Con sentenza n. 1405 del 22 novembre 2007 (dep. il 23 gennaio 2008) la Corte di Cassazione ha affermato che il mancato esercizio del contraddittorio da parte dell’ufficio – che costituisce comunque una facoltà e non un obbligo – non può degradare la presunzione legale posta dalla norma in esame in presunzione semplice, con possibilità per il giudice di valutarne liberamente la gravità, la precisione e la concordanza e con il conseguente onere per il Fisco di fornire ulteriori elementi di riscontro.
La Corte, preliminarmente, ha affermato che la motivazione degli atti di accertamento “per relationem“, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura, che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (Cass. 10205/2003; conf. 17243/2003, 25146/2005).
Successivamente si è occupata della questione del contraddittorio:
“secondo la giurisprudenza di questa Corte, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, nella parte in cui prevede l’invito al contribuente a fornire dati e notizie in ordine agli accertamenti bancari, non impone all’Ufficio l’obbligo di uno specifico e previo invito, ma gli attribuisce una mera facoltà, della quale può avvalersi in piena discrezionalità; il mancato esercizio di tale facoltà non può quindi determinare l’illegittimità della verifica operata sulla base dei medesimi accertamenti, né comporta la trasformazione della presunzione legale posta dalla norma in esame in presunzione semplice, con possibilità per il giudice di valutarne liberamente la gravità, la precisione e la concordanza, e con il conseguente onere per il Fisco di fornire ulteriori elementi di riscontro” (Cass. 14675/2006; conf. 26293/05, 7267/02).
Indagini bancarie – Osservazioni e analisi
La sentenza in esame, al di la della ormai vecchia questione che legittima la motivazione per relationem (1), investe due questioni legate alle indagini bancarie:
a) la legittimità dell’avviso di accertamento basato sulle risultanze bancarie viene meno se l’ufficio non ha effettuato il contraddittorio ?
a) la mancanza di contraddittorio degrada la presunzione da legale a semplice?
Proviamo a svolgere una seria riflessione sulle due domande.
Legittimità dell’avviso di accertamento basato sulle risultanze bancarie anche in assenza di contraddittorio
L’Amministrazione finanziaria il 19 ottobre 2006 ha diramato la circolare n. 32 con la quale in ordine al contraddittorio ha evidenziato che, pur se il contraddittorio risulta
“essenziale nella fase prodromica dell’accertamento in quanto l’indagine – prima solamente di natura bancaria e ora più in generale finanziaria -, pur realizzando un’importante attività istruttoria, non costituisce uno strumento di applicazione automatica, atteso che i relativi esiti devono essere successivamente elaborati e valutati per assumere, non solo in sede amministrativa ma anche in quella giudiziaria, la valenza di elementi precisi e fondanti ai medesimi fini impositivi”.
Ed ancora: il preventivo contraddittorio pur se
“opportuno per provocare la partecipazione del contribuente, finalizzata a consentire un esercizio anticipato del suo diritto di difesa, potendo lo stesso fornire già in sede precontenziosa la prova contraria, e rispondente a esigenze di economia processuale, al fine di evitare l’emissione di avvisi di accertamento che potrebbero risultare immediatamente infondati alla luce delle prove di cui il contribuente potesse disporre”,
è solo una mera facoltà dell’ufficio, senza che rivesta carattere di obbligatorietà.
“ ..Pertanto il mancato invito dell’ufficio medesimo non inficia la legittimità della rettifica, ove basate sulle presunzioni previste dalle norme in esame.
Peraltro, detto orientamento sostiene che la mancata instaurazione del contraddittorio non degrada la prevista presunzione legale a presunzione semplice, fermo restando, quindi, l’onere probatorio contrario in capo al contribuente (da ultimo, Cassazione n. 8253/2006 e n. 5365/2006)”.
Il valore probatorio degli elementi raccolti, configurando una presunzione di natura juris tantum, potrà essere ribaltato dal contribuente in sede precontenziosa o meno, fornendo, le prove di volta in volta necessarie.
In ordine alla legittimità o meno del contraddittorio esperito da un organo diverso dall’ufficio competente, la circolare osserva che
“stante la diretta riconducibilità all’attività di accertamento della valutazione delle risposte e dei chiarimenti forniti dal contribuente, spetta esclusivamente all’ufficio locale – istituzionalmente e territorialmente competente in ragione del domicilio fiscale del contribuente soggetto a controllo – la decisione finale circa l’attitudine degli esiti acquisiti a costituire il presupposto da porre a base della rettifica o dell’accertamento, secondo lo schema legale della presunzione e del conseguente onere della prova liberatoria offerta dal contribuente”.
Qualora il contraddittorio sia stato svolto dalla Guardia di finanza,
“il contributo offerto da tale contraddittorio, se ritenuto appagante per l’analisi dell’ufficio, esonera quest’ultimo dalla successiva ripetizione dell’esperimento, sempreché formalizzato in un processo verbale”.
Atteso che titolare del potere di accertamento è solo l’ufficio locale e che le risultanze del contraddittorio formalizzate in un processo verbale costituiscono solo un atto istruttorio ( sia se esperito dai verificatori degli uffici locali che dalla Guardia di Finanza)
“qualora gli esiti di tale contraddittorio non si rivelino coerenti con le risultanze istruttorie e le elaborazioni analitiche dell’ufficio, questo, al precipuo fine di utilizzare la presunzione legale di cui ai ripetuti numeri 2), provvederà ad approfondire direttamente le incongruenze o le esigenze successivamente evidenziatesi rispetto al contenuto del verbale pervenuto, tramite la ripetizione del contraddittorio già effettuato”.
Né possiamo sostenere che questa è la posizione delle Entrate mentre la giurisprudenza è di segno opposto.
Infatti, la recentissima sentenza n. 2821 del 6 novembre 2007 (dep. il 7 febbraio 2008) aveva già evidenziato che non osta alla legittimità degli accertamenti bancari il mancato coinvolgimento del contribuente.
La Cassazione, nella citata sentenza n. 2821/2008, in ordine alla questione posta, smantella la difesa di parte, richiamando quanto ha già avuto modo
“di ripetutamente affermare (Cass., trib., 23 giugno 2006 n. 14675, cit.; 27 giugno 2005 n. 13808; 17 maggio 2002 n. 7267; 29 marzo 2002 n. 4601; 26 febbraio 2002 n. 2814; 18 gennaio 2002 n. 518, tra le recenti) …che va confermato in quanto nelle esposte argomentazioni della contribuente non si ravvisano convincenti argomentazioni per discostarsi dallo stesso: ….la legittimità della utilizzazione, da parte dell’ Amministrazione Finanziaria, dei movimenti dei conti correnti bancari non è condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente sin dalla fase dell’accertamento, atteso che l’art. 32 DPR 29 settembre 1973 n. 600, invocato dalla contribuente, prevede il contraddittorio come oggetto di una mera facoltà dell’ amministrazione tributaria e non già di un obbligo per la stessa”.
Pertanto, non possiamo che concludere che il contraddittorio non è necessario per dare legittimità agli atti di accertamento, in quanto nessuna norma prevede la nullità dell’azione di accertamento nel caso in cui non venga instaurato il contraddittorio anticipato con il contribuente, al fine di consentirgli di fornire la prova contraria.
La mancanza di contraddittorio non degrada la presunzione da legale a semplice
Il dettato normativo di riferimento dei controlli bancari/finanziari si rinviene, per le imposte dirette, negli artt. 32, comma 1, n. 2, 5 e 7 del D.P.R. n. 600/1973, e per l’IVA, nell’art. 51, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, così come modificati dai commi 402, 403 e 404, dell’art. 1, dalla legge n. 311/2004 – cd. Finanziaria 2005, e dalle norme introdotte dall’art. 37, commi 4 e 5, del D.L. n.223/06, conv. con modif. in Legge n. 248/2006.
Tale forma di indagine trae alimento dalla presenza di presunzioni iuris tantum, e dunque dall’inversione dell’onere della prova, posto a carico dei soggetti sottoposti a controllo.
Se è vero che siamo in presenza di presunzioni relative, per la forza data dalla norma, si atteggiano quasi a presunzioni assolute, poiché richiedono delle prove forti per dimostrare i fatti impeditivi od ostativi al verificarsi del presupposto d’imposta, posto che gli stessi giudici tributari trovano nella perentorietà delle norme un limite alla propria discrezionalità.
Sulla base del dettato normativo, gli elementi risultanti dal conto sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza per lo stesso fine: pertanto, i prelevamenti, oltre che i versamenti, si considerano ricavi tassabili ai fini delle imposte sul reddito, qualora non sia indicato il beneficiario o non si abbia riscontro nelle scritture contabili tenute dal contribuente.
Ai fini Iva i prelevamenti sono considerati come pagamenti per operazioni passive non autofatturate (limitatamente ai soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili), e sia le operazioni imponibili (desunte dagli accreditamenti) sia gli acquisti (desunti dagli addebitamenti), che sulla base dei conti intrattenuti non trovano riscontro nella dichiarazione, si considerano effettuati all’aliquota che mediamente risulta prevalente o che in prevalenza avrebbe dovuto essere applicata.
In pratica, l’equazione prelevamenti uguale ricavi deriva dal fatto che normalmente le uscite non giustificate riguardano costi sostenuti in nero proprio perché correlati a ricavi non contabilizzati (cfr. Comm. Trib. Prov. di Milano, Sez. XXI, sent. n.148 del 21 maggio 2004). Il contraddittorio personale del contribuente con l’Ufficio non costituisce un presupposto dell’ accertamento che intenda fondarsi sui dati risultanti dai conti bancari, né la presunzione di ricavi sia sui versamenti che sui prelevamenti, viene meno qualora non sia instaurato il contraddittorio tra ufficio e contribuente.
In pratica non è sostenibile la tesi secondo cui il contraddittorio preventivo costituisce presupposto delle presunzioni legali, né che costituisce un contrappeso della presunzione legale relativa di imponibilità dei movimenti bancari.
La Corte di Cassazione, sbriciola infatti il teorema di quanti sostengono che, una volta emesso l’accertamento, in difetto di instaurazione del contraddittorio, sarebbe l’ufficio a dover fornire, sia pure utilizzando le norme sul valore probatorio di versamenti e prelevamenti, la prova della gravità, precisione e concordanza degli elementi ricavati dall’esame dei conti. La prova, invece, resta sempre a carico del contribuente.
Francesco Buetto
25 Febbraio 2008
(1) Ancora la Corte di Cassazione, con sentenza n. 282 del 6 luglio 2006, dep. il 9 ottobre 2006, ha riaffermato che il rinvio operato dall’avviso di accertamento al contenuto del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza non costituisce assenza di autonomia di giudizio da parte dell’Amministrazione finanziaria, quanto deliberata e critica adesione alle conclusioni raggiunte dai verificatori.
Sempre la Suprema Corte, con sentenza n. 13578 dell’11 giugno 2007, ha confermato che l’avviso di accertamento motivato per relationem realizza un’economia di scrittura e resta valido sul piano della motivazione ove contenga un rinvio ad atti o documenti, ancorchè non allegati o riprodotti, conosciuti o conoscibili da parte dei contribuenti, e lo stesso soddisfa l’obbligo di motivazione ogni qual volta il pvc sia stato regolarmente notificato o consegnato al contribuente, così da conoscere la pretesa tributaria ( cfr. anche Cass. sent.n. 16100 del 20 luglio 2007).
Ed ancora la sentenza n. 17807 del 26 giugno 2007 (dep. il 21 agosto 2007) della Corte di Cassazione ha ribadito che è
“ principio di giurisprudenza consolidato di questa Corte quello secondo cui la motivazione dell’avviso di rettifica effettuata, anteriormente all’entrata in vigore dell’art.7 della L. n. 212/2000 ed alla modifica eseguita all’art.56 del D.P.R. n. 633/1972 dall’art.2 del D.Lgs. n. 32/2001, con richiamo al processo verbale di constatazione della Guardia di finanza è legittima, ove tale atto sia conosciuto o conoscibile dal destinatario dell’avviso stesso (cfr, ex multis, Cass. civ., sentenze n. 18117 del 2004 e n.6232 del 2003)”.
Sempre la Corte di Cassazione, con sentenza n. 18372 del 5 luglio 2007, dep. il 31 agosto 2007, ha dichiarato che è legittimo l’avviso di accertamento motivato per relationem sulla base di elementi di fatto conosciuti o conoscibili dal contribuente nella specie costituiti da documenti relativi a quietanze da questi personalmente rilasciate per somme percepite e non dichiarate a titolo di retribuzione per prestazioni di lavoro dipendente. Osserva la Corte:
“ la Commissione regionale – invero del tutto contraddittoriamente – ha dichiarato, per un verso, incontestabile la percezione di compensi in nero da parte dell’intimato stante la lapalissiana lettura delle prove prodotte in giudizio dall’ufficio delle imposte dirette costituite dal rapporto dei carabinieri, dalla scheda individuale intestata a G.C. contenente le somme percepite mensilmente in nero e la liquidazione delle stesse quietanzata personalmente del contribuente che – come ancora osservato da quei giudici – si è ben guardato dal negare di aver percepito dal proprio datore di lavoro emolumenti non assoggettati alle doverose ritenute fiscali.
Per altro verso ha ritenuto nullo l’avviso dì accertamento impugnato perchè quegli atti istruttori sarebbero stati depositati in giudizio senza essere stati previamente notificati al contribuente per consentirgli l’esercizio del diritto di difesa.
Ragionamento questo palesemente incongruo perchè costituisce ius receptum quello secondo cui non è dato negare la validità di un avviso di accertamento solo perchè esso risulti motivato con riferimento ad elementi extratestuali che il contribuente era in grado di conoscere e comunque erano riportati nell’avviso di accertamento notificato all’interessato che a fronte di quelle evidenze non è stato in grado di muovere alcuna contestazione di merito al cospetto di quietanze da lui stesso sottoscritte e mai disconosciute”.