Lo scopo dell’indagine finanziaria – come indicato nella circolare n. 32/2006 (par.5.1.) – consiste, nel riscontrare direttamente se le movimentazioni – attive (accreditamenti) e passive (prelevamenti) – ivi evidenziate siano o meno coerenti con la contabilità del soggetto sottoposto a controllo, ovvero non siano imponibili o non rilevino per la determinazione del reddito e/o della base imponibile Iva, come anche, con riguardo alle persone fisiche, non risultino compatibili con la loro complessiva capacità contributiva.
Analizziamo le indicazioni allora diramate dalle Entrate nella circolare n. 32/2006, che possono essere utili in sede di contraddittorio con gli uffici, ovvero in sede di accertamento con adesione, o comunque in sede contenziosa, soffermando la nostra attenzione su un problema di non poco conto: i prelevamenti non giustificati per i professionisti non sono compensi ai fini Iva.
Ai fini reddituali
Ai fini reddituali, l’art. 32, comma 1, n. 2, del D.P.R.n.600/73 prevede che i dati e gli elementi attinenti i rapporti e le operazioni intercettate attraverso le indagini finanziarie
“sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”.
Osservano le Entrate che:
· ai fini dei versamenti, la norma richiama le ordinarie tipologie di accertamento e pertanto l’operatività delle presunzioni in esame si estende, “alla generalità dei soggetti passivi e delle diverse categorie reddituali”;
· ai fini dei prelevamenti “la disposizione intende procedimentalizzare l’analisi, da parte dell’ufficio finanziario, della maggior capacità di spesa non giustificata dal contribuente, e correlare tale maggior capacità di spesa con le ulteriori operazioni attive effettuate presuntivamente in nero”.
Stante il riferimento normativo alle scritture contabili, per le Entrate, tale ultima disposizione trova applicazione solo nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle stesse scritture, e quindi solo nel caso in cui sia configurabile un’attività economica, anche di natura professionale.
“Resta inteso che si sottrae alla regola dell’inversione dell’onere della prova l’ipotesi in cui il contribuente indica il beneficiario del prelevamento utilizzato per l’acquisto di un bene o servizio non fatto transitare in contabilità; in tale ipotesi non scatta il meccanismo presuntivo ma l’operazione deve essere valorizzata alla stregua degli ordinari criteri dell’accertamento, i quali presiedono al riconoscimento del costo in funzione della ricostruzione del relativo ricavo”.
Ai fini Iva
Con specifico riguardo all’imposta sul valore aggiunto, la disciplina contenuta nell’art. 51, comma 2, numero 2), del D.P.R. n. 633 del 1972 prevede che i dati in argomento siano posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti agli artt. 54 e 55 del medesimo decreto, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto in dichiarazione o che gli stessi non si riferiscono a operazioni imponibili.
Non viene, quindi, qui specificatamente riproposto l’inciso previsto ai fini reddituali secondo cui
“ alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”.
Per le Entrate, quindi,
“i versamenti non giustificati potranno essere contestati come operazioni imponibili, cessioni o prestazioni non contabilizzate, mentre i prelevamenti potranno essere valorizzati come acquisti in nero
(In relazione al trattamento fiscale degli acquisti non fatturati, non è più previsto il pagamento dell’imposta, stante l’abrogazione dell’art.41 del D.P.R.n.633/72, ad opera dell’art.16 del D.Lgs. n. 471 del 1997. Cfr. il punto 2.7 della circolare n. 23/E del 25 gennaio 1999 con riferimento all’applicabilità del contenuto dell’art. 41 del D.P.R. n. 633 del 1972 alle violazioni commesse in vigenza di tale disposizione.)”.
Valenza probatoria dei prelevamenti nei confronti dei professionisti
Per le Entrate, dal 1° gennaio del 2005 – per effetto delle modifiche apportate dalla Finanziaria 2005 – i dati ed elementi acquisiti in sede di controllo bancario possono, ricorrendone i presupposti, essere posti a base sia per la ricostruzione di ricavi che di compensi.
In sostanza, come precisano le Entrate con la circolare n. 32/2006,
“ l’anzidetta disposizione intende valorizzare l’analisi, da parte dell’ufficio procedente, della maggiore capacità di spesa, comunque manifestata e non giustificata dal lavoratore autonomo, e correlare tale maggiore capacità con le ulteriori operazioni attive anch’esse effettuate presuntivamente in nero, nell’ambito della specifica attività esercitata; e ciò, secondo una ragionevole regola di comune esperienza che lo stesso legislatore ha tenuto presente e sulla quale ha fondato il meccanismo presuntivo che consente, a certe condizioni, addirittura di riprendere totalmente a tassazione i prelevamenti non giustificati”.
La regola introdotta
“ spiega la sua utilità anche per la configurazione e l’attribuzione di costi presunti a carico di una attività professionale di un soggetto controllato, per effetto dei prelevamenti che abbiano avuto una destinazione ufficiale e trasparente diversa da quella reale; e ciò al fine di eludere gli obblighi contabili del professionista per l’operazione passiva effettuata mediante l’accertato prelevamento e far assolvere a un soggetto interposto il proprio onere finanziario verso l’originario fornitore che non si ha interesse a indicare, nell’ambito di una preordinata convergenza evasiva di comune convenienza”.
Il documento di prassi, quindi, invita gli uffici ad astenersi
“ da una valutazione degli elementi acquisiti – non solo dai conti correnti ma da qualsiasi altro rapporto od operazione oggi suscettibili di indagine – particolarmente rigida e formale, tale da trascurare le eventuali dimostrazioni, anche di natura presuntiva, che trattasi di spese non aventi rilevanza fiscale sia per la loro esiguità, sia per la loro occasionalità e, comunque, per la loro coerenza con il tenore di vita rapportabile al volume di affari dichiarato. In altri termini, nell’ambito di una generale esigenza sussistente nei riguardi anche delle categorie imprenditoriali, necessita un ulteriore sforzo ricostruttivo e motivato dell’ufficio che, lungi dall’automatico trasferimento delle risultanze patrimoniali emerse in sede di indagini in capo al contribuente destinatario del controllo, qualifichi le stesse in senso economico e quindi reddituale secondo la metodologia e tipologia di accertamento in concreto adottata per l’esercizio della pretesa tributaria”.
L’incidenza dei costi occulti
Il punto 5.5. della circolare n. 32/2006 si occupa, in particolare dell’incidenza dei costi occulti.
In ordine alle imposte dirette, per quanto concerne l’accertamento dei redditi di impresa determinati sulla base delle scritture contabili, le Entrate partono dal disposto dell’art. 109, comma 4, lettera b), ultimo periodo, del Tuir (applicabile anche alle imprese minori ex art. 66, comma 3, Tuir), il quale prevede che
” le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi, che pur non risultando imputati al conto economico concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi”.
Le indicazioni date – osserva la circolare n. 32/2006 – trovano applicazione anche nei confronti
“ del reddito professionale, laddove la presunzione legale in esame è prevista anche nei confronti dei lavoratori autonomi e in particolare per quanto riguarda la valenza che assumono i prelevamenti e gli importi riscossi, che se non giustificati da parte del contribuente possono essere ripresi a tassazione quali componenti positivi del relativo reddito (in particolare, cfr. art. 39, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973)”.
Nell’ambito dell’operatività del comma 1 dell’art. 39, del D.P.R.n.600/73, è possibile riprendere come ricavo le movimentazioni finanziarie,
“ senza il parallelo riconoscimento di maggiori costi o spese in mancanza di qualsivoglia giustificazione da parte del contribuente”. In concreto, “ in caso di accertamento fondato sia sul metodo analitico (lettere a), b) e c) del citato comma 1) che su quello analitico-induttivo (successiva lettera d) – per quest’ultima ipotesi, si rammenta che la ricostruzione del reddito d’impresa trae comunque origine dalla contabilità, ma può essere supportata dall’impiego di presunzioni che, tuttavia, devono rispettare rigorosamente i requisiti di gravità precisione e concordanza previsti dall’art. 2729 del codice civile -, nessun margine si offre all’ufficio procedente ai fini di un possibile riconoscimento di componenti negative di cui non è stata fornita da parte del contribuente prova certa”.
Naturalmente, se il contribuente fornisce valide giustificazioni si neutralizza la presunzione. Tuttavia, precisa il documento
“ qualora a fronte di un prelevamento il contribuente indichi come beneficiario un fornitore di cui non ha provveduto a rilevare nei registri contabili le relative operazioni di acquisto, ma di cui fornisce successivamente, in via extracontabile, documentazione probante, l’ufficio procedente dovrà invece riconoscere detto costo in coerenza con i criteri della ricostruzione analitico-induttiva del reddito ai sensi della citata lettera d)”.
Se, invece, l’ufficio opera un accertamento induttivo, ex art. 39, comma 2 del citato D.P.R.n.600/73,
“ l’ufficio non può non tenere conto, soprattutto in assenza di documentazione certa, di un’incidenza percentuale di costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati; regola che, ovviamente, vale anche se in tutto o in parte i maggiori ricavi siano stati assunti tramite indagini bancarie”.
Ai fini Iva,
“ tale riconoscimento resta escluso …… poiché nel meccanismo di tale tributo la base imponibile è costituita dall’insieme dei soli corrispettivi dovuti al cedente o al prestatore (Cassazione n. 7973/2001)”.
Gli esiti delle indagini bancarie possono essere posti anche a base degli accertamenti d’ufficio nelle ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla. Anche per tale tipologia di accertamento, disciplinata dall’art. 41 del D.P.R. n. 600 del 1973, è possibile distinguere il metodo analitico da quello induttivo.
In mancanza o nullità della dichiarazione, “ il riconoscimento di costi deve essere livellato – anche in misura percentualistica – in ragione dei maggiori ricavi accertati sulla base del meccanismo presuntivo di cui al numero 2) dell’art. 32, senza peraltro che pregiudizialmente debba essere trascurata la presenza in una contabilità ordinata di costi regolarmente registrati”.
Chiusura:
“tutto quanto sopra precisato relativamente alle diverse tipologie di accertamento trova sostanziale applicazione anche nei confronti del reddito professionale, laddove la presunzione legale in esame è prevista anche nei confronti dei lavoratori autonomi e in particolare per quanto riguarda la valenza che assumono i prelevamenti e gli importi riscossi che se non giustificati da parte del contribuente possono essere ripresi a tassazione quali componenti positivi del relativo reddito (in particolare, cfr. art. 39, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973)”.
Pertanto, per il preciso disposto normativo, i prelevamenti non giustificati costituiscono compensi solo ai fini reddituali, ma non ai fini Iva.
14 gennaio 2008
Roberto Pasquini