L’efficacia degli studi di settore secondo la Cassazione

Ogni sentenza della Cassazione ridefinisce la validità dell’accertamento in base agli studi di settore: una breve rassegna. A cura di Maria Leo.

L’accertamento da studi di settore alla luce delle pronunce della corte di cassazione, sezioni unite, n. 26635, 26636, 26637 e 26638 del 2009.

  1. Premessa

L’articolo 62-sexies del D.L. 331/1993, nel suo combinato disposto con l’articolo 39, comma 1, lettera d), del DPR 600/1973 e con l’art. 54 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dispone che gli accertamenti analitico-induttivi previsti da quest’ultime disposizioni possano essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’articolo 62-bis del Dl 331/1993.

Inoltre, l’art. 62-sexies, comma 3, prevede che:

“Gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 29-9-1973, n. 600, e successive modificazioni, e 54 del decreto del Presidente della Repubblica 26-10-1972, n. 633, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’articolo 62-bis del presente decreto”.

Come si evince dalla norme summenzionate gli studi di settore rappresentano uno strumento di accertamento del reddito previsto per agevolare l’attività accertatrice dell’Amministrazione Finanziaria qualora l’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati dal contribuente risulti inferiore all’ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base dello studio di settore applicabile all’attività dallo stesso esercitata.

Nella prassi, si è spesso verificato che, contrariamente da quanto richiesto dall’art. 62 sexies, comma 3, del D.L. 331/1993, gli accertamenti non si fondassero “sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis del presente decreto”.

Difatti, il principale problema sorto con l’applicazione degli studi di settore è stato l’assunzione delle risultanze degli stessi a rango di presunzione legale, seppur relativa. Ciò ha comportato che è onere dell’impresa o del professionista provare le ragioni per le quali non ha potuto raggiungere i ricavi/compensi previsti dallo studio di settore.

Difatti, l’Agenzia delle Entrate aveva, da subito (vedasi circolare 58/E del 2002), attribuito valore di presunzione legale relativa – su cui fondare l’accertamento – allo scostamento dei ricavi o compensi dichiarati da quelli attribuibili al contribuente sulla base dello studio di settore.

E nonostante abbia, poi, riconosciuto nella Circolare del 23 gennaio 2008 n. 5 che la locuzione “fondatamente desumibili” è il cardine sul quale ruota il corretto utilizzo delle stime operate dagli studi di settore, che, pertanto, sono utilizzabili solo laddove da esse sia, appunto, “fondatamente desumibile” l’ammontare dei ricavi, compensi e corrispettivi effettivamente conseguiti nel periodo di imposta considerato, nella realtà si è assistito ad accertamenti effettuati esclusivamente sulla base dello studio di settore applicabile all’attività esercitata, attraverso puri calcoli di algoritmi che non tenevano in minima considerazione l’effettiva situazione della contribuente.

 

  1. La posizione della Giurisprudenza e della recente Prassi.

Sostanzialmente differente la posizione della giurisprudenza sia di merito che di legittimità (vedasi Commissione Tributaria Provinciale e Regionale di Bari sentenze n. 228 del 26 gennaio 2007 e n. 8 del 13 febbraio 2007; Commissione tributaria regionale di Bari del 3 marzo 2009, n. 70; Corte di Cass. n. 19062 del 12/12/2003) che ha sempre ritenuto che le presunzioni derivanti dagli studi di settore debbano considerarsi semplici, sicché i risultati matematico-statistici di GE.RI.CO. valgono solo come elementi indiziari, con la conseguenza che è necessario il concorso di altri elementi perché l’accertamento sia legittimo, non potendo ritenersi che le presunzioni da studi abbiano di per sé i requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c., occorrendo il puntuale adattamento dello Studio alle specifiche caratteristiche dell’attività svolta dal contribuente.

Nel contesto testé delineato si inseriscono le pronunce della Suprema Corte, a sezioni unite, n. 26635, 26636, 26637 e 26638 del 2009, che hanno affrontato e chiarito definitivamente alcuni punti in merito all’accertamento basato sugli sudi di settore. In conseguenza di tali sentenze l’Agenzia delle Entrate, ha emanato la Circolare n. 19/E del 14 aprile 2010 con la quale ha espresso la propria posizione, anche e soprattutto in ragione dei principi manifestati dalla Cassazione.

Già da una prima lettura delle sentenze si evince che la Corte ha, in particolar modo, evidenziato la centralità del contraddittorio preventivo previsto espressamente dall’art. 10 della legge n. 146 del 1998, quale momento imprescindibile di contatto che consente al contribuente di esporre le ragioni che hanno determinato lo scostamento dallo studio di settore. Il principio chiaramente enunciato è il seguente:
“La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente (che può tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento), esito che, essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano state disattese. Il contribuente ha, nel giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dall’ente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente”.

L’Agenzia delle Entrate uniformandosi al suddetto principio, nella circolare n. 19/E del 14 aprile 2010, invita “le strutture territoriali a riesaminare le controversie pendenti concernenti la materia in esame e ad abbandonare – con le modalità di rito, tenendo conto dello stato e del grado di giudizio nonché delle considerazioni svolte nei successivi paragrafi – la pretesa tributaria in presenza di avvisi di accertamento basati sulle risultanze degli studi di settore, nei casi in cui non sia stata attivata la fase del contraddittorio (fermo restando quanto di seguito evidenziato con riguardo ai casi di inerzia del contribuente), sempre che la pretesa non sia comunque sostenibile”.

Tuttavia, ha un atteggiamento meno rigoroso sul punto relativo alla necessità, ribadita dalla Cassazione, che, nel caso di esito negativo del contraddittorio, le relative motivazioni, vengano enunciate nell’avviso di accertamento. Difatti, l’Agenzia ritiene che “quando tali ragioni sono comunque state esplicitate dall’ufficio in sede di contraddittorio e riportate nel relativo verbale ovvero siano comunque desumibili dal medesimo verbale, consegnato al contribuente e quindi da questi conosciuto”, non sia necessaria la loro enunciazione nell’avviso di accertamento.

Alla luce di quanto finora esposto, è ormai pacifico che in sede di accertamento, i parametri o gli studi di settore costituiscono un sistema di presunzioni semplici, che da sole non sono sufficienti a legittimare l’emissione di un avviso di accertamento. È, difatti, necessario la preventiva instaurazione del contraddittorio col contribuente affinché possa esporre le ragioni che hanno causato lo scostamento, e solo in caso di esito negativo del contraddittorio, adeguatamente motivato, l’A.F. potrà procedere all’emissione dell’atto.

 

24 giugno 2010

Maria Leo