricorso sarebbe stato respinto);

nel contesto del provvedimento reclamato, del resto, non vi è alcun elemento che possa legittimare una conclusione nel senso prospettato da parte reclamante;

in tale prospettiva, ritenendo opportuno procedere alla valutazione inerente il fumus della pretesa del reclamante (trattandosi di aspetto in contestazione tra le parti), occorre preliminarmente ricordare come il sig. … avesse in prime cure chiesto in via d’urgenza di ordinare alla Cari… la restituzione della somma di € 235.000,00 depositata sul c/c 200510 intestato alla società … S.r.l. (precisando che tale società era già stata cancellata dal registro delle imprese e che il sig ne era stato l’unico socio, oltre che amministratore e liquidatore, avendo così diritto alla restituzione in proprio della somma in questione);

l’odierna resistente non risulta aver contestato (né nella prima fase della procedura né nel presente grado di impugnazione) la spettanza alla S.r.l. delle somme depositate sul predetto c/c 200510, né la qualifica del sig. … come liquidatore della stessa (e neppure – in un momento anteriore – quale unico socio ed amministratore di tale società), argomentando tuttavia di non aver proceduto alla restituzione della somma in questione sulla scorta della constatazione di incongruenze nella situazione prospettata dal sig. …, anomalie valorizzate dalla banca anche alla stregua degli obblighi su quest’ultima incombenti ai sensi del D.Lgs 231/2007, e ritenute dunque preclusive all’attuazione di operazioni connotate da mancanza di trasparenza (come ravvisato nel caso di specie);

così tratteggiato in termini generali il quadro descrittivo della vicenda occorre in particolare evidenziare come una prima anomalia evidenziata dalla Cari… sia costituita dal fatto che il sig ,
all’esito di specifica richiesta in tal senso da parte dell’istituto di credito, abbia prodotto il bilancio finale di liquidazione della … (richiesto appunto dalla Cari…, ai sensi dell’art. 2495 c.c., quale elemento dimostrativo del diritto del socio alla riscossione delle somme depositate sul conto), da cui era emerso come in tutte le voci di bilancio fosse indicato l’importo di € “zero”; in effetti la documentazione dimessa sul punto dal sig. … (cfr doc. 4 fascicolo Cari in prime cure) evidenzia come il “bilancio finale di liquidazione al 23/07/2009” della … S.r.l. in liquidazione riporti l’indicazione “euro 0” sia alla voce “attività”, che a quella “passività” che, infine, a quella “capitale finale di liquidazione”;

tale bilancio risulta peraltro approvato dall’assemblea del 24.7.2009 (cfr il medesimo doc. 4 cit.); è evidente come una prima, conclamata, discrasia tra le risultanze di tale bilancio e le prospettazioni del sig. … sia costituita proprio dalla sussistenza del deposito di € 235.000,00 sul c/c 200510; ulteriore, cospicua, discrasia è data dalla rappresentazione del debito della … S.r.l. nei confronti della società SMI – San Marino Investimeni s.a. per complessivi € 406.969,44 (cfr doc. 5 fascicolo del sig in prime cure), derivante da un finanziamento originario di € 380.000,00 concesso da tale società alla … S.r.l. (cfr docc. 1 e 2 del fascicolo da ultimo menzionato): sul punto va peraltro osservato come la sussistenza di tale ingente debito, ed il conseguente obbligo di sua estinzione, fosse stata in prime cure configurata dal ricorrente come il principale (ad anzi unico) elemento integrante la necessità per il sig di disporre immediatamente della somma depositata sul c/c in questione (cfr pg 1, 3 e, in particolare, 4 – ultime quattro righe dal fondo della pagina – del ricorso introduttivo); particolarmente anomalo, dunque, il fatto che di tale credito e di tale debito non fosse stata fatta menzione nel bilancio di liquidazione; il sig. … ha in proposito allegato che l’omessa menzione sarebbe scaturita da un mero “errore”, argomentando che l’importo presente sul c/c 200510 non sarebbe stato computato nell’attivo in quanto sostanzialmente non integrante una voce attiva, essendo destinato all’immediato trasferimento alla società finanziatrice SMI per estinguere il debito sopra menzionato (cfr pg. 3 del ricorso introduttivoin prime cure);

tale assunto, per il vero, appare di scarsa plausibilità, sol che si consideri anzitutto che, come detto, non solo il credito verso Cari…, ma neppure il debito verso SMI risulta menzionato nel bilancio di liquidazione (e nessuna giustificazione sul punto è stata addotta), e, inoltre, che il debito verso SMI è superiore di ben € 171.969,44 all’importo disponibile sul c/c più volte menzionato: di conseguenza, anche destinando immediatamente l’importo in questione al pagamento del debito verso SMI, sarebbe comunque residuata un’ingente posta passiva, che necessariamente avrebbe dovuto essere indicata in bilancio; anche accedendo alla versione ricostruttiva proposta dal ricorrente risultano dunque emergere incongruenze che rendono la stessa priva di intrinseca plausibilità;

l’oscurità afferente alle allegazioni ricostruttive del sig. …, peraltro, risulta incrementata dall’impostazione difensiva assunta dallo stesso in sede di reclamo ove, tra i fattori asseritamente
integranti il periculum in mora, non è più prospettata esclusivamente l’impossibilità per lo stesso sig di far fronte ai propri debiti, ma anche quella di non poter utilizzare la somma in questione al
fine di “…crearsi una nuova attività imprenditoriale” (così a pg. 4 del reclamo), in tal modo determinando l’insorgere dell’effettivo dubbio inerente il quomodo la somma in esame (già inferiore al debito verso SMI) potrebbe essere utilizzata per saldare tale debito e, altresì, garantire il successivo sviluppo imprenditoriale del sig ; quest’ultimo, per il vero, ha indicato che solo una parte dell’importo in questione dovrebbe essere destinata al pagamento del debito (cfr pg. 5 del reclamo) ciò che, tuttavia, da un lato non elide le incertezze già sopra delineate, e, dall’altro, determina a questo punto l’effettiva problematicità dei motivi per cui il credito in esame non sia stato indicato in bilancio (giacché, secondo la nuova impostazione difensiva del sig. …, risulta venuta meno la pur scarsamente verosimile motivazione inerente il non aver ritenuto la somma in questione una “posta attiva” in quanto interamente destinata al saldo del debito verso SMI: non constano del resto nuove argomentazioni inerenti il motivo dell’erronea indicazione dei dati di bilancio, pur a fronte del mutato assunto difensivo); in questo contesto deve poi prendersi atto dell’ulteriore elemento di anomalia costituito dal fatto che il sig. …, nel richiedere alla banca l’erogazione della somma in esame, ne ebbe ad ordinare il trasferimento su un proprio conto privato acceso presso un istituto di credito turco (la Halk Bank: allegazione della Cari , mai contestata in fatto dal sig. …, e comprovata comunque dalla documentazione dimessa dalla stessa Cari… al doc. 7 del fascicolo in prime cure), in tal modo incrementandosi le perplessità inerenti la destinazione della somma in questione, stante la palese discrasia tra le modalità inerenti la richiesta di versamento (su un contro privato su banca estera) e le finalità addotte a tale richiesta (il prospettato saldo del debito verso FMI); perplessità rafforzate dal fatto che il sig. … risultava aver acquisito la totalità delle quote della … S.r.l. in data 30.12.2008, salvo poi procedere alla messa in liquidazione della società stessa in data 20.2.2009 (cfr doc. 3 fascicolo del ricorrente in prime cure), interagendo quindi per la prima volta con la Cari… proprio con la richiesta di pagamento in questione (allegazione dell’odierna resistente, mai contestata da parte reclamante: cfr pg. 6 della comparsa di costituzione in prime cure);

occorre a questo punto ricordare come, a fronte della richiesta di pagamento del sig. …, la Cari… abbia assunto la decisione di non procedere all’esecuzione di tale operazione, in quanto potenzialmente sospettabile di non essere “trasparente” (“…con le possibili conseguenze di cui al citato D.Lgs 231/2007”: così a pg. 6 della memoria di costituzione in prime cure, con assunto poi reiterato anche nel presente grado);

nel corso della discussione orale (all’udienza del 16.3.2011) è stato peraltro fatto espresso richiamo al disposto dell’art. 23 di tale decreto legislativo; premesso che il D.Lgs 231/2007 risulta essere stato emanato in “Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione”, si ricorda come l’art. 23 dello stesso reciti, al primo comma:

“1. Quanto gli enti o le persone soggetti al presente decreto non sono in grado di rispettare gli obblighi di adeguata verifica della clientela stabiliti dall’art. 18, comma 1, lettere a), b) e c), non possono instaurare il rapporto continuativo né eseguire operazioni o prestazioni professionali ovvero pongono fine al rapporto continuativo o alla prestazione professionale già in essere e valutano se effettuare una segnalazione alla UIF, a norma del Titolo II, Capo III”,

prevedendo quindi al secondo comma che

“Prima di effettuare la segnalazione di operazione sospetta alla UIF ai sensi dell’art. 41 e al fine di consentire l’eventuale esercizio del potere di sospensione di cui all’art. 6, comma 7, lettera C), gli enti e le persone soggetti al presente decreto si astengono dall’eseguire le operazioni per le quali sospettano vi sia una relazione con il riciclaggio o con il finanziamento del terrorismo”

(ricordando come la UIF – ovvero l’Unita di Informazione Finanziaria per l’Italia, istituita presso la Banca d’Italia – possa sospendere, anche su richiesta del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza, della DIA e dell’autorità giudiziaria, per un massimo di cinque giorni lavorativi, sempre che ciò non pregiudichi il corso delle indagini, operazioni sospette di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, dandone immediata notizia a tali organi, ai sensi dell’art. 6, comma 7, cit.);

premesso che è indubbio che le banche rientrino tra gli enti soggetti al decreto in questione (in forza del combinato disposto degli artt. 10 e 11 dello stesso) va poi ricordato come l’art. 3 del D.Lgs in questione preveda in termini generali che

“1. Le misure di cui al presente decreto si fondano anche sulla collaborazione attiva da parte dei destinatari delle disposizioni in esso previste, i quali adottano idonei e appropriati sistemi e procedure in materia di obblighi di adeguata verifica della clientela, di segnalazione delle operazioni sospette, di conservazione dei documenti, di controllo interno, di valutazione e di gestione del rischio, di garanzia dell’osservanza delle disposizioni pertinenti e di comunicazione per prevenire e impedire la ealizzazione di operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.

Essi adempiono gli obblighi previsti avendo riguardo alle informazioni possedute o acquisite nell’ambito della propria attività istituzionale o professionale. 2. I sistemi e le procedure adottati ai sensi del comma 1 rispettano le prescrizioni e garanzie stabilite dal presente decreto e dalla normativa in materia di protezione dei dati personali. 3. Le misure di cui al presente decreto sono proporzionate al rischio di riciclaggio dei proventi di attività criminose o di finanziamento del terrorismo in relazione al tipo di cliente, al rapporto continuativo, alla prestazione professionale, al prodotto o alla transazione. 4. L’applicazione delle misure previste dal presente decreto deve essere proporzionata alla peculiarità delle varie professioni e alle dimensioni dei destinatari della presente normativa”;

in dottrina si è evidenziato l’innovativo approccio delineato dal citato D.Lgs 231/2007, in particolare per quanto concerne il profondo mutamento intercorso in ordine al sistema di prevenzione e rilevazione di operazioni di riciclaggio, imperniato sulla necessità di conoscenza della propria clientela, evidenziandosi che “il principio Know Your Customer è declinato con modalità fortemente diverse rispetto alla precedente previsione normativa.

Le differenze si possono cogliere in particolar modo, dal passaggio dal semplice obbligo di identificazione, consistente essenzialmente nell’acquisizione di informazioni sull’identità, ad un dovere di verifica…

Dall’analisi del nuovo regime normativo di adeguata verifica si riscontra che essa si estende dalla mera acquisizione dei dati identificativi sino alla attenta valutazione continua e costante delle operazioni svolte nel corso del rapporto.

Di conseguenza viene così esteso l’ambito dei compiti di conoscenza della clientela, muovendo dalla semplice identificazione sino a giungere alla eventuale rilevazione di operazioni sospette suscettibili, queste, di essere segnalate”; si è parimenti evidenziato come si sia operata un’espansione delle attività richieste ai destinatari delle prescrizioni del decreto legislativo in esame, i quali sono tenuti ad attivarsi non solo nei casi di anomalia tipizzati, ma anche ogni qual volta, sappiano, sospettino o abbiano motivi ragionevoli per sospettare, che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo;

rilevando altresì come tali soggetti non possano mancare di tenere nel debito conto tutte le operazioni che rivelino ingiustificate incongruenze rispetto alle caratteristiche oggettive del cliente e alla sua normale operatività; ciò nella prospettiva del c.d. “approccio basato sul rischio” di riciclaggio (fatto proprio peraltro dalle guidelines dell’organismo intergovernativo FATF – Financial Action Task Force –

“…By adopting a risk-based approach, it is possible to ensure that measures to prevent or mitigate money laundering and terrorist financing are commensurate with the risks identified. This will allow resources to be allocated in the most efficient ways. The principle is that resources should be directed in accordance with priorities so that the greatest risks receive the highest attention”);

sull’odierna resistente risulta dunque incombere tale corpus di obblighi di informazione, controllo, supervisione, segnalazione e, in ultimo (e non certo per rilevanza), astensione dall’esecuzione dell’operazione: in tale contesto deve quindi essere valutata la condotta tenuta da Cari… nella vicenda che qui interessa, al fine di valutare se la mancata ottemperanza di quest’ultima alla richiesta del sig possa considerarsi legittimamente operata (e ciò, peraltro, ai limitati fini e nella prospettiva necessariamente sommaria che risulta connotare la presente fase cautelare);

ritiene il collegio che la risposta a tale quesito debba essere positiva; la congerie di anomalie emergente dalla condotta tenuta dal sig. …, ancorata ad oggettivi elementi di incertezza (nei termini già sopra delineati) si presenta astrattamente idonea ad aver indotto nell’istituto di credito resistente un  legittimo dubbio (suffragato ulteriormente dalle inevase richieste di chiarimenti) in ordine alla “trasparenza” dell’operazione richiesta, suscettibile quindi di assumere rilievo ai sensi del citato D.Lgs 231/2007 e, in particolare, dell’obbligo di astensione previsto dall’art. 23, comma 2, dello stesso (come in precedenza ricordato);

né appare allo stato suscettibile di condurre a diversa conclusione l’argomentazione di parte reclamante, adombrata nel corso della discussione orale avutasi all’udienza del 16.3.2011, secondo cui la previsione di tale obbligo di astensione potrebbe astrattamente presentare i connotati di un provvedimento di sequestro adottato da un soggetto privato, al di fuori degli schemi procedurali e di garanzia previsti per tale tipo di misura reale, con conseguente sua problematica compatibilità con i dettami costituzionali; in proposito deve ritenersi, tuttavia, come nel caso di specie non sia dato ravvisare gli estremi di struttura di un provvedimento di sequestro, ma di una mera astensione dall’esecuzione di operazioni connesse ad obbligazioni di carattere contrattuale incombenti su un soggetto, normativamente prevista ed autorizzata (ed anzi, imposta), parametrata a peculiari esigenze di prevenzione di fattispecie criminose di vasta portata; la compressione delle prerogative della controparte contrattuale appare in tal senso frutto di un congruo bilanciamento delle esigenze sottese alle posizioni dei soggetti coinvolti, sì che non risultano ravvisabili profili di illegittimità costituzionale della normativa in questione (ai fini che qui interessano);

per quanto poi concerne il profilo del periculum in mora deve osservarsi come le valutazioni espresse dal giudice di prime cure si presentino del tutto condivisibili; non è infatti ravvisabile nel caso di specie alcuna tipologia di danno economico, in capo al sig. …, non suscettibile di essere risarcito in forza delle condizioni patrimoniali della resistente;

ciò sia che si abbia riferimento al danno diretto scaturente dalla mancata disposizione della somma in questione, sia che si prenda in considerazione la perdita di chance o il progressivo incremento del debito (per il computo degli interessi legali) nei confronti di terzi; in relazione, poi, alla contraddittorietà delle specifiche allegazioni del sig. … a sostegno dell’irreparabilità del pregiudizio (correlato alla necessità di estinzione del debito verso SMI – come indicato in sede di ricorso introduttivo – o alla compressione della propria facoltà di iniziativa economica – come addotto in sede di reclamo –) si è già dato conto supra, con rilievi da recepire anche ai fini della valutazione in esame, che ulteriormente inducono a ritenere non configurabile il danno nei termini di irreparabilità prospettati dall’odierno reclamante;

in relazione infine alle spese ritiene il collegio che, in considerazione della natura delle questioni affrontate e delle caratteristiche di novità delle stesse, risultino sussistere giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite;

 

P.Q.M.

Respinge il reclamo e compensa integralmente tra le parti le spese di lite.

Manda alla Cancelleria per le comunicazioni…,

Il Presidente Il Giudice

 


 

20 maggio 2011 Demauro Giuseppe

 

 

NOTE

1 L’ordinanza aveva già respinto il reclamo proposto ai sensi dell’articolo 669-terdecies C.p.c., dal liquidatore (ed al contempo amministratore e socio unico) di una Srl avverso la decisione con il quale il giudice singolo presso lo stesso Tribunale aveva in prima istanza già rigettato la richiesta avanzata dal medesimo liquidatore di un provvedimento d’urgenza (ex articolo 700 c.p.c) finalizzato sempre ad ottenere la restituzione del saldo di c/c dalla banca.

 

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