La materia della cessione di partecipazioni, sia ad opera di soggetti IRES che di imprese soggette all’IRPEF, che, infine, di «non imprenditori», tipicamente persone fisiche, è stata oggetto di profonda rivisitazione nell’ambito della riforma «incompiuta» del 2004.
Il presente contributo si occuperà, in particolare, del regime della cessione di partecipazioni da parte di persone fisiche, con specifico riferimento alle modalità di determinazione delle eventuali plusvalenze emergenti.
Cessione di partecipazioni non qualificate da persone fisiche – Aspetti generali
Secondo l’art. 67, co. 1, lett. c-bis, del TUIR, sono plusvalenze «non qualificate» quelle che originano dalle cessioni aventi a oggetto partecipazioni, titoli o diritti rappresentanti:
- per le società quotate, una percentuale complessiva di diritti di voto inferiore al 2%, ovvero una percentuale di partecipazione al capitale o al patrimonio inferiore al 5%;
- per le società non quotate, una percentuale complessiva di diritti di voto inferiore al 20%, ovvero una percentuale di partecipazione al capitale o al patrimonio inferiore al 25%.
Rispetto al previgente sistema, fondato sulla tassazione sostitutiva (del 12,50% o del 27%, in caso di superamento della soglia di «qualificazione»), le regole attuali prevedono l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 12,50% per le sole cessioni «non qualificate», mentre le cessioni «qualificate» generano plusvalenze che concorrono al reddito imponibile nella misura del 40% dell’ammontare.
Dopo qualche chiarimento generale fornito nelle circolari dell’Agenzia delle Entrate 16.6.2004, nn. 25/E e 26/E, e 22.11.2004, n. 49/E, è intervenuta la circolare 10.12.2004, n. 52/E, fornendo gli opportuni chiarimenti sul regime impositivo delle plusvalenze in oggetto in capo alle persone fisiche non esercenti attività d’impresa.
Le plusvalenze «non qualificate»
La disamina sintetica della categoria reddituale delle plusvalenze inquadrate tra i redditi diversi, originate dalla cessione di partecipazioni non qualificate, è compiuta nel par. 2.2.2 della C.M. 24.6.1998, n. 165, ove è affermato che la disposizione dell’art. 81 (attuale art. 67), co. 1, lett. c–bis, del TUIR, è volta a ricondurre a tassazione tra i redditi diversi le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di tutte quelle partecipazioni, titoli o diritti che attribuiscono il diritto di acquistare partecipazioni, che non risultino imponibili in base alla disposizione di cui alla lett. c) dello stesso articolo:
- a causa del mancato raggiungimento delle percentuali minime di diritti di voto e di partecipazione al capitale o al patrimonio;
- (ovvero) perché la cessione ha a oggetto azioni di risparmio non convertibili e quote di partecipazione in enti non commerciali residenti, indipendentemente dalla percentuale di partecipazione al capitale o al patrimonio che le stesse rappresentano.
Nella stessa circolare è affermato, alla luce dell’esame congiunto delle lettere c) e c-bis) dell’articolo, che l’eventuale cessione di partecipazioni in enti non commerciali residenti dev’essere sempre considerata «non qualificata».
Per espressa previsione normativa, erano altresì escluse anche dalla lettera c-bis) le plusvalenze realizzate mediante cessioni di partecipazioni al capitale o al patrimonio delle associazioni tra artisti e professionisti di cui all’art. 5, co. 3, TUIR, residenti nel territorio dello Stato.
Restano comunque assoggettate a tassazione, sia pure ad altro titolo, le somme attribuite ai soci o agli associati in caso di recesso dalla società o associazione.
La partecipazione al capitale: precisazioni
Ai fini del riscontro delle percentuali di «qualificazione», necessario per poter stabilire il regime fiscale delle cessioni, rileva la partecipazione al capitale o al patrimonio.
È a tale proposito opportuno segnalare una «discrasia» tra la norma civilistica e quella tributaria, originata dalla riforma societaria e alimentata dalla schematicità «quantitativa» delle regole del TUIR.
Limitando l’analisi alle società per azioni, si osserva che, a norma del vigente art. 2346, co. 4, c.c., la S.p.a. assegna ordinariamente a ciascun socio un numero di azioni proporzionale alla parte del capitale sottoscritta; l’atto costitutivo può però prevedere un’assegnazione delle azioni secondo criteri non proporzionali.
Il co. 6 dello stesso articolo consente invece l’emissione di strumenti finanziari partecipativi, a fronte dei quali un determinato soggetto, socio o terzo, può apportare a favore della società, beni, crediti, ovvero prestazioni di opere o servizi.
Può inoltre essere stabilita anche una partecipazione «asimmetrica» agli utili e alle perdite, dato che possono essere previste dallo statuto, o da sue successive modificazioni, «categorie di azioni fornite di diritti diversi anche per quanto concerne l’incidenza delle perdite» (art. 2348, co. 2, c.c.).
Possono poi essere emesse azioni i cui diritti patrimoniali sono correlati ai risultati dell’attività sociale in un determinato settore (art. 2350, co. 2, c.c.).
Si rammenta, infine, la possibilità di costituire patrimoni destinati a uno specifico affare (art. 2447–bis, c.c.).
In tale contesto, il requisito della partecipazione al capitale deve intendersi verificato senza che rilevino il diritto all’attribuzione degli utili o l’eventuale conferimento difforme rispetto alle azioni assegnate.
I diritti di voto
Analoghe considerazioni possono farsi relativamente ai diritti di voto, la cui spettanza può non essere più rigidamente proporzionale rispetto alla partecipazione al capitale.
A norma dell’art. 2351, co. 3, c.c., infatti, lo statuto delle società non quotate può prevedere che, in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura massima, o disporne scaglionamenti.
Per determinare la natura qualificata o non qualificata di tali azioni, vale il riferimento all’effettiva percentuale di diritti di voto assicurata da tali partecipazioni.
Ai sensi dell’art. 2351, co. 2, c.c., il diritto di voto può altresì essere:
- limitato a particolari argomenti;
- subordinato al verificarsi di determinate condizioni.
Gli strumenti finanziari
Il par. 2.2.2.1 della circolare in commento ricomprende tra gli strumenti finanziari sia quelli emessi a norma dell’art. 2346, co. 6, c.c., sia quelli relativi ai <<patrimoni di destinazione>> (art. 2447, co. 1, lett. e), c.c.).
Richiamando il par. 2.2 della circolare dell’Agenzia delle Entrate 16.6.2004, n. 26, è affermato che gli strumenti finanziari non sottendono una partecipazione al capitale o al patrimonio della società emittente nel senso richiesto dalla lett. e), co. 1, dell’art. 44, D.P.R. 917/1986 (e quindi non sono <<utili di partecipazione>>.
Per effetto dell’assimilazione alle azioni degli strumenti finanziari italiani di natura partecipativa ad opera della lett. a), co. 2, dello stesso articolo, la partecipazione al patrimonio va intesa, in tale contesto, come diritto alla restituzione del capitale apportato.
Tale impostazione trova conferma nell’art. 27, co. 1, del D.P.R. 29.9.1973, n. 600, ove è disposto che i proventi derivanti dagli strumenti finanziari devono essere assoggettati alla ritenuta a titolo d’imposta del 12,50%, se il valore dell’apporto non supera il 5% o il 25% del valore del patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio approvato dalla società emittente.
L’art. 67, co. 1, lett. c), D.P.R. 917/1986, considera poi come cessione di partecipazione qualificata la cessione di strumenti finanziari assimilati alle azioni, quando non rappresentano una partecipazione al patrimonio.
La cessione di strumenti finanziari può quindi avere natura di cessione «qualificata»:
- in presenza di un apporto di capitale, solo al superamento della soglia percentuale del 5% o del 25% del patrimonio netto contabile;
- se l’emissione degli strumenti è a fronte dell’apporto di opere o servizi, o in mancanza di apporto, in ogni caso.
Nell’ultimo caso (ovvero in assenza di apporto di capitale), opera dunque sempre l’assimilazione alle cessioni «qualificate».
I titoli obbligazionari
Sono assimilati alle azioni anche i titoli obbligazionari, compresi quelli di cui all’art. 2411, co. 3, c.c., la cui remunerazione sia costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente, di società dello stesso gruppo o di un affare.
I titoli obbligazionari con tali caratteristiche sono infatti assimilati alle azioni ai sensi dell’art. 44, co. 2, lett. a), D.P.R. 917/1986, indipendentemente dalla denominazione formale.
I titoli obbligazionari i cui rendimenti sono commisurati a parametri di natura finanziaria rientrano però nel novero dei titoli atipici, disciplinati dall’art. 5 del D.L. 30.9.1983, n. 512, convertito dalla L. 25.11.1983, n. 649, se non garantiscono la restituzione del capitale versato.
I contratti di associazione in partecipazione e cointeressenza
Nel par. 2.2.2.2 della circolare n. 52/2004 è inquadrato il trattamento fiscale delle cessioni di contratti di associazione in partecipazione e cointeressenza, i quali – a norma dell’art. 67, co. 1, lett. c), n. 2), D.P.R. 917/1986, sono assimilati a partecipazioni qualificate se il valore dell’apporto supera il 5% o il 25% del valore del patrimonio netto contabile alla data della stipula del contratto, a seconda che si tratti, rispettivamente, di società quotate o non quotate.
Se l’associante è un’impresa minore soggetta al regime di cui all’art. 66, D.P.R. 917/1986, l’assimilazione alle cessioni di partecipazioni qualificate si rende applicabile se il valore dell’apporto è superiore al 25% della somma delle rimanenze finali e del costo complessivo dei beni ammortizzabili, al netto dei relativi ammortamenti (art. 47, co. 2, secondo periodo; art. 67, co. 1, lett. c), n. 3), D.P.R. 917/1986).
Nella sostanza, le plusvalenze che originano dalla cessione di tali contratti soggiacciono agli stessi principi applicabili alla tassazione degli utili prodotti dagli stessi (concorso al reddito limitato al 60% se il valore dell’apporto di capitale supera le prescritte soglie percentuali; ritenuta alla fonte del 12,50%, se l’apporto di capitale è inferiore).
Le precisazioni fornite dalla circolare 52/E/2004
Come evidenziato nel par. 2.2.5 della circolare sui «capital gains», nel nuovo art. 67, co. 1, lett. c-bis), D.P.R. 917/1986, le cessioni di partecipazioni inferiori alle percentuali indicate alla precedente lett. c), continuano a essere considerate cessioni «non qualificate», senza modificazioni sostanziali.
Si tratta quindi di una categoria residuale, individuata applicando <<a contrario>> i criteri atti a determinare la soglia di qualificazione.
Il par. 2.2.6 della pronuncia di prassi si occupa delle plusvalenze assimilate a quelle realizzate mediante cessione di partecipazioni non qualificate, che sono, secondo l’art. 67, co. 1, lett. c – bis), ultimo periodo, nn. 1) e 2), 917/1986, quelle realizzate mediante la cessione di contratti di associazione in partecipazione e cointeressenza (nei termini precisati dal succitato par. 2.2.2.2).
Le regole della tassazione per le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni non qualificate sono prese in considerazione nel par. 3.2 della circolare in esame, ove è evidenziato che non vi sono state modifiche rispetto alla disciplina previgente.
Continua quindi ad applicarsi la regola della somma algebrica delle plusvalenze e delle minusvalenze di cui alle lettere c – bis) dell’art. 67, derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni non qualificate e di quelle assimilate, con le plusvalenze e le minusvalenze di cui alle lettere da c – ter) a c – quinquies) dello stesso articolo.
Si tratta, in dettaglio, delle plusvalenze e minusvalenze derivanti:
- dalla cessione a titolo oneroso ovvero dal rimborso di titoli non rappresentativi di merci, di certificati di massa, di quote di partecipazione ad organismi d’investimento collettivo, di metalli preziosi allo stato grezzo o monetato e dalla cessione a termine di valute estere o rivenienti da depositi e conti correnti (lett. c-ter);
- dei redditi e delle perdite derivanti da contratti derivati (lett. c-quater);
- delle plusvalenze e degli altri proventi derivanti dalla cessione di crediti pecuniari, di contratti produttivi di redditi di capitale e di strumenti finanziari e dei proventi costituiti dai differenziali positivi dei contratti aleatori (lett. c-quinquies).
Se, all’interno della massa così formata, l’ammontare delle minusvalenze (o delle perdite) supera quello delle plusvalenze (o dei redditi), l’eccedenza è portata in deduzione, fino a concorrenza, dalle plusvalenze della stesse specie dei periodi d’imposta successivi, ma non oltre il quarto, a condizione che tale situazione sia evidenziata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui essa si è verificata.
Sulle plusvalenze di cui alle lettere da c-bis) a c-quinquies), del co. 1 dell’art. 67, determinate secondo le modalità descritte, continua ad applicarsi l’imposta sostitutiva del 12,50%, a norma dell’art. 5, co. 2, D.Lgs. 21.11.1997, n. 461.
L’imposta sostitutiva va versata con le modalità previste per il versamento delle imposte sui redditi dovute a saldo in base alla dichiarazione.
I regimi fiscali alternativi
È però consentito di optare per i regimi alternativi di imposizione, di seguito indicati:
- regime del risparmio amministrato, disciplinato dall’art. 6, D.Lgs. 461/1997, che consente la compensazione delle plusvalenze con le minusvalenze precedentemente conseguite presso lo stesso intermediario e il riporto a nuovo delle eccedenze negative;
- regime del risparmio gestito, disciplinato dall’art. 7, D.Lgs. 461/1997, che prevede l’imputazione al patrimonio gestito sia dei redditi diversi di natura finanziaria, sia dei redditi di capitale, con la compensazione tra i componenti positivi (redditi di capitale, plusvalenze e altri redditi diversi) e quelli negativi (minusvalenze e spese).
Più in dettaglio, il regime del risparmio amministrato è applicabile su opzione del contribuente, se i titoli sono in custodia o in amministrazione presso gli intermediari abilitati (banche, SIM, società fiduciarie, Poste Italiane S.p.a., agenti di cambio).
Tale regime consiste nell’applicazione dell’imposta sostitutiva del 12,50% su ciascuna plusvalenza realizzata, e garantisce l’anonimato del contribuente.
Il regime del risparmio gestito consente invece ai soggetti che hanno conferito a un soggetto abilitato ai sensi del D.Lgs 23.7.1996, n. 415 l’incarico di gestire masse patrimoniali costituite da somme di denaro o beni non relativi all’impresa, possono optare, con riferimento ai redditi di capitale e diversi di cui agli artt. 41 (ora 44) e 81 (ora 67), co. 1, lettere da c-bis) a c-quinquies), D.P.R. 917/1986, per l’applicazione dell’imposta sostitutiva con le modalità previste dall’art. 7, D.Lgs. 461/1997.
Il calcolo della plusvalenza
Secondo la circolare 52/E, più volte richiamata sopra, le plusvalenze relative alla cessione di partecipazioni sono costituite dalla differenza tra il corrispettivo percepito (ovvero la somma percepita o il valore dei beni rimborsati), ed il costo (ovvero il valore d’acquisto), aumentato di ogni onere inerente alla sua produzione (bolli e altre imposte indirette, commissioni, spese notarili, eccetera), con l’esclusione degli interessi passivi.
In estrema sintesi, dunque, la determinazione della plusvalenza poteva avvenire come segue.
costo d’acquisto della partecipazione | € 15.000,00 |
Imposte indirette | € 1.000,00 |
spese notarili | € 1.000,00 |
corrispettivo percepito alla cessione | € 33.000,00 |
plusvalenza imponibile come «reddito diverso» | € 16.000,00 |
Si rendono tuttavia opportune alcune puntualizzazioni, nei termini che seguono (ripresi dalla stessa circolare 52/E):
- il costo di acquisto dei titoli partecipativi deve intendersi comprensivo anche dei versamenti in denaro o in natura, a fondo perduto o in conto capitale, nonché della rinuncia ai crediti vantati nei confronti della società da parte dei soci o partecipanti;
- il costo unitario di acquisto di azioni, quote od altre partecipazioni acquisite a seguito di delibere di aumento gratuito di capitale è determinato, secondo l’art. 68, co. 6, del TUIR, ripartendo il costo originario sul numero complessivo delle azioni quote o partecipazioni di compendio (ossia su quelle acquistate prima dell’aumento e su quelle acquistate dopo);
- per le società di persone, ai fini della determinazione delle plusvalenze o delle minusvalenze il costo o valore d’acquisto dev’essere aumentato o diminuito dei redditi e delle perdite imputate al socio, e dal costo devono essere scomputati, fino a concorrenza dei redditi già imputati, gli utili distribuiti al socio (la finalità di tale disposizione è di evitare che i redditi già tassati e le perdite già dedotte possano essere tassati – o dedotte – nuovamente in sede di cessione della partecipazione);
- nel caso di acquisto per successione, si assume come costo di acquisto il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti di tale imposta, mentre per i titoli esenti dal tributo successorio si assume come costo il valore normale alla data di apertura della successione;
- limitatamente al periodo nel quale ha operato la soppressione dell’imposta sulle successioni e donazioni (dal 25.10.2001 alla Finanziaria 2007), si deve assumere come costo il costo sostenuto dal de cuius, in quanto il mancato assoggettamento ad imposta sulle successioni fa venir meno il presupposto per consentire una «rivalutazione» della partecipazione ereditata;
- nel caso di acquisto per donazione, il costo da assumere come rilevante è quello del donante, cioè quello che il donante avrebbe assunto come costo o valore d’acquisto se invece di donare l’attività finanziaria di cui ha il possesso l’avesse ceduta a titolo oneroso;
- nell’ipotesi di attività finanziarie per le quali è stata presentata la dichiarazione di emersione (c.d. «scudo fiscale»), ex D.L. 25.9.2001, n. 350, convertito dalla L. 23.12.2001, n. 409, in mancanza del costo di acquisto, può essere assunto l’importo indicato nella dichiarazione stessa;
- ai fini della determinazione del costo di partecipazioni detenute alla data del 1° luglio 1998, continuavano ad applicarsi i criteri indicati nelle disposizioni di carattere transitorio di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 461 del 1997, ovvero quelli di cui all’art. 5 della L. 28.12.2001, n. 448, che hanno consentito di rideterminare il valore d’acquisto delle partecipazioni in società non quotate.
Il regime transitorio
Secondo l’art. 14, co. 5, D.Lgs. 21.11.1997, n. 461, richiamato nella circolare, «agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze» da cessione di partecipazioni qualificate, il costo o valore d’acquisto delle partecipazioni possedute alla data di entrata in vigore del decreto stesso (1° luglio 1998) può essere adeguato, ai sensi del co. 5 dell’art. 2 del D.L. 28.1.1991, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla L. 25.3.1991, n. 102, sulla base della variazione intervenuta fino al 30.6.1998.
Il successivo co. 6 dispone che, per la determinazione delle plus e minusvalenze sia qualificate che non qualificate, per le partecipazioni possedute al 1° luglio 1998, in luogo del costo o valore d’acquisto può essere assunto:
- nel caso dei titoli, quote o diritti, negoziati in mercati regolamentati italiani, la cui cessione è «non qualificata», il valore risultante dalla media aritmetica dei prezzi rilevati presso detti mercati regolamentati nel mese precedente alla predetta data;
- nel caso dei titoli, quote o diritti «qualificati», negoziati in mercati regolamentati, nonché dei titoli, quote o diritti «non qualificati», negoziati esclusivamente in mercati regolamentati esteri, il valore risultante dalla media aritmetica dei prezzi rilevati presso tali mercati regolamentati nel mese precedente alla predetta data, a condizione che le plusvalenze comprese nel predetto valore fossero assoggettate ad imposta sostitutiva con i criteri stabiliti nel D.L. 28.1.1991, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla L. 25.3.1991, n. 102;
- nel caso dei titoli, quote o diritti non negoziati in mercati regolamentati, il valore alla medesima data del 1° luglio 1998 della frazione del patrimonio netto della società, associazione od ente rappresentata da tali titoli, quote e diritti, determinato sulla base delle risultanze dell’ultimo bilancio approvato anteriormente alla medesima data, a condizione che le plusvalenze comprese nel predetto valore siano assoggettate ad imposta sostitutiva con i criteri stabiliti nel menzionato decreto-legge del 1991.
Come puntualizzato nella circolare del 2004, sulle plusvalenze di cui alle lettere da c-bis) a c-quinquies), dell’art. 67, co. 1, del TUIR è rimasta ferma l’applicazione dell’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura del 12,50%, a norma dell’art. 5, co. 2, D.Lgs. 461/1997.
Relativamente all’adeguamento del valore delle partecipazioni detenute al 1° luglio 1998, merita evidenziare che l’art. 2, D.L. 27/1991, è stato abrogato, con effetti decorrenti proprio dal 1° luglio 1998, dall’art 16, co. 1, lettera a), D.Lgs. 461/1997.
Pur abrogata, la norma però «rivive» però per volontà della disposizione transitoria.
Le previsioni dell’articolo, nel suo testo originario, sono le seguenti:
- agli effetti del decreto, i redditi diversi indicati nell’art. 1 (ossia le plusvalenze di natura finanziaria) sono costituiti dalla differenza tra il corrispettivo ed il prezzo pagato all’atto del precedente acquisto ovvero, nel caso di acquisto a titolo gratuito, il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell’imposta sulle successioni e donazioni (art. 2, co. 1);
- l’imposta sostitutiva (delle imposte sui redditi) è dovuta nella misura del 25%, ed è commisurata all’ammontare delle plusvalenze conseguite nel periodo d’imposta, al netto delle minusvalenze, analiticamente indicate nella dichiarazione annuale dei redditi (art. 2, co. 4).
Dopo le modificazioni apportate, in sede di conversione, dalla L. 25.3.1991, n. 102, il co. 5 dell’articolo aveva previsto che, ai fini della determinazione della plus o minusvalenza, il costo fiscalmente riconosciuto doveva essere incrementato, per ciascun periodo di 12 mesi interi, o frazione superiore a 6 mesi, decorsi dalla data dell’acquisto, di un ammontare commisurato al tasso composto di variazione del deflatore del PIL rilevato dall’anno anteriore a quello in cui si era verificato l’acquisto a quello della cessione.
Il testo normativo è stato nuovamente variato ad opera dell’art. 2, co. 1, lett. a), D.L. 23.5.1994, n. 308, sicché il co. 5 era stato sottoposto a «restyling», giungendo a prevedere che il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione doveva essere adeguato sulla base di un coefficiente pari al tasso di variazione della media dei valori dell’indice mensile dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati rilevati nell’anno in cui si era verificata la cessione rispetto a quella dei medesimi valori rilevati nell’anno in cui era avvenuto l’acquisto, se tra la cessione e l’acquisto erano intercorsi non meno di 12 mesi interi.
Il Ministero delle Finanze doveva render noti i coefficienti di adeguamento da utilizzare – per le plus e minusvalenze del precedente periodo d’imposta – con proprio decreto[1], da pubblicare nella G.U. entro il mese di febbraio di ogni anno.
Stante l’espressa formulazione dell’art. 14, co. 5, D.Lgs. 461/1997, l’adeguamento del valore delle partecipazione sulla base dei criteri di cui al decreto-legge del 1991 può farsi entro precisi limiti temporali, ossia con riferimento alla variazione intervenuta entro il 30 giugno 1998.
Ciò significa che il valore delle partecipazioni era sostanzialmente adeguato all’inflazione (sulla base del deflatore del PIL prima, e quindi dell’IPC), ma solamente entro la data sopra indicata.
Da quella data in avanti, tutto l’incremento di valore concorre invece all’ammontare della plusvalenza imponibile come «reddito diverso».
4 settembre 2007
Fabio Carrirolo
[1] Cfr. D.M. 6.4.1994, D.M. 9.2.1995, D.M. 31.1.1996, D.M. 10.2.1997, D.M. 17.3.1998 e D.M. 10.2.1999.