Inerenza delle spese: il Fisco può intromettersi nella gestione dell’impresa?

Si supponga che un’azienda subisca una verifica da parte del Fisco, e che durante questa verifica l’Ufficio riscontri e valuti che il prezzo a cui vengono vendute le merci sia troppo basso, o che il costo d’acquisto di alcuni beni o servizi sia esageratamente alto.

Premessa

Il problema di cui si vuole trattare si può introdurre con un esempio.

Si supponga che un’azienda subisca una verifica da parte del Fisco, e che durante questa verifica l’Ufficio riscontri e valuti che il prezzo a cui vengono vendute le merci sia troppo basso, o che il costo d’acquisto di alcuni beni o servizi sia esageratamente alto.

Può allora decidere di disconoscere detti elementi, recuperando la differenza tra l’importo “normale” e quello inserito in contabilità ?

La risposta potrebbe apparire addirittura ovvia ed assolutamente scontata, in quanto non v’è dubbio che allo stato attuale della legislazione l’Ufficio non ha poteri di valutazione circa la congruità, ossia la rispondenza alle medie generali del Paese, dei componenti positivi e negativi di reddito ; invero, il problema esiste, tenuto conto che negli ultimi due anni, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si è più volte espressa negativamente al riguardo, attribuendo quindi all’Amministrazione Finanziaria la possibilità di valutare la congruità dei costi sostenuti e dei ricavi conseguiti dal contribuente, in presenza di un comportamento in contrasto con gli usuali schemi di economicità.

In sostanza, esiste un filone giurisprudenziale della Cassazione che ha individuato nella “superfluità” una nuova caratteristica che deve possedere un costo per essere considerato non inerente, e, quindi, non deducibile. E’ utile, comunque, andare con ordine, partendo dalla situazione normativa.

 

La normativa: il concetto di inerenza

Come già anticipato, la normativa fiscale non ammette deroghe. Laddove ha voluto limitare la deducibilità di taluni costi, anche in chiave antielusiva, lo ha fatto esplicitamente.

E’ chiara la norma di chiusura dettata dall’articolo 52 del Tuir, in base alla quale il reddito si determina apportando all’utile o alla perdita di bilancio le variazioni in aumento e in diminuzione previste dallo stesso Testo Unico.

L’articolo 75 comma 5 del Tuir, poi, ammette la deducibilità dei costi a condizione che essi siano “inerenti” l’attività di impresa, ossia a condizione che vi sia tra essi e l’attività un rapporto di causa ed effetto; in tal senso, il Fisco stesso si è in passato espresso confermando che il concetto di inerenza non debba essere necessariamente legato ai ricavi dell’impresa, ma solo alla sua attività.

 

I risvolti pratici del concetto di inerenza

Tale valutazione, invero, non è sempre lineare. Per taluni costi, infatti, esiste una difficoltà oggettiva nell’imputarli esclusivamente all’attività di impresa: si pensi, ad esempio, alle spese sostenute per viaggi o per la consumazione dei pasti, per i quali ben potrebbe risultare che il contribuente ne abbia usufruito come privato, e non come imprenditore.

In tal caso, dunque, è bene che l’interessato predisponga degli elementi di fatto o documentali che rendano possibile ricondurre con sufficiente certezza dette spese nell’ambito imprenditoriale.

D’altro canto, non è neppure assodato che l’impresa, riconosciuta l’inerenza di un costo, possa spingersi a sostenere a tale titolo degli importi eccessivamente elevati in riferimento ai ricavi cui dette spese si riferiscono o, in genere, alle controprestazioni che da tali spese vengono fuori : si pensi, ad esempio, alle spese di pubblicità o a quelle di rappresentanza, che devono comunque restare entro un accettabile limite percentuale in riferimento ai ricavi che l’impresa produce (in tal senso si sono espressi sia l’Amministrazione Finanziaria, con la nota ministeriale n. 9/121 dell’ 8 aprile 1980, e la circolare n. 20/9/613 del 16 giugno 1984, sia alcuni giudici della Commissione Tributaria Centrale).

 

Le sentenze a favore del Fisco

Di seguito indichiamo i casi specifici in riferimento ai quali la Cassazione si è mostrata favorevole alla sindacabilità dei costi o ricavi dell’impresa.

Cassazione n. 12813/00.

Una società aveva contabilizzato compensi agli amministratori per L. 300 milioni, a fronte di ricavi per L. 1.365.050.000 : in base alla sentenza, l’ufficio legittimamente non ammette in deduzione il 50% dei compensi, ossia L. 150 milioni.

Cassazione n. 1821/01.

La sentenza afferma che è permesso all’Amministrazione Finanziaria applicare l’accertamento induttivo in presenza di comportamenti antieconomici, se il contribuente non li giustifica : la incongruenza può infatti ben essere soltanto apparente e celare una realtà ben diversa. Il caso era relativo ad un artigiano che produceva scarpe, ed effettuava consegne frequenti per poche paia di scarpe, anziché consegne meno frequenti ma con un maggior quantitativo : da questo l’Amministrazione Finanziaria ha presunto che il contribuente, arrivata la merce a destinazione, falsificasse la bolla.

Cassazione n. 5104/01.

La sentenza avalla l’operato dell’Ufficio, che non ha ammesso in deduzione dei costi di noleggio di macchinari sostenuti da uno studio professionale, nella misura pari alla differenza tra i canoni pagati alla società fornitore e quelli pagati da quest’ultima a terzi per l’utilizzo dei macchinari concessi allo studio.

Cassazione n. 11645/01.

La Corte ha ritenuto legittimo, in caso di forte squilibrio tra i dati di bilancio (ricavi e immobilizzazioni tecniche, ricavi e oneri per personale, cospicuo indebitamento verso le banche) il ricorso da parte dell’Amministrazione Finanziaria all’accertamento induttivo.

Cassazione n. 13478/01.

Secondo la sentenza, non è sufficiente la delibera societaria a giustificare dei compensi agli amministratori di L. 350 milioni.

Cassazione n. 6337/02.

Nel caso di un’azienda che commerciava macchine usate, supervalutando l’usato e praticando un prezzo di rivendita  sensibilmente inferiore. la sentenza ha ritenuto legittimo l’operato dell’Ufficio, che ha presunto l’esistenza di maggiori ricavi.

Cassazione n. 7680/02.

Nel caso di una società immobiliare che riscuoteva un canone annuo giudicato troppo basso dall’Amministrazione Finanziaria in riferimento a quello comunicato dall’Ente Provinciale per il turismo (da 1.200.000 a 12 milioni circa), la Corte ha affermato che è onere della società dimostrare i motivi di questa riduzione, altrimenti legittimamente l’Ufficio può rettificarne l’ammontare.

Cassazione n. 10802/02.

In base alla tesi avallata dalla Cassazione, un costo è deducibile quando è inevitabile, e non quando si sceglie di sostenerlo, ed in caso di costi superiori al valore normale, è legittimo il ricorso all’accertamento induttivo, qualora il contribuente non riesca a darne una spiegazione logica. Oggetto della contestazione erano i costi di noleggio (di importo molto elevato, quasi pari al prezzo di vendita dei beni) di imbarcazioni ed automezzi noleggiati alla società contribuente da una società sua controllante, che li aveva in precedenza da lei acquistati.

Cassazione n. 11240/02.

La Corte ha giudicato legittimo il disconoscimento da parte del Fisco di costi spropositati, quali quelli sostenuti da una società che aveva acquistato delle partecipazioni del valore effettivo di L. 1 miliardo a L. 13.161.290.000 : in base agli interrogatori, la differenza era servita a pagare delle tangenti.

 

 

Le sentenze a favore del contribuente.

Di seguito indichiamo invece i casi specifici in riferimento ai quali la Cassazione si è mostrata contraria alla sindacabilità dei costi o ricavi dell’impresa.

Cassazione n. 5582/02.

La natura di un contratto stipulato tra le parti non può essere oggetto di riqualificazione da parte del Fisco, che ne decida l’assoggettamento ad un regime fiscale diverso e meno favorevole.

Cassazione n. 6502/00.

Sono legittime ed incontestabili dal Fisco, per una presunta mancanza di immediato ritorno economico, le spese di pubblicità sostenute da società che lavora per conto di terzi nell’ottica di sviluppo della propria attività aziendale

Cassazione n. 6599/02.

Non è permesso all’Amministrazione Finanziaria sindacare i compensi agli amministratori, in quanto basta il consenso tra i soci.

Cassazione n. 9026/02.

Non è permesso all’Amministrazione Finanziaria sindacare i compensi agli amministratori, anche se pari a L. 30 milioni, a fronte di ricavi per L. 41.786.000: l’ufficio non ne aveva ammesso in deduzione L. 10 milioni.

Cassazione n. 10062/00.

Non è permesso all’ufficio sindacare le scelte dell’impresa : il caso era quello di una stabile organizzazione italiana di una società-madre con sede in Hong Kong, che aveva portato in deduzione i propri costi operativi e una quota delle spese c.d. di regia (o generali) sostenute dalla casa-madre.

 

Conclusioni

Purtroppo, la materia in discussione è ancora molto dibattuta, sicchè non si può oggi parlare di una tesi giurisprudenziale univoca.

Il pericolo di attribuire un eccesso di discrezionalità al Fisco è quello di generare nuovi elementi di incertezza in un settore già abbastanza scosso.

D’altro canto, la tendenza in atto può subire una precisa linea di svolta solo a seguito di un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, di cui si auspica presto una pronuncia.

 

dicembre 2002

Danilo Sciuto 

 

 

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