Le sanzioni antitrust sono indeducibili

arriva anche la conferma della Cassazione: le sanzioni irrogate dall’antitrust non sono deducibili fiscalmente dal reddito d’impresa

Con sentenza n. 8135 del 11 aprile 2011 (ud. del 13 dicembre 2010) la Corte di Cassazione ha ribadito il suo no alla deducibilità delle cd.sanzioni antitrust.

La sentenza

A mente dell’art. 75, c. 5, cit. TUIR nel testo originario, le spese e gli altri componenti negativi, di norma, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi od altri proventi che concorrono a formare il reddito.

La giurisprudenza di questa sezione ha da tempo chiarito che un costo può essere deducibile dal reddito d’impresa solo se e in quanto sia funzionale alla produzione del reddito stesso. Ciò posto, la correlazione fra costo e reddito è stata senz’altro esclusa con riferimento ai costi rappresentati dal pagamento di sanzioni pecuniarie irrogate per punire comportamenti illeciti del contribuente, quali – ad esempio le infrazioni alle norme sulla circolazione stradale: costi, perciò, ritenuti indeducibili (Cass. sez. 5, 29 maggio 2000, n. 7071; Cass. sez. 5, 13 maggio 2003, n. 7317), al pari degli interessi moratori su somme pagate a titolo di sanzione (Cass. sez. 5, 20 maggio 2009, n. 11766)”.

Osserva, ancora, la Suprema Corte che, oltre alle precitate decisioni in tema di sanzioni per infrazioni stradali e d’interessi su sanzioni amministrative, “ si è affermato anche che l’esborso effettuato per evitare indagini fiscali e la connessa interferenza sulla vita dell’impresa, a prescindere dalla sua ricollegabilità a concussione o corruzione, non concorre, direttamente o indirettamente, alla formazione del reddito, perchè non è fattore produttivo, ma tende soltanto a preservare il risultato dei fattori produttivi, e comunque non è atto della gestione d’impresa, ponendosi su un piano autonomo ed esterno (Cass. sez. 5, 19 aprile 2001, n. 5796). Similmente si è ritenuta la non detraibilità del riscatto pagato per la liberazione di un dirigente (Cass. 11 agosto 1995, n. 8818). In altre parole, l’illecito spezza, in ogni caso, il nesso di inerenza, atteso che “la spesa non nasce più nell’impresa”, ma in un atto o fatto, quello antigiuridico, che per sua natura si pone al di là della sfera aziendale”.

Si è affermata, altresì, la indeducibilità dal reddito d’impresa delle sanzioni pagate dall’imprenditore a titolo di condono edilizio (Cass. 07 settembre 2007, n. 1860, che però ammette la deducibilità per la quella parte di spese non avente natura sanzionatoria, come gli oneri di urbanizzazione).

Seguendo la stessa linea interpretativa e sempre agli effetti delle imposte sui redditi, si è ritenuto che anche le sanzioni irrogate dagli organismi garanti della concorrenza e del mercato per aver posto in essere pratiche concordate per falsare in maniera consistente la concorrenza sul mercato non sono deducibili dal reddito di impresa (Cass, sez. 5, 03 marzo 2010, n. 5050).

In quanto, non può “ essere negato carattere punitivo ad una sanzione che è inflitta a prescindere dal danno concretamente ricevuto dai consumatori. L’eventuale ristoro, infatti, non incide sulla tassabilità di proventi, pur derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo (L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4), ricompresi nelle categorie di reddito di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 1 (Cass. sez. 5, 09 novembre 2005 n. 21746). Invero, la condanna al risarcimento è un fatto non incidente sulla nascita dell’obbligo fiscale, sia perchè posteriore al sorgere del presupposto d’imposta dal quale scaturisce l’obbligo, sia perchè non è previsto tra i fatti impeditivi o estintivi della obbligazione tributaria (Cass. sez. 5, 05 giugno 2000, n. 7511); egualmente la sanzione per la violazione di un divieto da parte di un’impresa non deriva da un’attività connessa al corretto esercizio dell’impresa stessa e non può pertanto qualificarsi come fattore produttivo, trattandosi di condotta non soltanto autonoma ed esterna rispetto alla normale vita aziendale, “ma antitetica rispetto al corretto svolgimento di tale attività” (Cass., 2010/5050 cit.)”.

Osserva la Corte che “ pretendere, pertanto, che l’entità di tale sanzione costituisca un “costo” deducibile dal “reddito” imprenditoriale significherebbe neutralizzare interamente la “ratio” punitiva della penalità, trasformandola in un risparmio d’imposta, cioè in un “premio” per le imprese che abbiano agito in violazione delle norme antitrust (Cass., sez. 5, 03 marzo 2010, n. 5050)”.

Inoltre, “ disgiungere il divieto generale di pratiche anticoncorrenziali dalle sanzioni previste per l’inosservanza dello stesso Trattato equivarrebbe, quindi, a privare di efficacia l’azione delle autorità incaricate di vigilare sul rispetto del divieto in parola e di sanzionare siffatte pratiche. L’efficacia delle sanzioni inflitte dalle autorità garanti della concorrenza, nazionali o comunitarie, è pertanto una condizione per l’applicazione uniforme del trattato CE”. Quindi, “ dall’insieme delle suesposte considerazioni risulta che, in assenza di una previsione espressa, il diritto fiscale interno non può che essere interpretato nel senso che esso non autorizza la possibilità di dedurre dagli utili imponibili l’importo di un’ammenda, o parte di essa, inflitta dalla Commissione CE per violazioni anticoncorrenziali del Trattato”.

 

Nota

Su queste pagine1 avevamo avuto modo di criticare la sentenza n. 78 del 2 marzo 2011 (ud. del 7 febbraio 2011) della C.t.p. di Milano, Sez. III – che aveva ritenuto che il comportamento anticoncorrenziale determinasse comunque un incremento dei ricavi, creando un rapporto di inerenza con le sanzioni che scaturiscono dal comportamento errato del contribuente2.

In particolare, a nostro avviso, alle somme pagate a titolo di sanzione non può essere riconosciuto un carattere strumentale all’attività svolta e, di conseguenza, non si configura nella fattispecie il “requisito dell’inerenza” che rappresenta uno dei presupposti necessari per poter dedurre le somme in parola.

Le sanzioni amministrative, infatti, sono sempre “estranee” alla formazione del reddito per il fatto stesso di derivare da un “comportamento antigiuridico” tenuto dal contribuente e tale circostanza fa sempre venire meno la ricorrenza del requisito dell’inerenza all’attività d’impresa3.

Di conseguenza, se fosse concessa la possibilità di dedurre dal reddito d’impresa anche le sanzioni amministrative, ciò comporterebbe un’attenuazione della funzione punitiva-afflittiva assegnata alle stesse dall’ordinamento giuridico.

Sul punto, l’Amministrazione finanziaria – C.M. n. 98/2000 e R.M. n. 89/2001 – si è pronunciata per la sua indeducibilità, facendo leva principalmente su una pronuncia del Consiglio di Stato – Sezione VI, sentenza 20 marzo 2001, n. 1671-, dove si afferma che la sanzione per l’illecito anticoncorrenziale non ha natura risarcitoria, bensì di sanzione amministrativa con connotati punitivi. Conseguentemente, avendo tale sanzione natura afflittiva, la stessa sarebbe indeducibile.

Il riconoscere natura risarcitoria alle sanzioni in argomento, si porrebbe in contrasto con la già evidenziata evoluzione in senso penalistico delle sanzioni amministrative, posto che rimane tutta da dimostrare la natura “risarcitoria” di una qualche sanzione amministrativa, pur dotata di indubbie specificità come quella antitrust.

Si appalesa, quindi, in tutta la sua evidenza la difficoltà di riconoscere alle sanzioni amministrative una “strumentalità” all’attività d’impresa esercitata.

Ed invero, il costo sostenuto quale sanzione per la commissione di un qualsiasi illecito è cosa ben diversa dal costo sostenuto per generare dei proventi, avendo infatti solo quest’ultimo un carattere di strumentalità all’attività d’impresa in quanto dipendente da una libera scelta effettuata dall’imprenditore, mentre le sanzioni sono soltanto una conseguenza del comportamento illecito tenuto dallo stesso.

E’ evidente poi, che la mancanza di strumentalità della sanzione amministrativa all’attività d’impresa fa venir meno anche la sussistenza del requisito “dell’inerenza”.

 

6 maggio 2011

Gianfranco Antico

1 Cfr. ANTICO, Autorità garante della concorrenza e del mercato: la indeducibilità delle sanzioni, in www.ilcommercialistaelematico.com

2Preliminarmente, il Collegio rileva che “ il comportamento anticoncorrenziale, sanzionato in via amministrativa, ha contribuito a produrre maggiori ricavi imponibili e, quindi, il suo collegamento con l’attività dell’impresa e, dunque, l’inerenza, risulta in re ipsa, tanto che da sola basterebbe agiustificare la deducibilità fiscale delle sanzioni antitrust, in forza di un nesso diretto ed immediato con l’attività d’impresa. Esiste dunque un rapporto funzionale o, meglio, di causa – effetto tra l’attività posta in essere dalla ricorrente e il conseguimento dei maggiori ricavi imponibili”.I maggiori ricavi determinati producono più reddito e soprattutto gettito a beneficio dell’A.F. “ Se questo è l’assunto, le sanzioni de quibus sono dunque sussumibili alle fattispecie di cui all’art. 109, comma 5 TUR e, pertanto, confacenti al principio dell’inerenza, ivi ascritto. A guisa di un costo sostenuto, direttamente correlabile ad un ricavo conseguito, le sanzioni comminate dall’Autorità Garante sono da qualificarsi, a tutti gli effetti, costi deducibili ai fini della determinazione del reddito imponibile”.Per i giudici milanesi addurre che l’entità della sanzione costituisca un “costo deducibile” dal reddito imprenditoriale, “ non significa neutralizzare, interamente, la “ratio” punitiva della penalità, trasformandola in un risparmio di imposta, cioè quasi in un premio per le imprese che abbiano agito in violazione della norma antitrust. Come, da un lato, l’ufficio ha incassato maggiori imposte su un monte ricavi più elevato del normale (per maggiorazione dei prezzi), di conseguenza, bisogna anche considerare il relativo costo, rendendolo deducibile (sanzione antitrust), in quanto punizione che l’azienda ha pagato per aver venduto beni (e quindi ottenuto ricavi) in modo illecito, condizionando artificiosamente il mercato. Ci deve essere correlazione fra ricavi e costi“.Tali sanzioni hanno carattere “ripristinatorio” o “risarcitorio“, perché con la loro comminazione l’Autorità Garante anela a riequilibrare il mercato, compromesso dal comportamento anticoncorrenziale, (che deve avvenire commisurando la sanzione irrogata ai ricavi lordi dell’impresa).Data la peculiarità pubblicistica della medesima, questa va a colpire un comportamento che ha leso una serie di norme giuridiche, dirette alla tutela del mercato, ossia un interesse pubblico, e non collettivo, che ha comunque un diverso spessore rispetto al primo nell’ambito della gerarchia delle figure sostanziali di tutela del nostro ordinamento. E’ evidente il collegamento tra il presupposto di sanzione antitrust, il conseguimento di indebiti ricavi imponibili e l’intento del legislatore di captare, attraverso la sanzione, proprio quei ricavi indebitamente ottenuti con comportamenti atti a falsare la concorrenza”.Prosegue la sentenza: “ questo Giudice riprende anche l’orientamento della Cassazione, pressoché costante (Cass. Sez. Trib. 30/7/2007 n. 16826; Cass. Sez. Trib. 21/1/2009 n. 1465), giudica essenziale, ai fini della funzionale correlatività tra costi e ricavi, o meglio sull’incidenza che i costi hanno sulla determinazione dell’imponibile, non tanto la loro esplicita e diretta connessione ad una determinata componente del reddito, bensì la loro correlazione ad una attività potenzialmente idonea a produrre reddito, laddove l’avverbio “potenzialmente” rende ben chiaro il concetto di quelli che sono gli atti illeciti, o illegittimi, di cui si tratta, ossia quelli che attengono all’abuso di posizione dominante o intese tra le varie società, che eludono le norme poste a tutela della libera concorrenza”.Gli stessi giudici riconoscono però che “ è certo che, bisogna compiere un leggero sforzo interpretativo, tenuto conto della necessità di considerare un aspetto commerciale più ampio, e non limitato alla sola interpretazione del concetto di sanzione vera e propria. Se l’orizzonte interpretativo si amplia, e si incunea in una visione quasi a 360 gradi del contesto economico, non è difficile definire tale sanzione come costo deducibile”.

3 Cfr. Circolare 26/09/2005 n. 42/E, secondo la quale “Con specifico riferimento alle sanzioni derivanti dal compimento di attività illecite, essendo le stesse la conseguenza del comportamento illecito dell’imprenditore, non è possibile considerarle quali costi inerenti ai ricavi conseguiti. Non è configurabile, infatti, neppure in via indiretta alcun rapporto funzionale tra il costo stesso e i ricavi realizzati”.