Indicazione dell’aliquota IRPEF nell’avviso di accertamento: è necessaria a pena di nullità?

Integra violazione del principio di precisione e chiarezza l’omessa indicazione nell’avviso di accertamento dell’aliquota applicata ai fini della determinazione del debito tributario a titolo di imposta sul reddito, giusta il disposto dell’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973, in quanto la pretesa fiscale deve manifestarsi con esplicitazione dell’imponibile, dell’aliquota e dell’imposta accertata.

Intervento del giudice di legittimità

indicazione aliquota irpef nell'avviso di accertamento fiscaleTale importante principio è stato statuito dalla sentenza  n. 15381 del 27 febbraio 2008 (dep. l’11 giugno 2008) della Corte Cass., sez. tributaria.

Orbene, l’iter logico giuridico adottato da tale pronuncia ha evidenziato i seguenti capisaldi:

E’ prevalente nella giurisprudenza del giudice di legittimità la tesi secondo cui l’avviso di accertamento ai fini Irpef il quale non riporti l’aliquota applicata, ma contenga solo l’indicazione delle aliquote minima e massima, viola il principio di precisione e chiarezza delle indicazioni che è alla base del precetto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, della funzione di tutela del diritto di immediato e agevole controllo che al contribuente deve essere consentito, ed incorre, pertanto, nella sanzione di nullità disposta dal 3 comma dello stesso articolo (cfr ex pluribus Cass. sez.  trib.,  27  giugno  2005,  n. 13810).

Questa conclusione trova del resto conforto nella dizione letterale della legge secondo cui

“l’avviso di accertamento deve recare l’indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate”.

Si vuole cioè che l’avviso non rechi soltanto la tabella astratta delle aliquote, ma indichi le “aliquote applicate” al caso concreto; ed il plurale pone in evidenza come debba essere evidenziata quale aliquota sia applicata su ogni importo imponibile.

La legge vuole cioè che il contribuente sia messo in grado di comprendere le modalità di applicazione dell’imposta e la ragione del suo debito, senza che gli sia necessario ricorrere ad un esperto. E l’omissione dei necessari elementi di cognizione determina la nullità dell’atto così come espressamente affermato dell’art. 42, u.c. senza che sia consentita una valutazione di merito circa l’incidenza che l’omissione abbia avuto, in concreto, sui diritti del contribuente (come invece sostenuto dalla sentenza n. 9784 del 14 aprile 2008).ilor,

 

Riflessioni 

Secondo un preciso orientamento del giudice di legittimità non è nullo l’avviso di accertamento delle imposte sui redditi in cui siano indicate solo l’aliquota massima e quella minima senza la specifica individuazione dell’aliquota applicata nel caso concreto quando il giudice di merito ritenga che sia sufficiente l’indicazione delle aliquote, minima e massima, evincendosi l’indicazione dell’aliquota applicata dal “rinvio alla tabella di legge per la progressione intermedia”, ed essendo tale aliquota applicata comunque desumibile dal contribuente in forza degli elementi in suo possesso (Sent. N. 16277 del 13 giugno 2007 dep. il 23 luglio 2007 della Corte Cass. sez. Tributaria).

Non è nullo l’avviso di accertamento delle imposte sui redditi in cui siano indicate solo l’aliquota massima e quella minima senza la specifica individuazione della aliquota applicata nel caso concreto quando il giudice di merito ritenga che tale omissione non abbia pregiudicato il contribuente (Sent. n. 9784 del 5 febbraio 2008 dep. il 14 aprile 2008 della Corte di Cassazione); viceversa, secondo, diverso orientamento dello stesso giudice di legittimità l’avviso di accertamento ai fini Irpef il quale non riporti l’aliquota applicata, ma contenga solo l’indicazione delle aliquote minima e massima, viola il principio di precisione e chiarezza delle “indicazioni” che è alla base del precetto di cui all’art. 42 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (posto a tutela del diritto a un immediato e agevole controllo da parte del contribuente) ed incorre, pertanto, nella sanzione della nullità disposta dal comma 3 dello stesso articolo.

Peraltro, la nullità, per mancata o insufficiente indicazione dell’aliquota Irpef nell’avviso di accertamento, emesso sia ai fini Irpef che Ilor, colpisce l’atto nel suo complesso, senza possibilità di configurare una nullità parziale dello stesso, atteso che l’accertamento ha ad oggetto il reddito imponibile, che resta identico nelle due imposte: anche per l’Ilor non viene meno l’esigenza sull’avviso dell’aliquota applicata in concreto, che non è sempre del quindici per cento, poiché, in talune ipotesi, è prevista un’aliquota ridotta (Sent. n. 12921 del 16 aprile 2007 dep. il 1° giugno 2007 della Corte Cass. sez. tributaria).

 

Conclusioni

Nella pratica, quindi, si alternano pronunce di segno diverso per cui per evitare che l’esito delle relative controversie costituisca una sorta di lotteria urge una pronuncia a sezioni unite del giudice di legittimità, che fornisca indicazioni decisive, a livello ermeneutico.

Fermo restando che nel nostro sistema non esiste il vincolo al precedente (come ad esempio in Inghilterra) sussiste il vincolo giuridico delle sezioni semplici al rispetto del principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite, salva, in caso di dissenso, la possibilità di una  reinvestitura di queste ultime con ordinanza motivata volta a provocarne un ripensamento (art. 374).

Atteso che sussiste il principio costituzionale per cui il giudice è soggetto soltanto alla legge (art. 101, 2° comma, Cost.), il giudice davanti ad un principio enunciato dalle Sezioni Unite, ha tutta la possibilità di esporre le ragioni del suo dissenso e di contribuire alla rimeditazione del principio.

Attualmente le sezioni semplici della Cassazione devono nel decidere attenersi al precedente delle sezioni unite, e qualora non intendano aderirvi devono reinvestire della questione le stesse sezioni unite. Va esaltato il ruolo svolto dalle Sezioni unite della Corte, alle quali spetta il compito di pronunciare sentenze autorevoli, i cui principi siano applicati dalle sezioni semplici ovvero, consapevolmente disattesi dalle stesse, attraverso il meccanismo della rimessione alle Sezioni unite della medesima questione che s’intende decidere in maniera difforme rispetto al precedente; a tale fine, il vincolo delle sezioni semplici al precedente delle sezioni unite, comporta che, ove la sezione semplice non intenda aderire al precedente, debba reinvestire le sezioni unite con ordinanza motivata.

Peraltro, il rimedio in caso di decisione delle Sezioni semplici non conforme al principio di diritto delle Sezioni Unite sembra essere solo disciplinare, ma potrebbe altresì sostenersi che i giudici di rinvio non siano tenuti a conformarsi alle sentenze delle Sezioni semplici difformi dal precedente delle Sezioni Unite, potendo invece applicare direttamente il principio di diritto enunciato da queste ultime, anche se reso in un altro processo.

 

Angelo Buscema

11 luglio 2008

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ALLEGATO

Sent. n. 15381 del 27 febbraio 2008 (dep. l’11 giugno 2008) della Corte Cass. sez. tributaria

Svolgimento del  processo  –  La  sig.ra  L.S.  ricorre  per  cassazione deducendo cinque motivi avverso la sentenza 55/15/98 del 17 marzo  1998  con cui la Commissione Tributaria Regionale del Veneto in parziale  accoglimento dell’appello dell’Ufficio Imposte Dirette di C. determinava in L. 22 milioni per il 1988 e in L. 23 milioni  per  il  1989  il  reddito  d’impresa  della contribuente.

La amministrazione si è costituita con memoria,

La sentenza impugnata così motiva:

– l’avviso di accertamento ha posto in rilievo l’imponibile e le imposte liquidate con le indicazioni delle aliquote minime e massime previsti  dagli scaglioni per reddito, così come determinati per legge.

Tale accertamento ha pertanto soddisfatto quanto previsto dall’art.  42, comma 2 essendo definiti per legge e quindi noti gli scaglioni di reddito;

– in  merito  ai  valori  accertati  va  preliminarmente  osservato  che l’Ufficio ha rilevato una serie di indizi tra  loro  concordanti  che  hanno giustificato l’accertamento  induttivo.  Infatti  la  mancanza  di  giacenze finali cosi come dichiarato  dal  contribuente,  è  del  tutto  inverosimile

nell’attività aziendale del settore considerato. Tale grave indizio trova;

– riscontro nel carente reddito dichiarato posto in relazione  ai  costi del personale. Va comunque osservato che il criterio di valutazione al  fine della determinazione del reddito deve portare ad un valore coerente  con  le premesse del parametro  “costo  del  personale”.  È  pertanto  da  ritenersi

congruo, tenuto conto della remunerazione normale per il lavoro prestato, un reddito di L. 22.000.000 per l’anno 1988 e L. 23.000.000 per l’anno 1989.

Motivi della decisione – Deve trovare accoglimento il  primo  motivo  di ricorso attinente alla  mancata  indicazione  delle  aliquote  applicate  al reddito accertato a carico della contribuente. È  infatti  prevalente  nella giurisprudenza di questa Corte la tesi secondo cui l’avviso di  accertamento ai fini irpef il quale non riporti l’aliquota applicata,  ma  contenga  solo

l’indicazione delle  aliquote  minima  e  massima,  viola  il  principio  di precisione e chiarezza delle indicazioni che è alla base  del  precetto  del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, della funzione di  tutela  del  diritto  di immediato e agevole controllo che al contribuente deve essere consentito, ed

incorre, pertanto, nella sanzione di nullità  disposta  dal  3  comma  dello stesso articolo (cfr ex pluribus  Cass.  sez.  trib.,  27  giugno  2005,  n. 13810).

Questa conclusione trova del  resto  conforto  nella  dizione  letterale della legge secondo cui “l’avviso di accertamento deve recare  l’indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati,  delle  aliquote  applicate  e delle imposte liquidate”.

Si vuole cioè che l’avviso non rechi soltanto la tabella astratta  delle aliquote ma indichi le “aliquote applicate” al caso concreto; ed il  plurale pone in evidenza come debba essere evidenziata quale aliquota sia  applicata su ogni importo imponibile.

La  legge  vuole  cioè  che  il  contribu ente  sia  messo  in  grado  di comprendere le modalità di applicazione dell’imposta e la  ragione  del  suo debito, senza che gli sia necessario ricorrere ad un esperto. E la omissione dei necessari elementi di cognizione determina  la  nullità  dell’atto  così

come espressamente affermato dell’art. 42, u.c., senza  che  sia  consentita una valutazione di merito circa l’incidenza che la omissione abbia avuto, in concreto, sui diritti del contribuente (come invece sostenuto dalla sentenza n. 9784 del 14 aprile 2008).

I residui motivi risultano così assorbiti.

È possibile decidere la controversia ex art. 384 c.p.c..

Appare opportuno procedere a compensare le spese.

P.Q.M. – La Corte:

Accoglie il primo motivo di  ricorso,  assorbiti  gli  altri.  Cassa  la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il  ricorso  introduttivo della contribuente. Compensa le spese dell’intero giudizio.