Il termine per emettere nota di credito

In caso di recesso da un contratto, si può emettere nota di credito oltre l’anno?

nota di creditoN.B. Su questo argomento abbiamo pubblicato articoli più recenti, tra i quali Nota di credito ultrannuale e rimborso anomalo Iva: il rapporto fra gli istituti (2024)

 

La disdetta tramite raccomandata di un contratto di fornitura consente alla società cliente del servizio di emettere nota di variazione iva in diminuzione ai sensi dell’art. 26, co. 2, Dpr 26.10.1972, n. 633, senza ulteriori atti di accertamento negoziale o giudiziale.

Tale posizione, confortata da recenti orientamenti di prassi, appare aderente alle soluzioni fornite dalla giurisprudenza di legittimità.

Note di variazione in diminuzione, disciplina di riferimento

Secondo quanto previsto dal comma secondo dell’articolo 26, D.P.R. n. 633/72, se un’operazione per la quale è stata emessa fattura, successivamente alla sua registrazione, viene meno in tutto o in parte, o diminuisce l’imponibile o l’Iva relativa, il cedente del bene (ad es. bene finito) o il prestatore del servizio (ad es. servizi dipendenti da contratto di appalto per la ristrutturazione di un immobile) può effettuare una variazione in diminuzione dell’Iva precedentemente fatturata e portare in detrazione la diminuzione ai sensi dell’articolo 19 del D.P.R. 633/1972.

L’acquirente che abbia già registrato la fattura originale deve registrare la corrispondente variazione in aumento.

Pertanto per il cedente o prestatore la variazione in diminuzione è una facoltà, ma se questi la effettua l’acquirente ha l’obbligo di eseguire la corrispondente rettifica (C.M. 9 agosto 1975, n. 27).

Come noto, le variazioni in diminuzione vanno documentate da parte del cedente o prestatore con l’emissione di una nota di accredito a favore del cessionario o committente per l’importo corrispondente alla variazione.

Per la nota di accredito non sono previsti specifici requisiti, pertanto essa assume l’aspetto di una fattura (si utilizza lo stesso modulo delle fatture e si sostituisce la dizione “fattura” con “nota di accredito” o similare). La nota deve essere numerata, deve contenere l’indicazione della variazione e della relativa imposta (C.M. 21 novembre 1972, n. 27) e i dati identificativi della fattura originaria e deve essere annotata nei termini previsti per le fatture.

La procedura di variazione in diminuzione, con emissione di nota di accredito, va effettuata in conseguenza al verificarsi, ad esempio, dei seguenti casi:

dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione del contratto (ad es. contratto di appalto per la costruzione o la cessione di un immobile);

mancato pagamento, parziale o totale, della fattura a causa di procedure concorsuali (ad es. fallimento) o di procedure esecutive rimaste infruttuose;

successiva applicazione di sconti o abbuoni previsti nel contratto originario (non hanno rilevanza gli sconti o abbuoni derivanti da consuetudini o usi commerciali di qualsiasi genere – Cassazione 8 aprile 1992, n. 4310).

Come precisato dal comma terzo del citato articolo 26, D.P.R. n. 633/72, se le variazioni in diminuzione derivano da successivi accordi tra le parti o da rettifica di errori o inesattezze nella fatture (ad es. fattura emessa per operazioni inesistenti o corrispettivi o le relative imposte indicati in misura superiore al reale), tali variazioni devono essere eseguite entro un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile (se è già trascorso un anno è possibile chiedere all’Amministrazione il rimborso dell’Iva).

Ciò si verifica, ad esempio, nei casi di:

  • erroneo assoggettamento di operazioni ad Iva con aliquota ordinaria (20%) anziché agevolata (4% o 10%);

  • erroneo assoggettamento ad Iva di un’operazione esclusa;

  • concessione di sconti o abbuoni non previsti contrattualmente (R.M. 29 marzo 1991, n. 561299);

  • inadempimento di una parte delle obbligazioni assunte (C.T.C. 15 giugno 1988, n. 4928).

Caso di studio

Si suppone che una società svolga attività di provider internet. A tal fine, si ipotizza stipuli con i propri clienti contratti di fornitura del servizio in questione nel quale si prevede, tra l’altro, altresì la possibilità da parte del committente di recedere dallo stesso dando disdetta mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

La società, a seguito di pagamento anticipato da parte del cliente, emette regolare fattura con addebito del prezzo relativo ad un intero anno di fruizione del servizio offerto. A seguito di ciò, tuttavia, può accadere che, prima della scadenza del periodo oggetto di fatturazione, il cliente scelga di recedere dal contratto, dando apposita comunicazione così come previsto dal contratto a suo tempo stipulato.

Ci sii chiede se, nel caso specifico, la normativa consenta alla società cliente di emettere, ai sensi del comma 2 dell’art. 26 D.P.R. 633/72, nota di variazione in diminuzione con esposizione dell’IVA, anche decorso un anno dall’effettuazione dell’operazione principale, ovvero dall’emissione della fattura originaria, configurando il recesso una clausola risolutiva parziale contrattualmente prevista e, quindi, uno dei casi contemplati dal già citato art. 26, comma 2.

Soluzione ipotizzata

Diciamo subito che una recente presa di posizione ministeriale espressa attraverso la risoluzione ministeriale 31 marzo 2009 n. 85/E, consente – a parere di chi scrive – di risolvere favorevolmente la questione posta.

Più nel concreto, attraverso un comportamento attivo (invio disdetta mediante lettera raccomandata) il cliente si riserva il potere di risolvere il contratto di fornitura che, perfetto ed efficace nel momento della stipula, viene ad essere appunto risolto proprio in virtù di una clausola (avente natura potestativa, perché dipendente dalla volontà di una delle parti) che permette al cliente di riservarsi <un potere sulla sorte del contratto> di fornitura cui si discute.

La proposta casistica ha caratteristiche similari a quella trattata dall’Agenzia delle entrate nella citata risoluzione, (vertente in materia di risoluzione parziale del contratto) per cui riteniamo lecito estenderne le conclusioni ivi contemplate.

In tal prospettiva, una volta pervenuta la disdetta del cliente si realizza – a nostro avviso – la condizione risolutiva contrattualmente prevista ed accettata come tale dalle parti,

  • con facoltà per il prestatore di emettere nota di variazione in diminuzione dell’imponibile e della corrispondente IVA a storno di quanto già fatturato e contabilizzato

  • senza dovere rispettare il limite temporale di un anno previsto dal comma 3 dell’art. 26 DPR n. 633/72, potendosi ben inquadrare la casistica della risoluzione unilaterale del contratto nell’ambito del comma 2 del predetto articolo di legge, cosi come puntualizzato dalla pronuncia ministeriale prima menzionata.

Conforme a tale impostazione si segnala Cassazione n. 5568/1996, secondo cui verificatesi la risoluzione del contratto può essere emessa la nota di variazione in diminuzione, senza ulteriori atti di accertamento negoziale o giudiziale (cfr. in tal senso, COMELLI, Iva comunitaria, pag. 837, CARINCI, Le variazioni IVA, in Rivista di diritto tributario 2000, pag. 715).

Ove, in ipotesi, ci fossero contestazioni (da parte dei contraenti) circa l’avveramento della condizione risolutiva, per procedere alla variazione in diminuzione occorrerà attendere l’esito del giudizio verosimilmente instaurato (cfr. risoluzione ministeriale 1.7.1991 n. 500796).

25 maggio

Antonino Romano