Non sussiste nessun obbligo per l’Amministrazione finanziaria di sentire il contribuente; e in particolare per le indagini bancarie. Approfondimento a cura di Concetta Pagano.
Se in questi anni il dialogo Fisco – Contribuente nel procedimento dell’accertamento tributario è stato visto come momento di personalizzazione del rapporto tributario, e inserito nel quadro del principio costituzionale del diritto alla difesa, tuttavia è noto che non sussiste nessun obbligo per l’Amministrazione finanziaria di sentire il contribuente; e in particolare per le indagini bancarie.
E di questo se ne è fatta interprete, ancora una volta la Cassazione, con la sentenza n. 16837 del 1° aprile 2008, dep. il 20 giugno 2008.
Per la Corte, l’invito al contribuente a fornire chiarimenti
“non è obbligatorio per l’ufficio, ma costituisce una mera facoltà…..non essendo retta l’attività amministrativa dal principio del contraddittorio; con la conseguenza che dal mancato esercizio di tale facoltà non deriva alcuna illegittimità dell’accertamento (Cass. nn. 2450/2007, 18421/2005, 6232/2003, 8422/2002, 4273/2001)”.
Il pensiero del Fisco sul contraddittorio
Prende corpo e si consolida, quindi, il pensiero dell’amministrazione finanziaria, espresso nella circolare n. 32/2006, dove ha dedicato il capitolo 4, punto 4, alla problematica relativa al contraddittorio.
Pur se il contraddittorio risulta
“essenziale nella fase prodromica dell’accertamento in quanto l’indagine – prima solamente di natura bancaria e ora più in generale finanziaria -, pur realizzando un’importante attività istruttoria, non costituisce uno strumento di applicazione automatica, atteso che i relativi esiti devono essere successivamente elaborati e valutati per assumere, non solo in sede amministrativa ma anche in quella giudiziaria, la valenza di elementi precisi e fondanti ai medesimi fini impositivi”.
Il preventivo contraddittorio pur se
“opportuno per provocare la partecipazione del contribuente, finalizzata a consentire un esercizio anticipato del suo diritto di difesa, potendo lo stesso fornire già in sede precontenziosa la prova contraria, e rispondente a esigenze di economia processuale, al fine di evitare l’emissione di avvisi di accertamento che potrebbero risultare immediatamente infondati alla luce delle prove di cui il contribuente potesse disporre”,
è solo una mera facoltà dell’ufficio, senza che rivesta carattere di obbligatorietà.
In ogni caso,
“il mancato invito dell’ufficio medesimo non inficia la legittimità della rettifica, ove basate sulle presunzioni previste dalle norme in esame. Peraltro, detto orientamento sostiene che la mancata instaurazione del contraddittorio non degrada la prevista presunzione legale a presunzione semplice, fermo restando, quindi, l’onere probatorio contrario in capo al contribuente (da ultimo, Cassazione n. 8253/2006 e n. 5365/2006)”.
In ordine alla legittimità del contraddittorio svolto dalla Guardia di Finanza, la circolare n. 32/2006 osserva che
“stante la diretta riconducibilità all’attività di accertamento della valutazione delle risposte e dei chiarimenti forniti dal contribuente, spetta esclusivamente all’ufficio locale – istituzionalmente e territorialmente competente in ragione del domicilio fiscale del contribuente soggetto a controllo – la decisione finale circa l’attitudine degli esiti acquisiti a costituire il presupposto da porre a base della rettifica o dell’accertamento, secondo lo schema legale della presunzione e del conseguente onere della prova liberatoria offerta dal contribuente”.
Qualora il contraddittorio sia stato svolto dalla Guardia di finanza,
“il contributo offerto da tale contraddittorio, se ritenuto appagante per l’analisi dell’ufficio, esonera quest’ultimo dalla successiva ripetizione dell’esperimento, sempreché formalizzato in un processo verbale”.
Ovviamente, atteso che titolare del potere di accertamento è solo l’ufficio locale e che le risultanze del contraddittorio formalizzate in un processo verbale costituiscono solo un atto istruttorio (sia se esperito dai verificatori degli uffici locali che dalla Guardia di Finanza)
“qualora gli esiti di tale contraddittorio non si rivelino coerenti con le risultanze istruttorie e le elaborazioni analitiche dell’ufficio, questo, al precipuo fine di utilizzare la presunzione legale di cui ai ripetuti numeri 2), provvederà ad approfondire direttamente le incongruenze o le esigenze successivamente evidenziatesi rispetto al contenuto del verbale pervenuto, tramite la ripetizione del contraddittorio già effettuato”.
La giurisprudenza in tema di contraddittorio col Fisco
In questi la giurisprudenza della Corte di Cassazione, più volte, ha avuto modo di occuparsi della questione. Riportiamo i passaggi più salienti di alcune sentenze della Cassaazione:
Sent. n. 10964 del 14.5. 2007
L’utilizzazione da parte dell’Amministrazione finanziaria dei movimenti dei conti correnti bancari in disponibilità del contribuente, al fine dell’accertamento ( tanto per le imposte dirette quanto dell’Iva), è legittima, anche in assenza di preventiva convocazione dell’interessato al fine di consentirgli di giustificare le operazioni bancarie oggetto di verifica, giacchè nessuna norma impone detta convocazione.
Sent. n. 16720 del 27.7.2007
“In tema di accertamento delle imposte sui redditi, è legittima, in virtù della presunzione di cui all’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, l’imputazione dei versamenti operati su conti correnti bancari a ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività d’impresa, e spetta al contribuente medesimo fornire, in sede amministrativa o contenziosa, la prova contraria, senza necessità per l’Amministrazione di instaurare un contraddittorio precontenzioso” (cfr., per tutte, Cass. n. 2814/2002).
Sent. n. 1405/2008
Costituisce principio consolidato, che consente l’accoglimento in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. del ricorso dell’Agenzia, l’affermazione secondo cui l’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui prevede l’invito al contribuente a fornire dati e notizie in ordine agli accertamenti bancari, non impone all’ufficio l’obbligo di uno specifico e previo invito, ma gli attribuisce una mera facoltà, della quale può avvalersi in piena discrezionalità; il mancato esercizio ditale facoltà non può quindi determinare l’illegittimità della verifica operata sulla base dei medesimi accertamenti, né comporta la trasformazione della presunzione legale posta dalla norma in esame in presunzione semplice, con possibilità per il giudice di valutarne liberamente la gravità, la precisione e la concordanza e con il conseguente onere per il Fisco di fornire ulteriori elementi di riscontro.
A chi giova il contraddittorio col Fisco? Brevi riflessioni finali
A chi giova il contraddittorio ? E’ questa la domanda che spesso ci si pone. All’ufficio, che tenta di scoprire le carte del contribuente o al contribuente che tenta di difendersi, trincerandosi dietro i non ricordo?
A carte scoperte o a carte coperte. Il dilemma non è facilmente risolvibile.
Il contraddittorio ha un valore, a nostro avviso, solo quando entrambi i giocatori giochino a carte scoperte.
Ma se il contribuente tenta di fare il furbo, a sua volta l’ufficio si trincera e si copre.
Quando conviene per il contribuente giocare a carte scoperte?
Secondo noi quando sa le carte che ha in mano. Se è in grado di giustificare che quel versamento rinvenuto sul suo conto è frutto di un servizio debitamente fatturato, è ovvio che gli conviene difendersi. Ma se sa che non è in grado di giustificare quel movimento, fa retromarcia.
E’ per questo che non è obbligatorio il contraddittorio. Essenziale ed opportuno, ma spesso non serve.
E’ vero che è difficile giustificare a distanza di anni i propri movimenti sul conto, ma è pur vero che se non ho evaso la contabilità parla da sola.
L’evasore incallito gioca in sede di contraddittorio: attacca e poi si difende, fa un passo avanti e due indietro.
E poi si gioca la carta del contenzioso…
A cura di Concetta Pagano.