Casi di detrazione IVA – Giurisprudenza tributaria

rassegna giurisprudenziale del mese di maggio 2011

Premessa.

Riprendiamo, dopo qualche tempo, l’illustrazione delle sentenze fiscali della Suprema Corte di Cassazione, riguardanti casi di detrazione dell’Iva.

In questa puntata, si affronteranno, tra gli altri, i temi dell’inerenza, della simulazione contrattuale, dell’influenza della previsione statutaria, del leasing, degli acquisti da cartiere, e delle irregolarità procedurali.

 

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Inerenza fondamentale nella detrazione dell’Iva

Osserva la Corte che non giova al ricorrente invocare la summenzionata giurisprudenza relativa alla detraibilità dell’imposta sugli acquisti, anche in caso di realizzazione di sole operazioni passive, propedeutiche all’attività dell’impresa. Ed invero, tale giurisprudenza si attaglia al caso – non ricorrente nella specie – in cui l’effettivo esercizio dell’impresa sia solo temporaneamente assente, sì che l’acquisto di beni o servizi possa essere ritenuto prodromico al successivo impiego produttivo (Cass. nn. 2729/01, 7808/08, 08/11765). Per converso, nel caso in esame, l’acquisto delle attrezzature necessarie all’esercizio dell’attività ricreativa non ricade in una fase preparatoria all’impiego produttivo delle stesse da parte della stessa, avendo detta società provveduto a locare i beni in questione ad un terzo. Ebbene, con riferimento a siffatta ipotesi, questa Corte ha già avuto – di recente (cfr. Cass. n. 281/10) – modo di rilevare che, in tema di IVA, non è legittima la detrazione dell’imposta pagata in rivalsa dal contribuente per l’acquisto di beni e servizi relativi ad immobili dati in locazione al di fuori dell’attività propria dell’impresa, e, per ciò, ad essa non direttamente strumentali. Va rilevato, infatti, che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, richiede, non soltanto il possesso da parte dell’acquirente della qualifica di imprenditore, ma anche l’inerenza dei beni o servizi acquistati, all’attività di impresa e, quindi, il collegamento funzionale dell’acquisto all’esercizio dell’attività imprenditoriale. E tale inerenza non può, di certo, ravvisarsi nell’ipotesi in cui il contribuente abbia detratto, dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, l’IVA pagata per spese di ristrutturazione di locali ed acquisto di attrezzature relative ad una azienda concessa in affitto ad un terzo.

(Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 805/11)

 

 

Un contratto è contestabile anche se non c’è giudizio di simulazione

L’Amministrazione finanziaria ha il potere di accertare la sussistenza della eventuale simulazione di un contratto in grado di pregiudicare il diritto alla percezione dell’esatto tributo, senza la necessità di un preventivo giudizio di simulazione. E’ devoluto al giudice tributario, in caso di contestazione, il potere di controllo sulla legittimità dell’atto impositivo così fondato attraverso l’interpretazione del negozio ritenuto simulato.

(Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 25017/10)

 

 

Previsione statutaria e detrazione dell’Iva

La detrazione dell’Iva può essere esercitata in riferimento alla cessione di una imbarcazione, anche se dallo statuto sociale risulti che l’attività del cedente non contempli la vendita di imbarcazioni, ma solo di motori marini. A fondamento di tale posizione, i giudici tributari di legittimità osservano che la licenza comunale di vendita prevedeva, seppure genericamente, la vendita di natanti. In ogni caso, il nesso immediato e diretto tra l’acquisto e la cessione, necessario per l’esercizio del diritto alla detrazione, si evincerebbe dalla giurisprudenza comunitaria, secondo la quale la tutela del principio di neutralità fiscale impone che la detrazione sia ammessa a prescindere dallo scopo o dai risultati dell’attività svolta dal soggetto passivo, a condizione che la stessa sia soggetta all’Iva e sussista il richiamato nesso di inerenza tra l’acquisto e la cessione.

(Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 5753/10)

 

 

Detrazione dell’Iva nel contratto di leasing

Questa Corte, anche alla luce della sesta direttiva del Consiglio del 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia CE, ha già affermato il principio secondo cui “in tema di I.V.A., il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art.19, comma 1, consentendo al compratore di portare in detrazione l’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio dell’impresa, richiede, oltre alla qualità d’imprenditore dell’acquirente, l’inerenza del bene acquistato all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene stesso rispetto a detta specifica attività, ed inoltre, non introducendo una deroga ai comuni criteri in tema di onere della prova, lascia la dimostrazione di detta inerenza o strumentalità a carico dell’interessato” (Cass. nn. 16730/2008, 11765/2008, 3022/2007). La norma citata, infatti – come la Corte ha avuto occasione di precisare nella sentenza cass. n. 1421/2008 che definiva una controversia analoga alla presente con le medesima parti – “consentendo al compratore di portare in detrazione l’IVA addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio di impresa, richiede un quid pluris rispetto alla qualità di imprenditore dell’acquirente, cioè l’inerenza o strumentalità del bene comprato rispetto all’attività imprenditoriale”. Il diniego della detrazione dell’IVA “a monte”, quando il bene comprato non sia strumentale all’esercizio dell’impresa, non determina un’illegittima duplicità d’imposizione. Nè può presumersi la sussistenza dei requisiti dell’inerenza e della strumentalità in ragione della qualità di società commerciale dell’acquirente. In base alla disciplina dettata dall’art. 4, comma 2, n. 1, e art. 19, comma 1, infatti, mentre le cessioni di beni da parte di società commerciali sono da considerare in ogni caso, cioè senza eccezioni, effettuate nell’esercizio di impresa, in ordine agli acquisti di beni da parte delle stesse società, l’inerenza all’esercizio dell’impresa di tali operazioni passive, ai fini della detraibilità dell’imposta, non può essere ritenuta in virtù della semplice qualità di imprenditore societario dell’acquirente, ma occorre accertare che le operazioni medesime siano effettivamente compiute nell’esercizio d’impresa, cioè in stretta connessione con le finalità imprenditoriali, con onere della prova a carico di chi invochi la detrazione (Cass. n. 5599/2003). Pertanto, un tale accertamento deve essere compiuto in concreto e non già, come nella specie, in astratto, e va rapportato all’oggetto sociale quale risulta dai documenti che la contribuente deve aver cura di allegare e provare.

(Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 3706/10)

 

 

Insufficiente ai fini della detrazione la memorizzazione dell’acquisto su supporto magnetico

Anteriormente alle modifiche intervenute giusta la L. n. 342/2000, a tutti gli effetti di legge la tenuta di qualsiasi registro contabile con sistemi meccanografici è considerata regolare in difetto di trascrizione su supporti cartacei, nei termini di legge, dei dati relativi all’esercizio corrente, quando anche in sede di controlli ed ispezioni gli stessi risultino aggiornati sugli appositi supporti magnetici e vengano stampati contestualmente alla richiesta avanzata dagli organi competenti ed in loro presenza.

(Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 22851/10)

 

 

Ristrutturazione di un locale locato a terzi

Ai fini della detrazione dell’imposta sul valore aggiunto assolta a monte, il titolare dell’impresa non deve soltanto integrare l’elemento soggettivo dovendo l’operazione economica collocarsi nel novero dell’inerenza rispetto all’esercizio dell’attività.

(Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 281/10)

 

 

Un errore procedurale non pregiudica il diritto alla detrazione

Nel caso di reverse charge, l’inosservanza da parte del contribuente delle formalità prescritte dalla normativa nazionale, ossia dell’obbligo di emettere autofattura, “non può privarlo del suo diritto a detrazione”, giacché “il principio di neutralità fiscale esige che la detrazione dell’IVA a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali siano omessi dai soggetti passivi” (essendo tali, in presenza di reverse charge, i cessionari o committenti): in tal senso, Corte di giustizia CEE, sent. 8.5.2008, in cause riunite C-95/07, C-96/07, le cui massime, per quanto interessa, sono le seguenti: “L’inosservanza da parte di un soggetto passivo delle formalità imposte da uno Stato membro in applicazione dell’art. 18, n. 1, lett. d), della sesta direttiva non può privarlo del suo diritto a detrazione posto che, in forza del principio di neutralità fiscale, la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto a monte dev’essere accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti passivi”. “I provvedimenti adottati dagli Stati membri affinché i soggetti passivi assolvano gli obblighi di dichiarazione e di pagamento o gli altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi non possono essere utilizzati in modo tale da rimettere sistematicamente in questione il diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto. Orbene, una prassi di rettifica e di accertamento che sanziona l’inosservanza, ad opera del soggetto passivo, degli obblighi contabili e di dichiarazione con un diniego dei diritto a detrazione, eccede chiaramente quanto necessario per conseguire l’obiettivo di garantire il corretto adempimento di tali obblighi ai sensi dell’art. 22, n. 7, della sesta direttiva, posto che il diritto comunitario non vieta agli Stati membri di irrogare, se del caso, un’ammenda o una sanzione pecuniaria proporzionata alla gravità dell’infrazione, allo scopo di sanzionare l’inosservanza dei detti obblighi”.

(Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 10819/10)

 

 

L’iva non si detrae quando si acquista da “cartiera”

Il costo dell’iva versata sulla fattura relativa ad operazione soggettivamente inesistente si appalesa quale costo non necessariamente inerente. Invero, il rapporto con lo svolgimento della specifica attività dell’impresa (che dà diritto alla detrazione) e, quindi, l’inerenza risulta connaturalmente sussistere in relazione all’iva, che sarebbe dovuta sull’operazione compiuta con l’effettivo cedente – prestatore, e che, tuttavia, resta evasa. L’iva corrisposta al soggetto interposto è, invece, costo, che, in realtà, non può considerarsi inerente allo svolgimento della attività istituzionale dell’impresa, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere in messo di inerenza. Gli indicati riscontri non possono, d’altro canto, esaurirsi nell’accertamento dell’avvenuta consegna della merce e di quello del pagamento della merce medesima e dell’iva riportata sulla fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanze non decisive, rispetto al tema della prova, in rapporto alle peculiarità del meccanismo dell’iva e dei relativi abusi; mentre, in base ai criteri generali in tema di onere della prova, essi vanno provati dal committente – cessionario che intende avvalersi della detrazione (Cass. n. 1950/07).

(Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 735/10)

 

 

Ancora sulla detrazione dell’Iva su fatture inesistenti

Nell’ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell’imposta versata in rivalsa al soggetto, diverso dal prestatore, che ha tuttavia emesso la fattura, non sorge per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta, ma richiede anche, a dimostrazione dell’effettiva inerenza dell’operazione all’attività di impresa, che il cessionario, il quale invochi la detrazione, fornisca sul proprio stato soggettivo riscontri precisi, che non si esauriscono nella prova dell’avvenuta consegna della merce e del suo pagamento, e dell’indicazione dell’Iva sulla fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanza non decisiva in rapporto alle peculiarità del meccanismo dell’Iva e dei relativi possibili abusi.

(Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 22195/10)

 

 

Non ammessa detrazione in caso di violazioni commesse da chi ha emesso la fattura

Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Corte, tale da giustificare il rigetto del ricorso del contribuente in camera di consiglio ex art. 375 del codice di procedura civile, il principio secondo cui la deducibilità dell’Iva versata per l’acquisizione di beni o servizi inerenti all’esercizio dell’impresa, prevista dall’art. 19 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, trova titolo nell’esatto adempimento degli obblighi di fatturazione e di registrazione di cui agli artt. 21, 23, 24 e 25 del citato decreto del Presidente della Repubblica, secondo i quali il cedente deve emettere la fattura per l’operazione imponibile, annotarla nel registro delle fatture e trasmetterne copia, con addebito del tributo, al cessionario, il quale deve, a sua volta, conservarla ed annotarla nel registro degli acquisti. Pertanto, l’ufficio finanziario, in presenza di una denuncia annuale che faccia valere le suddette poste a credito senza che esse trovino rispondenza in quelle fatture ed in quel registro, è legittimato e tenuto, nell’accertamento in rettifica, a depennare tali poste. Poi, qualora l’Amministrazione contesti l’indebita detrazione di fatture, ai fini Iva, perché relative ad operazioni inesistenti, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni Iva deve essere fornita dal contribuente con l’esibizione dei documenti contabili legittimanti, in mancanza della quale la detrazione va ritenuta indebita e, conseguentemente, l’ufficio può recuperare a tassazione l’imposta irritualmente detratta.

(Cassazione, sezione tributaria, sentenza n. 1592/06)